Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-03-2012, n. 4300 Danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Frosinone, con sentenza del 15 maggio 2006, condannava il comune di Ceprano al risarcimento del danno nella misura di Euro 148.382,67 in favore A., G., D., C. e F.d.C.M.T. per l’avvenuta occupazione espropriativa di alcuni terreni di loro proprietà ubicati nella locale contrada (OMISSIS) (in catasto al fg. 25, part. 55 e 218) onde realizzare alcune attrezzature sportive.

L’impugnazione del comune è stata respinta dalla Corte di appello di Roma (ad eccezione del motivo inerente al danno da rivalutazione monetaria ridotto all’importo di Euro 132.236,38) che, con sentenza dell’11 ottobre 2010, ha osservato (per quanto qui ancora interessa):

a) nessun mutamento della causa petendi era stato compiuto dagli attori e dal Tribunale che aveva accertato proprio l’irreversibile trasformazione dell’immobile dagli stessi denunciata in mancanza di un provvedimento ablatorio della p.a.; b) allorquando; poi, era stato adottato il decreto di espropriazione (anno 1996) erano scaduti entrambi i termini finali contenuti nella dichiarazione di p.u. che ne avevano comportato la decadenza fin dal 1992, provocando l’inefficacia dell’occupazione temporanea ancora in corso (e delle eventuali proroghe della stessa).

Per la cassazione della sentenza, il comune di Ceprano ha proposto ricorso per 6 motivi;cui resistono i F.d.C. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso, il comune di Ceprano, deducendo violazione degli artt. 37 e 112 cod. proc. civ., ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, già affermato dalle Sezioni Unite a seguito della L. n. 205 del 2000, tutte le volte in cui la irreversibile trasformazione dell’immobile che provoca l’occupazione appropriativa sia antecedente alla inefficacia della dichiarazione di p.u., nella specie verificatasi a tutto concedere il 5 maggio 1992; e, d’altra parte, devolvendo l’art. 53 T.U. sulle espropriazioni per p.u. alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie (in cui si invoca la tutela demolitoria e/o risarcitoria) contro comportamenti della p.a. costituenti esecuzione di precedenti manifestazioni di volontà in forma provvedimentale di potere ablatorio, nel caso ravvisabile nella dichiarazione di p.u., pur se poi seguita da un procedimento ablativo non portato a compimento con l’emissione del decreto di esproprio.

Il motivo è inammissibile.

Lo stesso comune nel descrivere i fatti di causa, ha riconosciuto di non aver sollevato alcuna questione di giurisdizione nel giudizio di primo grado, concluso dalla decisione 15 maggio 2006 del Tribunale che, condannando l’ente pubblico al risarcimento del danno per l’illegittima espropriazione del fondo F., ha deciso la causa nel merito ritenendo implicitamente la propria giurisdizione sulla controversia.

Siffatta statuizione non è stata censurata dal ricorrente che pure ha proposto ben 7 motivi di appello contro la decisione, specificamente trascritti (pag. 21-22), in nessuno dei quali ha lamentato la decisione dei primi giudici di pronunciare sul merito dell’occupazione espropriativa, invece di declinare la propria giurisdizione; così come la relativa eccezione non ha avanzato neppure al momento della precisazione delle conclusioni (cfr. pag. 2 sent.): sollevandola per la prima volta inammissibilmente nella successiva comparsa conclusionale, avente invece la sola funzione di illustrare le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondano le domande e le eccezioni già proposte e non anche quella di contenere domande o eccezioni nuove (Cass. 5478/2006). E, d’altra parte, non potendosi confondere con una questione di giurisdizione quella relativa alla contestata disapplicazione del decreto di esproprio prospettata dal comune con la citazione in appello (pag. 26 ric.), che attiene ai limiti interni dei poteri attribuiti dalla L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, all. E, al giudice ordinario in presenza di un provvedimento amministrativo (illegittimo). Per cui il Collegio deve dare continuità alla propria giurisprudenza, ormai consolidata,secondo cui la parte che ometta di proporre appello avverso il punto della sentenza di primo grado che rigetti la sua domanda nel merito, non può censurarla dinanzi alla Corte di cassazione sotto il profilo del difetto di giurisdizione, contenendo essa una statuizione di merito il cui passaggio in giudicato determina la definitiva affermazione della giurisdizione del giudice adito sull’intera controversia (Cass. sez. un. 24883/2008 e succ., nonchè 11 gennaio 2011 n. 407).

