Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-03-2012, n. 4454 Direttore dei lavori Responsabilità dell’appaltatore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 26-7-1995 G.E., C.L., G.A. e G.P., i primi due quali usufruttuari e le altre due quali nude proprietarie di una villa bifamiliare sita in (OMISSIS), convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia T.A. e T.L. quali appaltatori relativamente alla realizzazione del suddetto immobile bifamiliare, il geometra P.G. quale direttore dei lavori e l’ingegner P.L. quale incaricato di effettuare i calcoli statici, esponendo che nel suddetto fabbricato ormai ultimato si erano verificati gravi inconvenienti consistenti in fessurazioni dell’intonaco ed in altre crepe dipese da carenze statiche.

Gli attori chiedevano quindi la condanna dei convenuti al rimborso delle spese necessarie per l’eliminazione delle carenze accertate ed al risarcimento del danno derivante dal minor valore dell’opera e dalla ritardata consegna dell’immobile; chiedevano inoltre la condanna dei T. alla restituzione delle somme percepite in eccedenza rispetto agli acconti versati ed al pagamento di una indennità per l’occupazione abusiva del cantiere ed infine la condanna del P. al risarcimento del danno derivato dall’aver inoltrato tardivamente l’istanza di proroga della concessione edilizia.

Si costituivano in giudizio T.A. e T.L. chiedendo il rigetto delle domande attrici e in via riconvenzionale la condanna degli attori al pagamento di quanto ancora dovuto in relazione ai lavori svolti, l’accertamento della propria responsabilità per i vizi dell’intonaco (quantificando in L. 39.886.300 il costo per la relativa eliminazione) unitamente ai terzi chiamati P. e P.G. e la condanna del P. G. a tenerli indenni da quanto eventualmente essi fossero tenuti a pagare per gli interventi di rinforzo statico e conseguenti ai lavori di ripristino.

Costituendosi in giudizio il P. ed il P.G. chiedevano il rigetto di tutte le domande proposte nei loro confronti.

Il Tribunale adito con sentenza dell’8-3-2002 condannava T. A. e T.L. ed i P. in solido al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 77.727,46 oltre interessi legali dalla domanda in relazione ai lavori necessari per il rifacimento dell’intonaco, condannava il P. ed il P. G. in solido al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 13.597,79 con gli interessi legali dalla domanda per i lavori resisi necessari a causa delle carenze statiche, condannava gli attori al pagamento in favore dei T. della somma di Euro 48.967,66 con gli interessi legali dalla domanda a titolo di saldo per i lavori effettuati, compensava le spese tra gli attori ed i T., e condannava i convenuti P. e P.G. a rifondere agli attori le spese di lite, ponendo le spese di CTU a carico di tutti i convenuti.

Avverso tale sentenza proponevano separate impugnazioni il P. ed i T. cui resistevano G.E., L. C., G.A. e G.P. da un lato ed il P. G. dall’altro introducendo altresì due appelli incidentali.

Riuniti i procedimenti, la Corte di Appello di Venezia con sentenza del 14-4-2010, ogni altra domanda rigettata, ha respinto tutte le domande svolte nei confronti del P. ed ha condannato i G. e la C. al rimborso allo stesso delle spese di entrambi i gradi di giudizio, ha condannato i T. a pagare in favore dei G. e della C. la somma di Euro 66.169,153 con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, ha condannato i G. e la C. al pagamento in favore dei T. della somma di Euro 53.648,85 con gli interessi legali, ha confermato nel resto, ha compensato le spese del giudizio di secondo grado tra i T. da un lato ed i G. e la C. dall’altro, ed ha condannato il P.G. alla rifusione delle spese del grado in favore dei G. e della C..

