Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-03-2012, n. 4299 Beni di interesse storico, artistico e ambientale ricerca e ritrovamenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello dell’Aquila,con sentenza dell’8 maggio 2010, ha confermato la decisione 31 luglio 2003 del Tribunale dell’Aquila che aveva respinto la domanda della s.r.l. Abbruzzi Acciai di condanna al risarcimento del danno del Ministero per i Beni e le attività culturali, il quale, dopo aver occupato con decreto del 9 febbraio 1993 un lotto di terreno assegnatole per la realizzazione degli interventi di cui al D.P.R. n. 218 del 1978, art. 1, con Delib.

16 dicembre 1991 del Consiglio comunale di Fossa, essendovi stati rinvenuti durante l’esecuzione dei lavori numerosi reperti archeologici, ne aveva acquistato la proprietà in forza della c.d. occupazione espropriativa. Ha osservato al riguardo: a) che la legittimazione a conseguire l’indennizzo spettava al proprietario del fondo laddove la posizione della società era rimasta quella di assegnataria, posto che nessuna convenzione di cessione del bene era intercorsa con il comune; b) che neppure potevano essere risarciti gli ulteriori pregiudizi conseguenti all’occupazione, quali esborsi e spese, nonchè omessi guadagni e perdita degli utili del costruendo stabilimento sia per la legittimità del titolo con cui il Ministero aveva appreso l’immobile, sia perchè la società era titolare di una mera aspettativa all’utilizzazione dello stesso, perciò insuscettibile di tutela risarcitoria.

Per la cassazione della sentenza, l’Abbruzzi Acciai ha proposto ricorso affidato a due motivi articolati in più censure. Il Ministero non ha spiegato difese.

Motivi della decisione

2. Con il ricorso la soc. Abruzzo Acciai, deducendo violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente ed illogica motivazione su punti decisivi della controversia censura la sentenza impugnata: a) anzitutto per aver esaminato soltanto il prospettato diritto di proprietà sull’immobile e non anche quelli di superficie ed il possesso dedotti in subordine (1 motivo); b) quindi per averle attribuito una posizione di mera aspettativa in ordine al lotto espropriato, già assegnatole, senza considerare che si trattava invece di un vero diritto di proprietà ottenuto per effetto dell’assegnazione seguita dall’immissione in possesso e dal conseguimento della concessione edilizia con inizio dei lavori di sbancamento: perciò rendendosi superflua la convenzione menzionata dalla L. n. 865 del 1971, art. 27, ed insorgendo semmai altro titolo di acquisto per occupazione appropriativa in suo favore; c) che in subordine, era stato dedotto il proprio diritto di superficie derivante dall’assegnazione del lotto sul quale nessuna risposta aveva dato la Corte di appello; d) che altra causa petendi era stata indicata nell’incontestato possesso del fondo, quale situazione di fatto autonomamente tutelabile e fonte di per sè del diritto al risarcimento del danno comunque concesso dalla giurisprudenza allorchè lo stesso è illegittimamente interrotto; e) che il provvedimento di sospensione dell’attività edilizia non poteva comprimere alcuna di dette situazioni soggettive, che gli conferivano il diritto al risarcimento anche degli ulteriori pregiudizi sofferti,quali esborsi, perdite e mancati guadagni, completamente trascurati dalla decisione impugnata.

3. Il ricorso, con il quale la società ripropone pedissequamente assunti e considerazioni avanzati nel giudizio di merito, è infondato.

Non avendo la stessa riferito circostanze diverse da quelle indicate dalla sentenza di appello, la Corte deve ritenere definitivamente accertato: a) che la soc. Abbruzzo Acciai con Delib. 16 dicembre 1991 del Consiglio comunale di Fossa aveva ricevuto l’assegnazione dell’area compresa nel lotto 23 del P.I.P. approvato da detta amministrazione, per la realizzazione degli interventi di cui al D.P.R. n. 218 del 1978, art. 1; b) che tuttavia, conseguita la concessione edilizia ed iniziati i lavori di sbancamento da parte della società,gli stessi erano stati immediatamente sospesi dalla Soprintendenza per il reperimento di reperti archelogici di notevole interesse; ed il Ministero dei Beni culturali, subito dopo aveva ottenuto in data 9 febbraio 1993 decreto di occupazione di urgenza dell’immobile,alla scadenza del relativo periodo acquisito al demanio statale ( art. 822 c.c., comma 2, in relazione alla L. n. 1089 del 1939, art. 44; vedi ora il D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 88), per effetto della c.d. occupazione espropriativa.