Con il terzo motivo del ricorso, da esaminarsi a questo punto,il comune deducendo violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata di essere incorsa – confermando sul punto quella di primo grado – nel vizio di extra ed ultra petizione per avere controparte fondato la natura illegittima dell’espropriazione soltanto sull’inutile decorso del quinquennio di occupazione temporanea asseritamente scaduto l’8 giugno 1992; laddove entrambi i giudici di merito avevano accolto una diversa causa petendi, prospettata dai F. per la prima volta nella comparsa conclusionale ed incentrata questa volta sull’inutile spirare dei termini finali di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13, per il compimento dei lavori e delle espropriazioni, nonchè in particolare di quest’ultimo termine indicato in 60 mesi dalla delibera comunale 29 gennaio 1987 di approvazione del progetto: e quindi in definitiva sulla inefficacia della dichiarazione di p.u. che aveva reso irrilevanti tanto le proroghe dell’occupazione d’urgenza, quanto il sopravvenire nel 1997 del decreto di esproprio.

La doglianza è del tutto inconsistente.

Il comune ha trascritto nel ricorso il contenuto della citazione introduttiva del giudizio che qui rileva, nella quale i F. avevano riferito i fatti salienti della procedura ablativa in loro danno, individuandoli nella menzionata dichiarazione di p.u. del 29 gennaio 1987, contenente tra l’altro il termine finale di 60 mesi per il compimento delle espropriazioni, nonchè nel decreto di occupazione di urgenza del loro fondo seguito dalla tempestiva immissione in possesso avvenuta l’8 giugno 1987. Sulla base di queste circostanze fattuali, non più mutabili, hanno dedotto quale causa petendi la c.d. occupazione espropriativa dell’immobile verificatasi l’8 giugno 1992 per la contestuale scadenza del titolo che ne legittimava l’occupazione e la già avvenuta irreversibile trasformazione in epoca antecedente nell’opera pubblica programmata dalla dichiarazione di p.u.; ed hanno richiesto (petitum) l’indennizzo di natura risarcitoria loro spettante ex art. 42 Cost., in misura corrispondente al valore venale del bene per la perdita coattiva del diritto dominicale.

Nessun’altra indicazione o precisazione era loro richiesta dagli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., per invocare utilmente l’espropriazione illegittima,subordinata fin dalle note decisioni 1484/1983 e 3940/1988 delle Sezioni Unite di questa Corte che ne hanno individuato gli elementi costitutivi: a) all’esistenza di una valida dichiarazione di p.u.; b) alla mancanza ovvero alla scadenza di un titolo legittimante l’apprensione-detenzione del fondo privato (ipotesi quest’ultima prospettata dai F.); c) alla sua irreversibile trasformazione prima dell’adozione del decreto di espropriazione (o di un contratto di cessione volontaria).

Spettava invece all’ente pubblico che non aveva disconosciuto tale quadro fattuale e giuridico,dedurre e documentare le circostanze che pur in presenza di esso, escludevano egualmente la possibilità di configurare l’istituto: indicate da detta amministrazione nelle proroghe dell’occupazione temporanea introdotte dapprima dalla L. n. 47 del 1988, art. 14 (per un biennio), e successivamente dalla L. L. n. 158 del 1991, art. 22 (per altro biennio) che ne avevano allungato la durata autorizzata fino all’8 giugno 1996 (in cui era già intervenuto il decreto ablativo).

