T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-11-2011, n. 8709 Note di qualifica e rapporti informativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Parte ricorrente – detentore sin dalla 1991 della qualifica di Assistente della P.S. – è stato, in sede di r.i. (che, come noto, è il documento con cui l’amministrazione valuta il servizio prestato dal dipendente in rapporto all’incarico ed alle funzioni svolte in un dato anno di riferimento), apprezzato col giudizio complessivo di:

buono, con pp.21, per l’anno 1992;

buono, con pp.20, per l’anno 1993;

buono con pp.21, per l’anno 1994;

mediocre, con pp. 19, sia per l’anno 1995 che per l’anno 1996.

Nel corso di quest’ultimo anno (1996) si rendeva, peraltro, responsabile di fatti penalmente rilevanti (acquistava circa 60 marche da bollo per patenti che sapeva falsificate e successivamente le rivendeva, a prezzo di Lire3 milioni, ad un tabaccaio), dai quali scaturivano una serie di procedimenti penali che davano luogo ad una condanna complessiva di anni 1 e mesi 1 di reclusione e Lire600.000 di multa (sentenze C.a. di Torino del 6.2.1998 e dell’11.12.2001).

Divenuta irrevocabile (in data 29.3.1998) la prima delle due citate decisioni, l’Amministrazione di appartenenza – che lo aveva sospeso dal servizio il 12.6.1996 – con provvedimento del 13.1.1999 ne disponeva (in esito a procedimento disciplinare) la destituzione: sanzione annullata da questa Sezione, con sent.n.670/2006, per vizi afferenti il procedimento citato (ultimato oltre il termine decadenziale ex lege previsto).

Rimasta inappellata la decisione citata, l’amministrazione lo riammetteva in servizio sottoponendolo ad accertamento volto al riscontro della permanenza dei requisiti psicofisiciattitudinali e ne disponeva, con atto del 14.10.2006, la cessazione dal servizio perché giudicato inidoneo sotto il profilo attitudinale.

Detto provvedimento, su ricorso del dipendente (ancora sub iudice), veniva cautelarmente sospeso da Questa Sezione con ordinanza confermata il 22.5.2007 dal Giudice di appello.

In esito a detta ultima pronuncia, l’Amministrazione, il 30.7.2007, lo riammetteva in servizio, con decorrenza, di fatto, sotto la stessa data e con riserva di rivedere la sua posizione all’esito della definizione del merito del ricorso giurisdizionale tuttora pendente.

Essendo rimasto assente dal servizio dal 1997 al 2006 (e dunque, non essendo stato compilato per alcuno di detti anni, il previsto r.i.) la Commissione per il personale del ruolo degli Agenti e Assistenti di cui all’art.69 del d.P.R. n.335 del 1982 (di seguito: Commissione), lo valutava, il 5.2.2009, ai sensi dell’art.53, c.1 del d.P.R. n.3 del 1957 (la norma recita: "Qualora per uno o più anni non sia stata possibile la compilazione del rapporto informativo da parte degli organi competenti, il giudizio complessivo è formulato dal Consiglio di amministrazione, valutati gli elementi in possesso dell’amministrazione"), conferendogli, con identica motivazione per ciascuno degli anni dal 1997 al 2006, il giudizio complessivo di "insufficiente con pp. 17". Per l’anno 2007 (si ricordi che a partire dal 30 luglio di tale anno il dipendente è stato riammesso in servizio) è stato compilato (ovviamente dall’Autorità competente presso la sede di destinazione del S.) r.i. che attribuisce il complessivo giudizio di "mediocre" con pp.19.

Avverso la citata deliberazione della Commissione nonché (avverso) il r.i. del 2007, l’interessato si è gravato col ricorso introduttivo dell’odierno giudizio, affidato alle seguenti deduzioni:

A) illegittimità per violazione dell’articolo 62 del d.P.R. n.335/1982 e dell’art.53 del d.P.R. n.3/1957. Eccesso di potere per violazione dei principi di annualità ed autonomia dei rapporti informativi nonché per abuso della discrezionalità amministrativa, sviamento, contraddittorietà ed illogicità;

B) illegittimità per violazione dell’articolo 62 del d.P.R. n.335/1982 e dell’art.3 della legge n.241 del 1990; eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità ed insufficienza della motivazione.