Per la cassazione di tale sentenza i G. e la C. hanno proposto un ricorso articolato in dieci motivi cui hanno resistito con separati controricorsi il P., i T. ed il P. G., questi ultimi introducendo altresì dei ricorsi incidentali, affidati rispettivamente a tre motivi ed a cinque motivi, specificando che i T. hanno aderito ai motivi da 1 a 4 del ricorso principale resistendo agli altri; i G. e la C. hanno poi resistito con controricorso ai suddetti ricorsi incidentali, il P.G. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale dei T., il P. ha resistito con controricorso ai ricorsi incidentali dei T. e del P. G., ed i T. hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale del P.G.; i ricorrenti principali ed il P.G. hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Deve poi essere esaminata l’eccezione sollevata dal P.G. nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. di inammissibilità dei controricorsi proposti dai G. e dalla C. da un lato e dal P. dall’altro per mancato rilascio della procura speciale; l’eccezione è infondata, atteso che l’ambito della procura speciale non è limitato semplicemente all’atto per il quale è stata conferita, ma deve intendersi esteso a tutti quegli atti che costituiscono l’ulteriore svolgimento naturale de processo; pertanto deve ritenersi che il rilascio della procura speciale in calce o a margine del ricorso per cassazione è valido per resistere con controricorso al ricorso incidentale che venga eventualmente proposto (Cass. 3-4-1962 n. 683); sempre nella stessa memoria si eccepisce l’inammissibilità dei controricorsi dello stesso P. da un lato e dei T. dall’altro in quanto tardivi, posto che, a fronte del ricorso incidentale proposto dal Perale che doveva essere depositato, ai sensi dell’art. 369 c.p.c. e dell’art. 371 c.p.c., comma 3, entro il 15-11-2010, il termine per proporre controricorso scadeva domenica 5-12-2010, mentre entrambi i suddetti controricorsi erano stati notificati a mezzo posta il 7-12-2010; anche tale eccezione è infondata, considerato che la richiesta di notificazione di entrambi detti controricorsi risulta essere stata inoltrata all’Ufficio Notifiche tempestivamente il 6-12-2010, ovvero nel primo giorno seguente a quello festivo, quindi entro il termine di legge comprensivo della proroga prevista dall’art. 155 c.p.c., comma 5.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo i G. e la C., deducendo nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, assumono che il giudice di appello ha riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata riconosciuta la responsabilità del direttore dei lavori P. per aver violato il proprio obbligo di controllo sull’operato dell’appaltatore, per le difformità esecutive rispetto al progetto e per la sua "electio" della ditta appaltatrice affermando, a tale ultimo proposito, che non vi era prova che l’impresa stessa fosse stata proposta dal direttore dei lavori;

ebbene nell’atto di appello il P. aveva soltanto sostenuto l’irrilevanza della scelta da parte sua dell’appaltatore, ma non aveva negato di aver operato tale scelta.

La censura è infondata.

Premesso che la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza di una "culpa in eligendo" del P. in quanto il contratto di appalto relativo ai lavori per cui è causa era stato stipulato tra i committenti e l’impresa T., e non vi era prova che quest’ultima fosse stata proposta dal direttore dei lavori, si rileva che gli appellanti principali non hanno addotto alcune elemento certo ed inequivocabile a sostegno del proprio assunto; in particolare la trascrizione nel ricorso di una parte dell’atto di citazione di appello del P. si rivela in proposito ininfluente, in quanto aver dedotto che "il contratto è stato stipulato fra il sig, E. G., quale committente, e la ditta T., che ha assunto la veste di appaltatore", e che "l’unica electio possibile e giuridicamente rilevante, è indiscutibilmente quella operata da una delle parti", non comporta evidentemente alcun riconoscimento al riguardo da parte del P..

Con il secondo motivo i ricorrenti principali, denunciando vizio di motivazione e/o erronea valutazione delle risultanze istruttorie, affermano sotto un primo profilo che la Corte territoriale, negando ogni responsabilità per il P., non ha considerato che quest’ultimo in sede di interrogatorio formale aveva riconosciuto la propria responsabilità nei confronti degli esponenti con conseguente impegno ad assumersi i costi per l’eliminazione dei vizi riscontrati;