Rimasta ferma quindi la situazione procedimentale allegata dai proprietari e dipendendo la decisione della controversia in favore dell’una piuttosto che dell’altra parte dall’applicabilità o meno delle due disposizioni legislative, per il disposto dell’art. 113 cod. proc. civ. (iura novit curia: Cass. 10549/2007) spettava in via esclusiva al giudice il potere-dovere non soltanto di conoscerne ed interpretarne il contenuto onde dare risposta al quesito posto dal comune, ma più in generale di "ricercare" autonomamente i precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità da applicare alla fattispecie; e di stabilire infine per ciascuno di essi presupposti e limiti di detta applicabilità: per quanto riguarda le proroghe in questione costantemente ravvisati dalla giurisprudenza di legittimità nella vigenza ed efficacia della dichiarazione di p.u., in mancanza delle quali l’intervenuta proroga, pur disposta per legge, non può incidere sul termine di occupazione temporanea (e quindi sul successivo decreto di esproprio) per essere quest’ultima travolta dalla mancanza dell’atto presupposto e, quindi, affetta da invalidità derivata (Cass. 39072011; sez. un. 10024/2007, nonchè 14826/2006; 20459/2005; 2870/2005). Mentre ciascuna delle parti conservava la facoltà di dedurre immediatamente o di introdurre nel prosieguo del giudizio nuove argomentazioni, difese e prospettazioni, nonchè di richiamare (altre) disposizioni di legge dirette a sostenere o per converso a contestare l’applicazione della proroga: inidonee, a differenza delle domande nuove,a modificare sotto alcun profilo l’originario thema decidendum devoluto al giudice di primo grado.

Pertanto non soltanto nel caso la relativa questione è stata introdotta dal comune con il richiamo alle relative norme di legge, che perciò solo consentiva alla controparte di contestarne l’applicabilità (con la prospettazione, appunto, della loro inoperatività per la scadenza dei termini di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13), ma l’obbligo di pronunciarsi su di essa induceva necessariamente, il giudice a verificarne comunque i presupposti cui lo stesso legislatore l’aveva subordinata, in quanto attinenti al dovere di esatta applicazione della legge (Cass. 12265/2003;

1273/2003; 8636/2000); così come hanno fatto entrambi i giudici di merito,che sono pervenuti al risultato di non considerare nessuna delle due proroghe e perciò di confermare proprio la situazione fattuale-giuridica prospettata dagli espropriati nella citazione introduttiva del giudizio (occupazione appropriativa verificatasi al maturare del termine di 60 mesi dalla Delib. Comunale 29 gennaio 1987).

Con il quarto motivo, il ricorrente, deducendo diversi vizi di motivazione in ordine alla ritenuta scadenza della dichiarazione di p.u., si duole che i giudici di appello non abbiano considerato al riguardo: a) che trovando applicazione nella fattispecie la L. n. 1 del 1978, i termini di cui all’art. 13 della legge del 1865, erano assorbiti dall’unico termine triennale di cui alla prima legge: nel caso pacificamente osservato dal comune; b) che in ogni caso trattandosi di termini diacronici per il compimento dei lavori e delle espropriazioni, rilevava esclusivamente secondo la giurisprudenza di legittimità il primo di essi, anch’esso osservato per la costruzione dell’opera programmata; c) che non era, infine, scaduto neppure il termine di 60 mesi fissato dalla menzionata delibera del 1987 per il compimento delle espropriazioni, essendo stato lo stesso prorogato dalla L. n. 166 del 2002, art. 4, con la conseguenza che la dichiarazione di p.u. era ancora efficace al momento della pronuncia del decreto ablativo.

Quest’ultimo profilo della censura è fondato.

Premesso che i termini di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13 e quello triennale di cui alla L. n. 1 del 1978, art. 1, assolvono, secondo la giurisprudenza di questa Corte, a diverse funzioni che ne richiedono la contestuale osservanza, previo raccordo degli stessi, a pena della decadenza della dichiarazione di p.u. (Cass. 8210/2007;