Al lume di queste premesse, correttamente entrambi i giudici di merito hanno escluso la legittimazione della società Abbruzzo, perchè mera assegnataria dell’area espropriata, a richiedere all’amministrazione espropriante la corresponsione dell’indennizzo per la perdita coattiva dell’immobile, la quale invece compete esclusivamente al proprietario (Cass. 14205/2009; 13115/2004;

12022/2004) o, in caso di enfiteusi all’enfiteuta ( L. n. 2359 del 1865, art. 27, comma 2; art. 963 cod. civ., u.c.); nonchè (per quanto riguarda l’indennità aggiuntiva) al fittavolo, al colono ed agli altri coltivatori della terra nell’ipotesi prevista dalla L. n. 865 del 1971, art. 17, comma 2, che il fondo appreso sia da essi coltivato, ed ai soggetti agli stessi equiparati: come il coltivatore diretto assegnatario da parte di un ente di riforma fondiaria di un terreno con patto di futura vendita (Cass. sez. un. 2313/1979, nonchè 7089/1990). Mentre la L. n. 865 del 1971, art. 19, faculta a proporre opposizione alla stima dell’indennità "i proprietari e gli altri interessati", questi ultimi identificabili secondo la giurisprudenza di legittimità, nei titolari di diritti o pretese reali sul bene, in concorso ovvero in conflitto con la posizione del proprietario: come esemplificativamente avviene per l’usufruttuario cui la L. n. 2359 del 1865, art. 27, già attribuiva il diritto di pretendere dal proprietario indennizzato la corresponsione della parte di indennità che gli spetta, nonchè quello di agire o di intervenire nel giudizio di opposizione per chiedere che nell’indennità da assegnare al proprietario venga ricompresa anche la somma che quest’ultimo dovrà corrispondergli.

E d’altra parte, detta legittimazione non può essere estesa anche ai soggetti che abbiano un diritto personale di godimento o addirittura una mera aspettativa (come l’assegnatario) oppure una relazione di fatto sull’immobile (come il possessore) per il fatto che nel caso concreto l’acquisizione del terreno al Ministero è avvenuta in conseguenza di occupazione espropriativa (o appropriativa), piuttosto che a seguito di regolare decreto ablativo: appartenendo pure quest’ultima alla materia delle espropriazioni per p.u. considerate dal precetto dell’art. 42 Cost. (cfr. L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 6), che riserva al legislatore il potere discrezionale di modulare contenuto,ampiezza e denominazione dell’indennizzo, avente peraltro identica funzione nelle varie fattispecie disciplinate;

sicchè la sola differenza fra le due tipologie di espropriazione è che proprio in forza della norma costituzionale lo stesso assume nelle ablazioni illegittime la fisionomia di un risarcimento del danno integrale, corrispondente al valore venale pieno dell’immobile espropriato ( L. n. 2359 del 1865, art. 39), sì da raggiungere, secondo la Corte Costituzionale, "la sua massima estensione consentita" in luogo del "massimo di contributo di riparazione che nell’ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica amministrazione può garantire all’espropriato" nell’ipotesi di trasferimento coattivo in cui sia osservata la sequenza procedimentale stabilita dalla legge (Corte Costit. 188/1995;

179/1999; 349/2007; Cass. 10560/2008).

4. La qualità di proprietario non è poi ravvisabile in capo alla società per alcuno dei profili prospettati: non in base al regime stabilito dal menzionato della L. n. 865 del 1971, art. 27, poichè la norma richiede al riguardo la stipulazione ad substantiam ( art. 1350 cod. civ.) di un’apposita convenzione, peraltro in conformità alle regole poste dall’evidenza pubblica ricordate dalla Corte di appello, che non ammette equipollenti e che è pacifico non essere stata mai conclusa tra il comune e l’Abbruzzo Acciai. E la ricorrente non ha prospettato neppure l’avvenuta adozione da parte dell’ente pubblico di un provvedimento di concessione del diritto di superficie, pur esso nominato e tipico, che non si presta ad essere sostituito dall’immissione nel possesso del bene (o dal conseguimento della concessione edilizia); e che infine attribuisce al concessionario il diritto di superficie a tempo determinato, non equiparabile al diritto reale maggiore. Che era il solo titolo idoneo a legittimare la pretesa della società a fronte dell’ablazione subita.