inoltre la prova dell’affidamento dell’incarico alla ditta T. di eseguire i lavori per cui è causa da parte del P. emergeva dalla lettera del 28-6-1990 (da lui sottoscritta ad anche dai committenti, ma solo per conoscenza) inviata dallo stesso P. all’impresa T.L., avente ad oggetto "l’esecuzione al grezzo delle opere relative alla costruzione di un fabbricato bifamiliare"; i ricorrenti principali poi osservano che il giudice di appello non ha tenuto conto che il P. non aveva adempiuto con la dovuta diligenza ai suoi doveri di sorveglianza quale direttore dei lavori, in particolare per aver omesso il dovuto controllo della qualità del materiale usato dall’appaltatore; infine essi sostengono che la sentenza impugnata non ha spiegato per quali ragioni, nonostante le difformità esecutive rispetto al progetto individuate dal giudice di primo grado come fonte della responsabilità dell’impresa appaltatrice per i danni dovuti alla inesatta esecuzione degli intonaci, il P. non avrebbe dovuto rispondere di tale circostanza, attesi gli obblighi del direttore dei lavori di verificare la conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità di esecuzione di essa alle regole della tecnica, nonchè l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera stessa senza difetti costruttivi.

La censura è infondata.

Sotto un primo profilo si osserva che il fatto che il P. in sede di interrogatorio formale abbia ammesso un suo impegno ad assumersi insieme all’appaltatore ed al P.G. l’onere dei costi relativi ai vizi riscontrati nell’esecuzione dei lavori non è decisivo ai fini della configurabilità di un riconoscimento della sua responsabilità in proposito, trattandosi di affermazione che deve essere inquadrata nell’ambito di una possibile soluzione transattiva della lite.

Con riferimento poi all’asserito incarico da parte del P. all’impresa T. con lettera del 28-6-1990 dell’esecuzione al grezzo delle opere relative alla costruzione di un fabbricato bifamiliare, si osserva che, essendo tale lettera stata sottoscritta anche dai committenti, come riconosciuto nello stesso motivo in esame, ne consegue che essi avevano fatto propria la suddetta lettera di incarico; inoltre i ricorrenti principali non hanno contestato le deduzioni svolte dal P. nel controricorso secondo cui tale lettera d’incarico era stata poi seguita da due contratti, rispettivamente in data 16-10-1992 e 2-11-1993 (il secondo dei quali tra l’altro sottoscritto solo dai committenti), che evidentemente avevano integrato e modificato le prime intese di cui alla lettera del 28-6-1990.

Deve inoltre essere disatteso anche il profilo di censura relativo alla invocata responsabilità del P. per l’omessa sorveglianza in ordine alla qualità dei materiali impiegati dall’appaltatore; correttamente invero la Corte territoriale ha escluso ogni addebito al riguardo a carico del direttore dei lavori, considerato che solo all’esito delle analisi effettuate dal laboratorio di Scienza delle Costruzioni dell’Università di Padova era stato appurato il troppo alto rapporto cemento/calce idrata e l’eccessivo dosaggio del legante misto costituito da cemento e calce idrata, che avevano costituito la causa delle fessurazioni dell’intonaco; ed invero la vigilanza sulla regolare realizzazione dell’opera e sull’impiego dei materiali che compete al direttore dei lavori nominato dal committente non comprende le operazioni più semplici, come il controllo della qualità del conglomerato cementizio adoperato dall’appaltatore (Cass. 29-3-1979 n. 1818), tanto più laddove, come nella fattispecie, il vizio accertato era riscontrabile non direttamente, ma solo ricorrendo ad analisi chimiche.

Infine occorre rilevare che, contrariamente all’assunto dei ricorrenti principali, il giudice di appello, come sopra osservato, ha accertato che la causa delle fessurazioni dell’intonaco era da ricondurre all’errato rapporto tra cemento e calce idrata, e non anche quindi ad altre ipotetiche difformità esecutive che avrebbero potuto richiamare la responsabilità del P. per omessa sorveglianza in ordine alla varie fasi di esecuzione dell’opera.

Con il terzo motivo i ricorrenti principali, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1669 e 2236 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che la responsabilità per l’errore effettuato dal P.G. sui calcoli statici non poteva coinvolgere anche il P., al quale non competeva la qualifica professionale richiesta; in realtà l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere che comporta il controllo della loro realizzazione nelle varie fasi, cosicchè soltanto ove il direttore dei lavori non abbia svolto tale attività di sorveglianza dovrà rispondere dei danni verificatisi nell’esecuzione dell’opera a titolo sia contrattuale che extracontrattuale; orbene nella specie tale accertamento era stato omesso dal giudice di appello.