Il ricorso introduttivo del giudizio è stato seguito da tre aggiunti atti di gravame con i quali il ricorrente ha impugnato, per illegittimità derivata, i provvedimenti, in epigrafe richiamati, con i quali è stato escluso dallo scrutinio per la promozione alla qualifica di assistente capo, riferito, rispettivamente, alle annualità 2008, 2009 e 2010, ai sensi dell’art.205 del d.P.R. n.3/1957 (che recita: " fermo restando quanto previsto dagli articoli 93, 94 e 95, non sono ammessi ai concorsi, agli esami ed agli scrutini di promozione gli impiegati che nell’ultimo triennio abbiano riportato un giudizio complessivo inferiore a "buono"".

L’intimata amministrazione si è costituita in giudizio per il tramite del Pubblico Patrocinio ed ha depositato, l’8.1.2011, memoria di replica alle deduzioni avversarie, proponendone la reiezione.

All’udienza del 13.10.2011 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.

Motivi della decisione

I) I fatti originatori della corrente controversia ed i rilevi formalmente mossi dal ricorrente sono stati articolati in narrativa, il che consente di passare all’analisi e alla delibazione del primo dei due complessi mezzi di gravame svolti al S. nel ricorso introduttivo dell’odierno giudizio.

I.a)- Parte ricorrente – ricordando che la rubrica dell’art.53 del d.P.R. n. 3/1957 concerne l’impossibilità di compilazione del r.i. per il personale in posizione di comando o fuori ruolo – prospetta una propria esegesi di detta disposizione che assegna rilievo alla circostanza che detta "impossibilità" non sia addebitabile a comportamento colposo e/o illegittimo dell’amministrazione. Altrimenti detto, sostiene che, nell’ipotesi in cui la mancata prestazione lavorativa sia addebitabile, come nel caso in esame, a colpa od errore della p.a., il dipendente non può essere valutato, con identico giudizio, per tutti gli anni di assenza dal servizio. Inoltre non va trascurato il principio dell’annualità del r.i. e l’autonomia di ogni r.i. rispetto a quelli relativi agli anni precedenti. Ne consegue che deve ritenersi legittimo prendere in considerazione non solo il comportamento tenuto nell’ultimo anno di presenza in servizio ma anche quello positivo tenuto durante l’assenza dal servizio (come nel caso di specie, in cui il ricorrente a seguito dei fatti oggetto delle pronunce penali sopra ricordate non ha più commesso alcun reato). Tanto consente, nel rispetto del citato principio di annualità del r.i., di poter valutare il dipendente anche in positivo, senza attribuire a fatti pregressi una efficacia ultronea come accaduto nella fattispecie di cui trattasi anche con riguardo al r.i. del 2007 che, pur se migliore dei precedenti, risulta condizionato e fuorviato dal giudizio formulato dalla Commissione per gli anni precedenti.

La tesi esegetica sostenuta da ricorrente, per quanto acuta, non persuade.

La rubrica dell’art.53 sopra ricordato recita "Impossibilità di compilazione del rapporto informativo. Compilazione del rapporto per il personale comandato e fuori ruolo" e l’articolo in questione al primo comma concerne l’ipotesi che "Qualora per uno o più anni non sia stata possibile la compilazione del rapporto informativo da parte degli organi competenti, il giudizio complessivo è formulato dal Consiglio di amministrazione, valutati gli elementi in possesso dell’amministrazione"; mentre al comma 2 successivo contempla la specifica evenienza dell’impiegato che "alla fine dell’anno si trova in servizio nella posizione di comandato o fuori ruolo presso altra amministrazione dello Stato..".

A tanto accede che il primo comma dell’art.53 citato nel disciplinare il caso della mancata compilazione delle note di qualifica (ovvero del r.i.), non pone alcuna limitazione rapportabile al fatto che l’impiegato, per una qualsiasi causa, non sia stato materialmente in grado di prestare servizio; e pertanto la norma, che consente all’amministrazione di procedere alla compilazione dei rapporti informativi relativi agli anni in cui il dipendente è stato assente, sulla base della valutazione degli elementi in suo possesso, trova pacifica applicazione a casi come quello in trattazione e non regolamenta la redazione dei rapporti informativi nei soli confronti degli impiegati assenti in quanto comandati presso altra amministrazione statale o fuori ruolo.

In ogni caso poi l’esegesi patrocinata dal ricorrente – che sembra pervenire ad una contrazione della discrezionalità di cui l’amministrazione è titolare nella redazione del r.i., allorquando l’assenza del dipendente è addebitabile a fatto colposo della stessa – si rivela priva di alcun supporto normativo oltre a non essere pertinente al caso in esame in cui l’amministrazione ha posto a base della sua decisione fatti risalenti al 1996, indiscutibilmente verificatisi e penalmente accertati (pur se con pronunce inevitabilmente successive a tale anno). Altrimenti detto, mentre in via ordinaria, il giudizio complessivo deve essere compilato sulla base degli elementi tratti dal servizio prestato dall’interessato, il riferimento fatto dal citato art.53 agli "elementi in possesso dell’amministrazione", senza alcuna ulteriore specificazione, indica che in tal caso, l’amministrazione dispone di una più ampia discrezionalità nel definire e valutare i dati da porre a base del giudizio.