Ancor meno sostenibile è che la convenzione o il provvedimento concessorio nel caso fossero divenuti superflui per avere la ricorrente già acquistato la proprietà del lotto assegnatole in seguito all’occupazione espropriativa conseguita allo sbancamento del fondo ed ai lavori realizzati prima del provvedimento di sospensione,muniti di regolare concessione edilizia; e ciò per diversi ordini di ragioni: a) perchè fin dalle più lontane decisioni che hanno definito presupposti e confini dell’istituto,le Sezioni unite della Corte (cfr. sent. 3940/1988; 3963/1989;

4619/1989) ne hanno evidenziato la distinzione dal fenomeno, indiscriminato e generico dell’apprensione sine titulo per qualsivoglia ragione e fine (pur se di interesse collettivo) di un bene immobile altrui, affermando che lo stesso è necessariamente caratterizzato "quale suo indefettibile punto di partenza" da una dichiarazione di p.u. dell’opera e "quale suo indefettibile punto di arrivo" dalla realizzazione dell’opera pubblica medesima: perciò necessariamente appartenente alla categoria dei beni demaniali ovvero di quelli patrimoniali indisponibili,e strettamente sottoposta al relativo regime pubblicistico che ne impedisce alla stessa amministrazione la dismissione e la restituzione del suolo all’originario proprietario. Con la conseguenza che esulano necessariamente da tale schema applicativo le costruzioni che pur assolvendo a finalità di pubblico interesse, restano (come il manufatto industriale per cui è causa), di appartenenza privata (Cass. 7514/2011; 23798/2006; 8777/2004; 9585/1997; 4738/1997; sez. un. 9521/1996); b) perchè; per il verificarsi dell’occupazione espropriativa non è perciò sufficiente l’inizio e/o l’esecuzione di un qualsiasi lavoro edilizio, ma è necessaria la irreversibile trasformazione del fondo appreso nell’opera pubblica programmata dalla dichiarazione di p.u.: perciò richiedendosi che detta trasformazione della realtà materiale preesistente determini l’impossibilità giuridica di continuare ad utilizzare il bene in conformità della sua precedente destinazione, dando così luogo ad una sostanziale vanificazione del diritto di cui il bene costituiva l’oggetto (Cass. fin da sez. un. 1484/1983; nonchè 9521/1996;

6952/1997); c) perchè proprio con riferimento all’attuazione dei piani per gli insediamenti produttivi, come delineata dalla L. n. 865 del 1971, art. 27, l’intervento di trasformazione fisica del bene è compiuto dall’assegnatario (pur quando titolare del diritto di superficie concesso dal Comune) nell’esclusiva veste di esecutore materiale di un progetto la cui attuazione è solo del Comune; il quale non solo espropria, ma anche utilizza le aree. Sicchè, in mancanza di delega a terzi (enti o istituti, ai sensi dell’art. 60 della stessa legge) dell’esercizio dei poteri espropriativi, l’occupazione appropriativa si compierebbe comunque a favore dell’ente pubblico (Cass. sez. un. 9040/2008) e non a favore dell’assegnatario: conclusivamente titolare nella specie di un’aspettativa (avente la consistenza stabilita nel provvedimento di assegnazione) nei confronti del solo comune alla stipulazione del contratto di cessione ovvero all’affidamento della concessione del diritto di superficie.

5. Il Collegio deve aggiungere che il risarcimento del danno chiesto all’espropriante non spetta alla società (così come non spetterebbe al proprietario effettivo del lotto) neppure modificando la causa pretendi originaria e ravvisandola non più nella illegittima espropriazione subita, bensì "negli esborsi sostenuti per spese di progettazione, spese per le pratiche di ammissione al finanziamento, costi societari ed infine per il mancato guadagno a causa del mancato finanziamento, nonchè per la perduta opportunità della realizzazione dello stabilimento industriale" (pag. 5 sent.): avendo questa Corte ripetutamente affermato che a seguito di espropriazione subita – legittima o illegittima – il proprietario ha diritto esclusivamente all’indennità di cui all’art. 42 Cost.; che è unica, ed essendo destinata a tener luogo del bene espropriato, non può superare in nessun caso il valore che esso presenta, in considerazione della sua concreta destinazione. Sicchè il termine di riferimento per la sua determinazione è rappresentato dal solo valore di mercato del bene, e non anche dal reale pregiudizio che lo stesso proprietario od altro titolare di minore diritto di godimento risentono per il fatto di vedere dissolta, o, comunque, compromessa l’organizzazione aziendale da intendersi nel senso di cui all’art. 2555 cod. civ., o dal non potere ulteriormente svolgere mediante l’uso dello stesso immobile la precedente attività; ovvero, ancora dal non potervi intraprendere l’attività programmata;ed a maggior ragione per i costi sostenuti per la sua progettazione e realizzazione e quelli per la eventuale ricostruzione o ristrutturazione altrove; nonchè per ogni altra conseguenza pregiudizievole – ivi compreso il mancato guadagno (lucro cessante) – del ridimensionamento e/o della cessazione dell’attività imprenditoriale (Cass. 2428/2008; 11782/2007; sez. un. 5609/1998).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore del ministero in complessivi Euro 3.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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