Con il quarto motivo i ricorrenti principali, deducendo vizio di motivazione e/o insufficiente e/o erronea valutazione delle risultanze istruttorie, assumono che la non addebitabilità al P. di alcuna responsabilità per i danni causati dagli errori commessi in fase progettuale dal P.G. avrebbe richiesto che fosse accertato l’adempimento da parte del direttore dei lavori del suo dovere di sorveglianza anche sull’operato del progettista incaricato dei calcoli statici, indagine non effettuata dal giudice di merito; al contrario la consulenza tecnica redatta in sede di A.T.P. dall’ingegner Pi. aveva escluso il puntuale adempimento dei propri doveri di controllo sull’attività del P. G. da parte del P., essendosi evidenziato che quest’ultimo non aveva regolarmente effettuato i provini prescritti sul calcestruzzo utilizzato nelle strutture portanti.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

La sentenza impugnata ha ritenuto che la responsabilità per gli errori commessi dal P.G. in ordine ai calcoli statici non poteva essere addebitata al geometra P., al quale non competeva tale fase progettuale, non avendo la qualifica professionale richiesta; tale assunto è corretto, non essendo dubitabile che l’effettuazione dei calcoli relativi alla struttura ed alla statica di un immobile richiedono competenze professionali specifiche che esulano da quelle correlate alla qualifica di geometra, e tale rilievo spiega la ragione dell’incarico in proposito conferito dai committenti all’ingegner P.G..

Con il quinto motivo i ricorrenti principali, deducendo violazione dell’art. 91 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver posto a carico degli esponenti le spese di lite sostenute dal P. sull’errato presupposto della insussistenza di qualsiasi responsabilità a suo carico.

La censura è infondata.

La Corte territoriale correttamente ha condannato i G. e la C. al pagamento in favore del P. delle spese di entrambi i gradi di giudizio in applicazione del principio della soccombenza.

Con il sesto motivo i G. e la C., denunciando vizio di motivazione ed omessa e/o insufficiente e/o erronea valutazione delle risultanze istruttorie, censurano la sentenza impugnata per aver parzialmente accolto il motivo di appello con il quale i T. avevano contestato l’addebito ad essi anche dei costi della ridipintura in quanto i vizi dell’intonaco erano già verificati prima di iniziare a dipingere, riconoscendo agli esponenti il rimborso di tali spese relativamente soltanto all’unità abitativa sita ad ovest posto che l’altra unità abitativa ad est non era stata ancora ultimata quando le fessurazioni erano iniziate ad evidenziarsi; essi assumono che la circostanza che quando si manifestarono tali fessurazioni fosse stata ultimata soltanto l’unità ad ovest non significa che le dipinzioni di quelle ad est fossero state tutte effettuate dopo la comparsa dei vizi lamentati dai committenti, essendo dato acquisito che la dipintura nell’unità ad est si fosse quasi conclusa prima dell’apparizione delle fessurazioni nell’unità ad ovest, come dichiarato dai testi A. e L..

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha richiamato le deposizione del dipintore L.F., il quale aveva dichiarato che quando le fessurazioni avevano iniziato ad evidenziarsi producendo "scoppi e spari", era stata ultimata soltanto l’unità ad ovest, e non quella ad est, ed aveva aggiunto di aver fatto presente che quel tipo di intonaco non poteva andare bene per il suo lavoro; orbene, avendo il giudice di appello indicato chiaramente le fonti del proprio convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da sufficiente e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede.