Pertanto, sul piano normativo nulla impediva che l’amministrazione prendesse in considerazione i comportamenti per i quali era stata irrogata la (condanna penale e la) sanzione disciplinare. Sul piano logico, la scelta operata in concreto dall’amministrazione appare plausibile ed adeguata, trattandosi di valutare la personalità e le caratteristiche dell’impiegato per periodi di assenza dall’ufficio.

Considerata, poi, la diversità degli elementi oggetto di valutazione, non possono essere ravvisate ragioni di incongruenza nel fatto che le valutazioni siano risultate (invero solo marginalmente) difformi da quelle espresse per gli anni dal 1992 al 1994 (i rapporti informativi degli anni 1995 e 1996 sono stati compilati successivamente alla commissioni dei reati di cui sopra si è detto e, per tale motivo, sono stati, ad avviso del ricorrente, influenzati negativamente da tali condotte); e ciò in quanto, per le ragioni sopra indicate, non è concettualmente proponibile il raffronto fra giudizi espressi per gli anni di assenza di servizio e giudizi basati su dati tratti dall’attività lavorativa.

Tornando poi all’assunto secondo il quale, nel caso di specie, l’assenza della prestazione lavorativa sarebbe addebitabile a colpa dell’amministrazione, lo stesso (oltre a non consentire di condividere – per le ragioni già in precedenza accennate – la tesi esegetica patrocinata in gravame e cui è funzionale) si rivela, come sopra anticipato, non calzante alla fattispecie per cui è causa; e tanto non fosse altro che per il fatto che la sanzione destitutoria inflitta al ricorrente è stata annullata da questa Sezione (sent. n.670/2006 cit.) per vizi di natura procedimentale (afferenti il mancato rispetto del termine previsto per la conclusione del procedimento disciplinare) e non certamente perché una personalità, come quella dell’incolpato, sia stata ritenuta incompatibile con un’attività uno dei cui fini primari è la prevenzione (e non la commissione) dei reati al fine di garantire l’osservanza delle leggi e dei regolamenti, l’ordinato vivere sociale, la moralità ed il libero esercizio dei diritti dei cittadini dall’azione antigiuridica ed illecita di singoli.

Rebus sic stantibus il criterio che sembra permeare la tesi interpretativa delineata in gravame (oltre, come ricordato, ad essere carente di qualsiasi base normativa), in ogni caso, non è adattabile al corrente contenzioso in cui se v’è una responsabilità addebitabile alla p.a. non è quella di aver colposamente impedito la prestazione lavorativa del ricorrente ma quella (anche stigmatizzata nella sent. n.670/2006) di aver consentito – sforando il (noto) termine entro il quale definire il procedimento disciplinare – che un dipendente, condannato in primo e secondo grado in sede penale con l’aggravante di aver commesso il fatto con violazione dei doveri inerenti alla sua qualità di Assistente della p.s., continuasse ad indossare la divisa del Corpo.

Dunque:

a) la norma dell’art.53 del d.P.R. n.3/1957 prevede, nel caso in cui la compilazione del r.i. (ovvero, nel caso di più anni, dei rr.ii.) non sia stata possibile da parte degli organi (ordinariamente) competenti, che il giudizio complessivo sia formulato dalla Commissione "valutati gli elementi in possesso dell’amministrazione", senza ulteriore specificazione; e dunque conferisce all’Amministrazione una più ampia discrezionalità nel definire e valutare i dati da porre a base del giudizio, consentendole, certamente, di considerare – nella valutazione complessiva delle doti e delle qualità del dipendente- i comportamenti riprovevoli (violativi dei doveri di servizio) per i quali costui è stato, penalmente e/o disciplinarmente, punito;

b) il principio dell’autonomia e dell’annualità dei rapporti informativi (sul quale ripetutamente si insiste sia nel presente che nel successivo mezzo di gravame) – in sintonia al quale, a parere del ricorrente, le condotte punite dovevano essere tenute in considerazione solamente con riguardo all’annualità di riferimento (1996) e non per i periodi successivi (e, per converso, per questi ulteriori periodi, si sarebbero dovuti apprezzare, anno per anno, gli elementi positivi dati dalla mancata reiterazione di reati) – non può che subire in una fattispecie quale quella in esame, un’eccezione derogatoria in quanto qui vengono in considerazione più giudizi da basarsi non sui dati tratti dall’attività lavorativa, anno per anno, disimpegnata dal dipendente, ma da riferirsi a periodi in cui lo stesso dipendente non ha prestato servizio; ed è, quindi, del tutto ovvio:

– che l’evocazione del principio dell’annualità dei rr.ii. non è, già concettualmente, proponibile in casi quali quello in trattazione;

– che tali giudizi si basino sugli elementi in possesso dell’amministrazione, e cioè sulle informazioni connesse con l’attività lavorativa (fino a quando è stata) espletata dal dipendente e non ad essa estranei. Altrimenti detto, la mancata commissione di altri reati durante il periodo di assenza dal servizio, che, ad avviso del ricorrente, doveva essere, in sintonia col principio dell’annualità del r.i., necessariamente apprezzata in tutti i giudizi valutativi, relativi alle annualità dal 1997 al 2006, non è argomentazione condivisibile; e ciò non solo per l’impropria evocazione di detto, inapplicabile al caso di specie, principio ma, altresì, per il fatto che mentre la commissione di altri reati (durante il periodo di assenza dal servizio) conferma, risolutivamente, la presenza di una personalità incompatibile con l’attività di operatore della p.s., per converso, la mancata commissione di reati non può – (affidandosi al criterio valutativo sostanzialmente automatico e/o meccanico prospettato in gravame) – essere intesa come indice di un recuperato senso di dovere e lealtà verso l’Istituzione. D’altro canto si tenga conto che, anche successivamente al 1996, la condotta del ricorrente non è stata totalmente immune da illiceità essendo egli stato condannato, nel 1998, per violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Ne consegue che la formulazione del giudizio per gli anni successivi al 1997 mediante richiamo a quello dell’anno precedente, deve, ritenersi legittimamente e congruamente motivata nonché corretta espressione della discrezionalità tecnica della quale l’amministrazione gode nel valutare le qualità del dipendente: discrezionalità, peraltro, nel caso di assenze prolungate dal servizio, più ampia (per le ragioni sovra estese) di quella riconosciuta alla p.a. nei casi ordinari.

Per quanto riguarda poi il r.i. relativo all’anno 2007 (nel corso del quale, a partire dal 30 luglio, il ricorrente ha ripreso servizio), che il Solai qualifica come un giudizio viziato dalla mancanza di un’autonoma valutazione della sua personalità e mera reiterazione dei precedenti negativi giudizi, è la serena lettura dell’atto che smentisce la stessa doglianza. Ivi, dopo aver riportato quale fatto storico – nel riquadro relativo agli "altri elementi di informazione" – la deliberazione della Commissione del 5.2.2009, il compilatore fornisce un’adeguata motivazione dei profili professionali del dipendente che si sono, in positivo, modificati, pervenendo alla fine ad un punteggio (non di 17 come per i precedenti rapporti, ma) di 19 ed ad un giudizio complessivo (non di insufficiente, ma) di "mediocre".

II)- Col secondo mezzo di gravame, parte ricorrente evidenzia aspetti dei provvedimenti impugnati che ritiene illogici e contraddittori. A suo avviso, mentre alcune delle voci in cui è strutturato ciascuno dei cinque elementi di giudizio del r.i. possono essere influenzati dagli accadimenti penali che lo hanno visto protagonista, altre voci, quali la D3 (che, nell’ambito dell’elemento "D" – "qualità dell’attività svolta" – indica la "qualità dei rapporti interpersonali all’interno dell’amministrazione"), rimangono svincolate da detti accadimenti al pari di quanto deve dirsi per la voce (D4) "qualità dei rapporti interpersonali all’esterno dell’amministrazione" e per la voce (E5) "rendimento complessivo:raggiungimento dei risultati prefissati ed apporto concreto al buon andamento dell’amministrazione": dunque l’amministrazione avrebbe dovuto diffondersi soffusamente nella motivazione per dare conto di tale rapporto di incidenza.

Anche il r.i. del 2007 appare illogico alla luce del fatto che, nonostante l’incremento del coefficiente parziale per le voci C1 ("capacità e continuità nell’impiego delle risorse personali") e D3 (sopra cit.), lascia invariato il coefficiente parziale della voce D1 ("capacità dimostrate nell’assolvimento degli incarichi in relazione alle difficoltà degli stessi") e di altre voci relative alla (A2) "capacità di applicazione operativa", alla capacità di impostazione (B1) e di (B2) esecuzione, alle qualità morali e di carattere (E1) ed al rendimento complessivo (E5).

