Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-05-2011) 11-10-2011, n. 36625

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

-1- H.A., imputato ex art. 186 C.d.S., propone ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Lanusei, del 10 dicembre 2010, che ha respinto l’appello proposto avverso il provvedimento del Gip dello stesso tribunale, dell’11 novembre 2010, con il quale è stata rigettata la richiesta di revoca del sequestro preventivo dell’auto di proprietà dello stesso.

Deduce il ricorrente, a) violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, non essendo stato lo stesso comunicato al ricorrente accompagnato da una traduzione in lingua araba che potesse consentirgli di intenderne il significato, identica violazione si sarebbe verificata per il provvedimento del Gip; b) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al mancato rispetto, nell’adozione del decreto di sequestro, dei termini previsti dall’art. 321 cod. proc. pen., comma 3 bis; c) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza del reato di cui all’art. 186 C.d.S.; d) violazione di legge e vizio di motivazione, per avere il giudice ritenuto obbligatoria la confisca dell’auto con una interpretazione della norma di riferimento che, se confermata, dovrebbe condurre alla declaratoria di incostituzionalità del richiamato art. 186 per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., pure eccepita dal ricorrente in via subordinata; e) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancato affidamento all’imputato dell’auto in sequestro.

Motivi della decisione

-1- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi. a) Con riguardo al tema della traduzione in lingua araba del provvedimento emesso dal Gip, il tribunale, oltre a richiamare i principi affermati in proposito da questa Corte in tema di misure cautelari reali a proposito sia della necessità della traduzione degli atti che delle eventuali conseguenze determinate dalla mancata traduzione (limitate alla sola decorrenza del termine per impugnare il provvedimento), ha anche evidenziato come non risultasse agli atti a disposizione del Gip e dello stesso collegio l’incapacità dell’indagato di comprendere la lingua italiana. Tale condizione non potendosi certo dedurre dalle circostanze indicate nel ricorso, quali: l’asserita redazione dell’istanza di revoca del sequestro da parte di persona diversa dall’indagato (che segnala solo la mancata conoscenza, da parte dell’interessato, delle norme processuali) e la mancata sottoscrizione del verbale di sequestro (che denuncia solo la non condivisione del provvedimento). Nell’ordinanza impugnata, peraltro, è stato segnalato, evidentemente quale prova della conoscenza da parte dell’ H., della lingua italiana, che allo stesso è stata rilasciata, fin dall’anno 2000, l’autorizzazione all’esercizio del commercio; circostanza dalla quale è certamente lecito desumere che l’imputato (che, secondo quanto si sostiene nel ricorso esercita l’attività di venditore ambulante) abbia, attesa anche la sua pluridecennale presenza in Italia, ampia dimestichezza con la lingua italiana. Considerazioni analoghe valgono con riguardo alla denunciata mancata traduzione del provvedimento impugnato. b) Con riguardo ai termini di cui all’art. 321 cod. proc. pen., comma 3 bis ed all’inefficacia del sequestro ex comma 3 ter rileva la Corte che, secondo quanto sostenuto nell’ordinanza impugnata, non smentita, sul punto, dal ricorrente, il decreto di sequestro nei confronti del quale l’indagato ha avanzato istanza di revoca -non accolta dal Gip il cui provvedimento, impugnato davanti al Tribunale di Lanusei, è stato confermato con l’ordinanza censurata davanti a questa Corte- non è stato adottato in sede di convalida di un provvedimento d’urgenza emesso ai sensi dell’art. 321 cod. proc. pen., comma 3 bis, la cui violazione viene oggi dedotta con conseguente richiesta di dichiarazione di inefficacia del decreto stesso ex comma 3 ter della stessa disposizione di legge, bensì in sede di autonoma vantazione del giudice, su richiesta della competente autorità inquirente.

Se così è (manca in atti il decreto di sequestro, nè lo stesso è stato prodotto dal ricorrente), la dedotta censura è manifestamente infondata, atteso che le norme sopra richiamate riguardano i casi di sequestro d’urgenza, non anche quelli di sequestro autonomamente adottato dal Gip ai sensi del citato art. 321 cod. proc. pen., comma 2, come ha correttamente sostenuto il tribunale in risposta alla richiesta di revoca del decreto di sequestro giustificata con la violazione dell’art. 321, commi 3 bis e 3 ter. c) In ordine alla riconducibilità della condotta contestata all’indagato nell’ambito della fattispecie contravvenzionale sopra richiamata, correttamente il tribunale ha ricordato gli esiti dell’alcoltest, sufficienti per l’astratta sussistenza del reato contestato, e la inconferenza, nella sede cautelare, di argomentazioni quali quelle relative: al funzionamento ed alla conformità a norma dell’apparecchio etilometrico utilizzato nel caso di specie, che saranno oggetto del dibattito processuale nella sede competente, alla restituzione della patente di guida da parte del giudice di pace, ovvero quelle relative alla idoneità alla guida dell’indagato, non messa in discussione, in via generale. d) In tema di obbligatorietà della confisca, rileva la Corte che l’art. 186 del codice della strada, come modificato dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 4 convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125, prevede per il reato in questione la confisca obbligatoria dell’auto con la quale è stata commessa l’infrazione, salvo che essa appartenga a persona estranea al reato.

Della natura obbligatoria della confisca in questione, quindi, non possono esservi dubbi, proprio per i termini adoperati dal legislatore ("è sempre disposta la confisca"). Da detta natura obbligatoria discende, d’altra parte, che l’esistenza del "periculum", cui l’adozione della misura è generalmente subordinata, è presunta per legge e non deve essere accertata caso per caso e che non può essere disposta la restituzione del veicolo prima della sentenza definitiva (tranne che non venga meno il "fumus") – Cass. nn. 36822/08, 17439/05.

Nessuna ulteriore verifica spettava, quindi, al giudice se non quella, regolarmente eseguita, della astratta riconducibilità della condotta contestata nell’ambito della fattispecie ipotizzata.

D’altra parte, la natura amministrativa del sequestro e della confisca, riconosciuta dall’art. 186 C.d.S., a seguito delle modifiche legislative introdotte con la L. n. 120 del 2010, non si pone in senso contrario rispetto a quanto sopra dedotto, ove si consideri, che tali modifiche non hanno fatto venir meno il connotato della obbligatorietà.

Manifestamente infondata è, infine, l’eccezione di incostituzionalità della norma in esame, laddove è stata rilevata con riguardo all’art. 3 della Carta Costituzionale, posto che la segnalata diversità di trattamento ben si giustifica con l’esigenza di contenere un fenomeno che provoca particolare allarme sociale per la sua diffusione e per le gravi conseguenze che lo caratterizzano;

generica è, invece, l’eccezione riferita agli artt. 24 e 111 della citata Carta. e) Quanto alla richiesta di affidamento dell’auto in sequestro, legittimamente il tribunale ha ritenuto di non accoglierla, non avendo peraltro rilevato la sussistenza di ragioni che ne consentissero l’accoglimento; tale non essendo stata legittimamente ritenuta l’attività di commerciante ambulante esercitata dall’indagato.

-2- Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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