Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-06-2011) 11-10-2011, n. 36614

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.B.G.A., imputato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, – per avere detenuto a fini di spaccio gr. 190,470 di sostanza stupefacente del tipo cocaina, pura a 43%, da cui avrebbero potuto ricavarsi 2742 dosi singole-propone ricorso, per il tramite del difensore, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari, del 4 giugno 2010, che ha confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Trani, del 7 luglio 2007, che lo ha ritenuto colpevole del delitto contestato e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla recidiva contestata, applicata la diminuente del rito, lo ha condannato alla pena di quattro anni di reclusione e 30.000,00 Euro di multa.

Eccepisce il ricorrente la violazione, da parte della corte territoriale, del principio del "ne bis in idem". Si sostiene, in particolare, nel ricorso che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, per i fatti oggetto del presente procedimento l’imputato era stato già giudicato e condannato con sentenza del Gup del Tribunale di Bari del 20.12.06 che, in esito al giudizio abbreviato, lo ha complessivamente condannato alla pena di anni quattordici di reclusione perchè riconosciuto colpevole, tra l’altro, dei delitti di cui all’art. 416 bis cod. pen., D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico.

In realtà, la preclusione di cui all’art. 649 cod. proc. pen. deve ritenersi operativa solo allorchè, contro lo stesso imputato, si proceda "per il medesimo fatto", situazione riconoscibile solo con riguardo ai casi in cui sia possibile riscontrare completa identità di tutti gli elementi di cui i fatti, oggetto di diversi procedimenti penali, si compongono, e cioè, la condotta, il nesso causale e l’evento. La norma richiamata non può trovare applicazione neanche nei casi in cui la condotta dell’imputato, già valutata rispetto ad un determinato evento, in relazione a specifica violazione di legge, venga riesaminata, per l’insorgere di un successivo e diverso evento, con riguardo ad altra violazione di legge.

La lettera di detta norma, del resto, è estremamente chiara nel limitare l’effetto preclusivo del giudicato ai casi in cui il nuovo procedimento ha per oggetto "il medesimo fatto" su cui ha statuito la precedente sentenza irrevocabile; mentre le sentenze di questa Corte che hanno affrontato il tema hanno sempre affermato che l’espressione "medesimo fatto", rispetto al quale ha statuito la precedente sentenza irrevocabile, va riferita a tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, rappresentati, appunto, dalla condotta, dall’evento e dal nesso causale e che, in conseguenza, la diversità di taluni di essi determinerebbe la non operatività della preclusione (Cass. n. 2344/95, n. 10097/06, n. 15578/06, SU n. 34655/05).

A tali principi si è correttamente richiamata la corte territoriale, laddove la stessa ha chiaramente e giustamente sostenuto l’inoperatività, nel caso in esame, dell’invocato principio poichè nell’ambito del procedimento penale definito con la richiamata sentenza del Gup di Bari, l’odierno ricorrente è stato giudicato e condannato (tra l’altro) per il delitto di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, non anche per la vicenda delittuosa oggetto del presente processo, che riguarda, come sopra segnalato, l’illecita detenzione di gr. 190, 470 di cocaina;

cioè un reato in relazione al quale, con la predetta sentenza, l’imputato non ha riportato condanna alcuna.

Esattamente, poi, lo stesso giudice del gravame ha ritenuto irrilevante la circostanza che, nel contesto della motivazione della predetta sentenza, è stato fatto riferimento al ritiro, da parte dell’imputato, di 200 grammi di cocaina, asseritamente identificabili con la droga la cui detenzione costituisce oggetto del presente procedimento, trattandosi di riferimento utilizzato solo per ribadire la sussistenza del delitto associativo contestato in quel diverso procedimento.

Argomentazioni, quelle esposte del giudice del gravame, assolutamente corrette e condivisibili, che rivelano, non solo la manifesta infondatezza del ricorso in esame, ma anche la genericità dello stesso, sotto il profilo dell’aspecifìcità dei motivi, elaborati dal ricorrente senza rapportarsi alle precise osservazioni e valutazioni poste dallo stesso giudice a fondamento della contestata decisione.

Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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