Con il settimo motivo i ricorrenti principali, denunciando vizio di motivazione, assumono che erroneamente la Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto il diritto degli esponenti al rimborso delle spese sostenute per il rifacimento degli intonaci in sole L. 38.066.717, a fronte dell’importo di L. 63.100.000 richiesto ai committenti per tale attività dalla Edil San Marco, e soprattutto nonostante il riconoscimento per la loro esecuzione all’impresa Tomaello della più elevata somma di L. 52.273.475; invero non era stato preso in considerazione il rilievo sollevato dagli esponenti all’operato del CTU architetto Cs., considerato che incomprensibilmente il corrispettivo riconosciuto all’impresa Tomaello era stato calcolato sul presupposto che la superficie degli intonaci realizzati fosse stata di mq. 2367, mentre il costo per il loro rifacimento era stato determinato sulla base della ben inferiore superficie di mq. 1146,87 di pareti verticali e mq. 543,3 di pareti orizzontali.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha chiarito che il CTU, chiamato a rendere chiarimenti in proposito, aveva ribadito che la misurazione dei metri quadrati di intonaco orizzontale e verticale era corretta e corrispondeva all’opera effettivamente eseguita dall’impresa Edil San Marco, e che il CTU aveva applicato i prezzi correnti unitari per tale tipo di lavoro senza che fossero state sollevate contestazioni specifiche sul punto; la sentenza impugnata ha poi correttamente evidenziato l’irrilevanza del fatto che l’impresa Tomaello avesse indicato nel preventivo un importo superiore in relazione alla esecuzione degli intonaci, attenendo tale profilo alla libera contrattazione avvenuta tra le parti, alla quale il giudice non è vincolato nella determinazione di quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno, dovendosi basare sul costo effettivo sostenuto per il rifacimento delle opere.

Orbene sotto un primo profilo è agevole osservare che la Corte territoriale ha fondato il suo convincimento al riguardo mediante il puntuale richiamo degli accertamenti svolti dal CTU in ordine alla superficie di intonaco da sostituire per effetto degli inconvenienti riscontrati; inoltre è appena il caso di aggiungere, quanto al costo per l’eliminazione dei vizi accertati, che esso, attenendo al contenuto della garanzia dovuta dall’appaltatore per i difetti dell’opera ai sensi dell’art. 1668 c.c., deve essere determinato a prescindere dalle pregresse intese negoziali raggiunte dalle parti in ordine al corrispettivo dei lavori appaltati.

Con l’ottavo motivo i G. e la C., denunciando contraddittoria motivazione ed omessa e/o insufficiente e/o erronea valutazione delle risultanze istruttorie, censurano la sentenza impugnata per aver negato agli esponenti il riconoscimento per il danno da ritardo nell’esecuzione dei lavori in quanto il progettista, al fine di evitare il costo per il rilascio di una nuova concessione, aveva atteso l’entrata in vigore della legge sul condono edilizio onde sanare le difformità rispetto al progetto, consentendo ai committenti di risparmiare quanto dovuto a titolo di sanzioni; tale assunto non ha tenuto conto del rilievo che, una volta depositata la richiesta di concessione in sanatoria, se non fosse stato necessario procedere al rifacimento degli intonaci, si sarebbe potuto ottenere il certificato di abitabilità molto prima di quanto si era invece dovuto attendere per completare i lavori.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha disatteso il motivo di appello relativo al riconoscimento del danno per il ritardo nell’ultimazione dei lavori per la ragione sopra richiamata nel motivo in esame ed anche perchè in quel periodo l’immobile non sarebbe stato comunque abitabile; in proposito quindi si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da sufficiente e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove comunque la diversa prospettazione dei ricorrenti principali si rivela anche generica.

Con il nono motivo i ricorrenti principali, deducendo omessa e/o insufficiente motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver escluso un minor valore dell’immobile per cui è causa, avendo rilevato l’insussistenza allo stato di problemi di staticità dell’edificio; in tal modo non sono state esaminate le critiche in proposito sollevate avverso la CTU nella comparsa di costituzione di appello, dove in particolare si era segnalato al riguardo il minor margine di sicurezza dei solai realizzati e la minore garanzia assicurata dal rinforzo delle travi eseguito.

La censura è infondata.

Il giudice di appello a fondamento del convincimento sopra enunciato si è richiamato agli accertamenti in proposito svolti dal CTU, e non era quindi tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni della sua decisione, poichè l’obbligo della motivazione è stato assolto con l’indicazione delle fonti dell’apprezzamento espresso, dalle quali è possibile desumere che le contrarie deduzioni dei T. sono state implicitamente rigettate.