Le censure in questione sono infondate.

Va ricordato che, in linea generale, un documento caratteristico quale il r.i. non deve costituire un articolato rendiconto né un’ampia rassegna dell’attività del dipendente nel periodo considerato, ma può legittimamente condensare in poche proposizioni i connotati e le caratteristiche dell’attività svolta dall’interessato.

Ora, quanto alla deliberazione della Commissione, la stessa ha confermato per tutte le voci di cui sopra i coefficienti parziali (incluso quello relativo alla voce D4) attribuiti nei precedenti rr.ii. (del 1996 e del 1995): rapporti (il primo dei quali mai avversato) validi ed efficaci, mentre ha ridotto, come denunciato dalla ricorrente, il coefficiente della voce D3 ("qualità dei rapporti interpersonali all’interno dell’amministrazione"): riduzione che deve ritenersi del tutto legittimo presumere attesa la difficoltà di poter costruire un serio, effettivo e leale rapporto interpersonale fra chi crede nello spirito di servizio e nella lealtà verso l’amministrazione e chi tale valori ha mostrato di considerare recessivi rispetto ad altra di antitetica portata.

Per quanto attiene poi alla voce "rendimento complessivo" vale la pena di ricordare che in tutti i rr.ii. esibiti, dagli anni 1992 sino al 1996, (e dunque antecedenti ai rr.ii. redatti dalla Commissione) il ricorrente è sempre stato apprezzato col coefficiente parziale minimo di 1. E non si vede, invero,la ragione in forza della quale tale voce avrebbe dovuto meglio essere apprezzata dalla Commissione.

Per quanto attiene invece al r.i. del 2007 la Sezione non rinviene gli elementi di illogicità rilevati dal ricorrente.

L’aver incrementato la qualità dei rapporti con colleghi e superiori all’interno dell’Ufficio e la circostanza di essere stato positivamente apprezzato nella "capacità e continuità nell’impiego delle risorse personali" sono aspetti che non si traducono necessariamente in un incremento della capacità professionale (categoria cui appartiene la "capacità di applicazione operativa") ovvero della "capacità di risoluzione" (categoria cui appartengono le capacità di impostazione ed esecuzione): capacità queste che non necessariamente subiscono variazioni in positivo da un più efficace sfruttamento di risorse personali e cioè di risorse che il ricorrente già possedeva applicandole in maniera meno efficiente.

Per quanto riguarda poi le "capacità dimostrate nell’assolvimento degli incarichi" rimaste apprezzate col medesimo coefficiente, trascura il ricorrente di considerare che detta capacità è parametrata agli difficoltà degli incarichi svolti è che pertanto mansioni di limitato livello qualitativo non denotano, pur se positivamente disimpegnate, un necessario incremento della capacità in questione.

Analoga considerazione va fatta con riferimento al rendimento complessivo: l’impegno speso dal dipendente non necessariamente consente di conseguire gli obiettivi prefissati (ed, in ogni caso, nessun indice e/o riscontro di tale perseguimento è stato offerto dal ricorrente).

Quanto poi alle qualità morali e di carattere va ricordato che le stesse si correlano al senso di disciplina, obbedienza, lealtà, dovere, che, per definizione, non sono suscettibili di repentine variazioni in un breve periodo.

Ne consegue l’infondatezza anche del mezzo di gravame, oggetto del presente scrutinio.

IV) – Quanto agli atti di ricorso contenenti mm.aa. di gravame avverso i provvedimenti con i quali il ricorrente è stato escluso, per gli anni 2008, 2009 e 2010, dallo scrutinio per la promozione ad Assistente Capo, gli stessi si rivelano – una volta acclarata l’infondatezza del ricorso introduttivo (e dunque l’infondatezza della dedotta censura di invalidità derivata) – anch’essi non condivisibili.

Detti atti sono stati vincolativamente adottati ai sensi dell’art.205 del d.P.R. 3/57, il quale dispone che "fermo restando quanto previsto dagli articoli 93, 94 e 95, non sono ammessi ai concorsi, agli esami ed agli scrutini di promozione gli impiegati che nell’ultimo triennio abbiano riportato un giudizio complessivo inferiore a "buono"": circostanza ricorrente nel caso di specie.

V)- le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge i ricorsi, principale e per mm.aa. di gravame, in epigrafe.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che, forfetariamente, liquida in Euro2500,00 a beneficio della resistente amministrazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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