15516/2006; 14461/2004), il Collegio deve osservare che i giudici di merito hanno definitivamente accertato: a) che con Delib. 29 gennaio 1987, divenuta esecutiva il 5 maggio 1987 e costituente dichiarazione di p.u. dell’opera, il comune di Ceprano ha approvato il progetto per l’ampliamento del centro sportivo comunale; b) che il provvedimento conteneva la previsione dei 4 termini indicati dalla L. n. 865 del 1971, art. 13, per il compimento dei lavori e delle espropriazioni;

l’ultimo dei quali di 60 mesi dalla data di esecutività della delibera veniva a scadere il 5 maggio 1992; c) che con la stessa delibera era stata disposta l’occupazione temporanea dell’immobile F., nel cui possesso il comune si era immesso l’8 giugno 1987;

d) che la sua irreversibile trasformazione si è verificata in data non successiva al 10 dicembre 1989, in cui veniva completata la costruzione dell’impianto sportivo.

A queste vicende, non più contestate dalle parti, la Corte di appello non ha correttamente applicato la legislazione particolare intervenuta nel settore proprio nel decennio in questione la quale ha comportato (per quanto qui interessa): una proroga automatica di due anni per le occupazioni d’urgenza in corso per effetto della L. n. 47 del 1988, art. 14, ed una seconda, ancora di due anni, per effetto dell’art. 22 della successiva L. n. 158 del 1991; un’ultima disposizione di collegamento contenuta nella L. n. 166 del 2002, art. 4, in base al cui art. 4 tutte le proroghe disposte dalla normativa emergenziale e, quindi, anche quelle introdotte dalle menzionate disposizioni legislative del 1985 e del 1988, specificamente ricordate, devono intendersi con effetto retroattivo, riferite ai procedimenti espropriativi comunque "in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti". E l’effetto di proroga deve infine essere esteso anche ai connessi procedimenti espropriativi, compreso il termine per l’emissione del decreto di esproprio,essendo illogica la previsione del perdurare di un regime occupatorio temporaneo senza il corrispondente slittamento dei termini utili per il completamento del procedimento ablativo (Cass. sez. un. 2630/2006; nonchè 10216/2010).

Per cui,le Sezioni Unite di questa Corte hanno concluso che per effetto delle menzionate disposizioni legislative, non soltanto le occupazioni temporanee e d’urgenza, ma anche le dichiarazioni di p.u. che ne costituiscono un presupposto indefettibile sono state prorogate di un corrispondente periodo onde evitarne la scadenza diacronica: in conformità del resto alla finalità di detta legislazione di predisporre un apposito apparato normativo onde protrarre automaticamente la validità dei procedimenti di espropriazione in corso in attesa che il Parlamento procedesse all’approvazione della nuova disciplina delle indennità di esproprio resa necessaria secondo la Corte Costituzionale dalle note declaratorie di incostituzionalità di cui alle proprie decisioni 5/1980 e 223/1983 (Cass. 8734/1997; Corte Costit. 163/1994 e 244/1993).

Al lume di questi principi risulta palese la legittimità e tempestività del decreto di esproprio adottato il 5 giugno 1996 una volta che il decreto di occupazione non poteva più considerarsi scaduto l’8 giugno 1992 – allo spirare, cioè del quinquennio successivo alla data di immissione in possesso ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 20 – ma prorogato per complessivi 4 anni (2+2 anni) fino all’8 giugno 1996; e che analoga proroga aveva ricevuto la dichiarazione di p.u., con particolari riguardo al termine per il compimento delle espropriazioni (posto che quello per il compimento dell’opera più non rilevava, essendo stato osservato): perciò ancora in corso quando è intervenuto il decreto ablativo, che ha dunque concluso ritualmente il procedimento e provocato l’acquisizione del fondo F. in capo all’amministrazione espropriante.

Assorbiti, pertanto, i restanti motivi del ricorso, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto,e non essendo necessari ulteriori accertamenti, il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., rigettando la domanda di risarcimento del danno avanzata dai F.d.C..

Le vicende obbiettivamente controvertibili sull’applicazione delle proroghe legali, risolte soltanto dalla L. n. 166 del 2002, inducono il Collegio a dichiarare interamente compensate tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo ed il terzo motivo del ricorso, accoglie il quarto ed assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito respinge le domande dei F.d.C.;

dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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