Con il decimo motivo i G. e la C., denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 ed omessa pronuncia, rilevano che la Corte territoriale non ha esaminato il motivo di appello con cui era stata censurata la statuizione del giudice di primo grado che aveva riconosciuto dovuto il corrispettivo relativo agli intonaci interni nonostante la loro non corretta esecuzione e successiva demolizione.

La censura è infondata.

Invero il giudice di appello, nell’enunciare i motivi di appello incidentale proposti dagli attuali ricorrenti principali (vedi pag. 8 della sentenza impugnata), non ha indicato il motivo sopra richiamato, che pertanto non è stato formulato nei necessari termini specifici richiesti dall’art. 345 c.p.c., cosicchè l’omesso esame di tale doglianza non integra il vizio denunciato. li ricorso principale deve quindi essere rigettato.

Esaminando a tal punto il ricorso incidentale proposto da T. A. e T.L., si osserva che costoro con il primo motivo, deducendo vizio di motivazione ed omessa e/o insufficiente e/o erronea rilevazione delle risultanze istruttorie, assumono che erroneamente la Corte territoriale ha confermato la responsabilità esclusiva degli esponenti in ordine al rifacimento degli intonaci relativi all’immobile di proprietà dei G. e della C.;

invero erano state trascurate le censure sollevate al riguardo nell’atto di appello al giudice di primo grado per non aver considerato le risultanze del CTU ingegner Pi. in sede di ATP e del primo CTU ingegner Ca., entrambe concordi nel valutare l’imputazione a difettosa composizione solo di 1/3 della quantità in mq. dell’intonaco da rifare, e tantomeno l’esito delle analisi chimiche dell’Università di Padova, da cui era emerso che in un solo campione erano stati riscontrati sostanziali problemi in tal senso;

nè erano attendibili le dichiarazioni (valorizzate dalla sentenza impugnata) del teste A., che all’epoca della sua deposizione era il tecnico delle parti attrici, ed era subentrato in qualità di direttore dei lavori al P., essendo stato incaricato dai committenti di portare a completamento la villetta bifamiliare.

I ricorrenti incidentali inoltre sostengono che contraddittoriamente il giudice di appello, confermata la responsabilità del P. G. per gli errori di calcolo che avevano determinato la necessità di interventi di consolidamento strutturale dell’edificio, ha invece poi respinto la domanda degli esponenti di chiamata in corresponsabilità di quest’ultimo nel sostenere i costi per la demolizione ed il rifacimento degli intonaci.

La censura è infondata.

Sotto un primo profilo è anzitutto sufficiente osservare che la Corte territoriale ha rilevato che gli intonaci in questione erano risultati danneggiati da fessurazioni diffuse, come affermato dal teste A., cosicchè si erano rese necessarie la demolizione e la ricostruzione integrale per i difetto del conglomerato usato;

inoltre, con riferimento al fatto che gli attuali ricorrenti incidentali avrebbero dedotto nel giudizio di secondo grado che la superficie di intonaci caratterizzata da difettosa composizione era pari ad 1/3 del totale, si rileva che, poichè la questione giuridica prospettata, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata dalla sentenza impugnata, i ricorrenti incidentali, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, avevano l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avessero fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa; è poi appena il caso di osservare che il giudizio sulla attendibilità dei testi involge un appezzamento di fatto riservato al giudizio insindacabile del giudice di merito.

Con riferimento al secondo aspetto della censura in esame, si rileva che la Corte territoriale ha affermato che la causa del rifacimento degli intonaci era costituita dal difetto del conglomerato usato, e non già dall’assestamento dell’edificio, considerato che anche il CTU aveva constatato la particolare rigidità dei solai, cosicchè i problemi di carattere statico riconducigli agli errori di calcolo effettuati dal P.G. non potevano essere ritenuti la causa delle cavillature; pertanto logicamente il giudice di appello sulla base di tali rilievi di natura tecnica ha escluso una corresponsabilità del P.G. in ordine ai vizi degli intonaci.

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali, deducendo vizio di motivazione ed omessa e/o insufficiente e/o erronea rilevazione delle risultanze istruttorie, censurano la sentenza impugnata per aver accolto solo parzialmente il quarto motivo di appello con il quale essi avevano ritenuto errato l’addebito all’impresa appaltatrice della spesa per il rifacimento delle dipinzioni sostenuta in conseguenza della demolizione degli intonaci dell’edificio per cui è causa, richiamando al riguardo la deposizione del teste La.;

invero dalla deposizione del teste Br. era emerso che le fessurazioni si erano manifestate subito dopo la stesura degli intonaci (come confermato anche dal P. nella comparsa di costituzione e risposta depositata nel giudizio di primo grado), quindi in tempo utile per astenersi dal procedere con le dipinture.

La censura è infondata.

Come invero già rilevato in sede di esame del sesto motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata ha affermato, sulla base della deposizione del teste La., dipintore, che quando le fessurazioni degli intonaci iniziarono ad evidenziarsi, era stata ultimata l’unità ad ovest, cosiccchè si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da sufficiente e logica motivazione.

Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali, deducendo vizio di motivazione ed omessa e/o insufficiente e/o erronea rilevazione delle risultanze istruttorie, censurano la sentenza impugnata per aver confermato l’addebito agli esponenti dei costi di montaggio e smontaggio delle opere di falegnameria ed impiantistica sulla base delle deposizioni dei testi ca. e D.C.; invero il primo teste aveva soltanto riferito una sua impressione circa l’avvenuto montaggio degli scuri all’epoca di insorgenza delle prime fessurazioni, mentre il secondo teste aveva reso una dichiarazione del tutto generica.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha richiamato la deposizione del teste Ca., falegname, in ordine alla circostanza che, quando si verificarono le prime fessurazioni, erano già stati montati gli scuri, che dovettero essere rimossi e poi rimontati, nonchè quella del teste Da.Co. riguardo al fatto che il rifacimento degli intonaci aveva comportato la necessità di smontare gli impianti idroelettrici; avendo quindi la sentenza impugnata indicato specificatamente le fonti del proprio convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede.

Il ricorso incidentale dei T. deve quindi essere rigettato.

Venendo a tal punto all’esame del ricorso incidentale proposto dal P.G., si osserva che con il primo motivo quest’ultimo, deducendo vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver disatteso il motivo di appello con il quale l’esponente aveva sostenuto che erroneamente il Tribunale lo aveva condannato al risarcimento dei danni conseguenti all’errore nei calcoli statici richiamandosi alla CTU dell’architetto Cs.; invero in tale elaborato si era rilevato che alcune modifiche ai materiali utilizzati avevano aumentato notevolmente i carichi fino a causare una situazione di stress, cosicchè era logico concludere che senza tali modifiche non vi sarebbe stato bisogno di alcun adeguamento strutturale, non addebitabile quindi ai calcoli del P.G..

Con il secondo motivo il ricorrente incidentale, deducendo insufficiente e/o contraddittoria motivazione e/o violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., assume che, attese le considerazioni de suddetto CTU già enunciate nel motivo precedente, era onere degli attori dimostrare che le asserite deficienze strutturali non erano da imputare alle predette modifiche ai materiali utilizzati, ma agli errori di calcolo del P. G..

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

La Corte territoriale ha evidenziato che il Tribunale, in ragione delle perplessità suscitate dalla relazione de primo CTU nominato in ordine alla erroneità dei calcoli ed al derivante pericolo per la staticità dell’edificio, aveva proceduto alla nomina di un secondo CTU nella persona di Cs.Ru. alle cui conclusioni si era attenuto; ha poi aggiunto che non era emerso alcun riscontro tecnico al fatto che il cedimento fosse dipeso dal maggior carico derivante dalle varianti in corso d’opera, richiamando così chiaramente le fonti del proprio convincimento.

Deve comunque osservarsi che da quella parte della relazione del suddetto CTU trascritta nel ricorso incidentale emerge che, pur dandosi atto che alcune modifiche ai materiali utilizzati in alcuni punti del fabbricato avevano aumentato considerevolmente i carichi di esercizio fino a causare una situazione di stress, si era inequivocabilmente affermato che "In merito all’addebitabilità delle suddette carenze strutturali evidentemente vanno imputate al progettista strutturale e quindi all’ing. P.G.", cosicchè le conclusioni del giudice di appello si mostrano coerenti con tale relazione tecnica.

Con il terzo motivo il ricorrente incidentale, deducendo violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. ed erronea e/o insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per aver confermato la condanna dell’esponente al pagamento delle spese del giudizio di primo grado in quanto soccombente; in realtà una parte delle pretese degli attori era stata ritenuta infondata, così come anche la domanda di garanzia svolta dai T. nei propri confronti era stata rigettata.

La censura è infondata.

Sotto un primo profilo deve rilevarsi che la conferma della sentenza di primo grado da parte della Corte territoriale in ordine alla condanna del P.G. al rimborso delle spese di giudizio in favore degli attori è pienamente conforme al principio della soccombenza, attesa la ritenuta fondatezza della domanda attrice nei suoi confronti, a nulla rilevando al riguardo la liquidazione del "quantum" in misura alquanto ridotta rispetto alle pretese degli attori.

Riguardo poi alla regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado tra i T. ed il P.G., si rileva che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta una condanna di quest’ultimo a tale titolo nei confronti dei primi, cosicchè sotto tale aspetto il profilo di censura è privo di interesse.

Con il quarto motivo il P.G., denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2236 e 1669 c.c. e/o erronea e/o contraddittoria motivazione, afferma che erroneamente la Corte territoriale ha accolto il secondo motivo di appello del P. esonerandolo da ogni responsabilità in ordine alle pretese dei committenti; invero quest’ultimo quale direttore dei lavori aveva l’obbligo di accertare la conformità della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, e sussisteva dunque la sua responsabilità, almeno in via concorrente con l’esponente, posto che, come già rilevato, erano state accertate alcune modifiche ai materiali utilizzati che avevano comportato quella situazione di stress che aveva reso necessari gli adeguamenti strutturali.

La censura è infondata.

Premessa la ritenuta responsabilità del P.G. per l’errore nei calcoli e chiarito per quanto sopra già esposto che le modifiche ai materiali utilizzati non hanno concorso alla conseguente situazione di pericolo per la staticità dell’edificio, ne consegue che nessuna corresponsabilità in proposito può essere imputata al P. che, come già evidenziato più sopra, non aveva la qualifica professionale richiesta per effettuare una verifica in proposito.

Con il quinto motivo il P.G., deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver compensato le spese tra l’istante e "le altre parti", nonostante che la domanda avanzata nell’atto di appello da parte dei T. nei propri confronti era stata rigettata;

inoltre, considerata la parziale soccombenza anche dei G. e della C., la sentenza impugnata erroneamente non ha condannato costoro alle spese della CTU espletata nel primo grado di giudizio.

La censura è infondata.

Sotto un primo profilo si rileva che la disposta compensazione delle spese tra il P.G. e le altre parti, e quindi i T., rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, e che tale compensazione è giustificata nella specie quantomeno dal rilievo che uno solo dei motivi dell’appello incidentale dei T. riguardava il P.G., con una incidenza quindi circoscritta nell’ambito dei diversi rapporti processuali oggetto della controversia.

Inoltre è ovvio che la già evidenziata soccombenza del P. G. nei confronti dei G. e della C. all’esito del giudizio di primo grado ha comportato la sua condanna al pagamento delle spese di quel grado di giudizio, ivi comprese anche quelle occorse per la CTU. Anche il ricorso incidentale del P.G. deve pertanto essere rigettato.

I ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali in applicazione del principio della soccombenza devono essere condannati al rimborso delle spese di giudizio in favore del P. liquidate come in dispositivo; ricorrono giusti motivi, avuto riguardo all’esito del giudizio, per compensare interamente le spese stesse tra i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed i ricorsi incidentali, condanna G.E., G.P., A. G. e C.L. in solido al pagamento in favore del P. di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato, condanna T.A. e T.L. in solido al pagamento in favore del P. di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato, condanna il P. al pagamento in favore del P. di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato, e compensa interamente le spese di giudizio tra i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali.

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