Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-05-2011) 11-10-2011, n. 36604 Coltivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1- C.A. propone ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria, del 2 luglio 2010, che ha confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Locri, dell’11 dicembre 2009, che lo ha ritenuto colpevole dei delitti di coltivazione non autorizzata di 256 piante di canapa indiana, di altezza variabile tra i 150 ed i 200 cm., ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 80, comma 2), di furto aggravato di acqua e di detenzione illegale di munizioni (108 cartucce per pistola cal. 7,65 e 19 cartucce per pistola cal. 6,35) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante contestata, applicata la diminuente del rito, lo ha condannato alla pena di quattro anni, otto mesi di reclusione e Euro 20.000,00 di multa.

Nel ricostruire i fatti, i giudici del gravame hanno rilevato che la scoperta della piantagione era stata resa possibile dall’intervento dei carabinieri di Locri che, recatisi presso un immobile sito sulla via (OMISSIS), di proprietà dei fratelli C. A., odierno ricorrente, e C.M., ambedue colà residenti, hanno rinvenuto in un terreno retrostante, adiacente al fabbricato, le piante in questione, già estirpate ed adagiate sul terreno che, hanno aggiunto gli stessi giudici, presentava delle buche la cui forma è apparsa compatibile con una recente attività di estirpazione. Lo stesso terreno era nella disponibilità dei due fratelli poichè si presentava completamente recintato con rete metallica e pali di ferro ed era accessibile esclusivamente dall’immobile da essi abitato. Nella stessa occasione, i militari hanno notato la presenza di un tubo di acqua abusivamente allacciato alla condotta dell’acquedotto comunale mentre, all’interno dell’abitazione, sono state rivenute le munizioni sopra descritte.

Alla stregua di tali emergenze processuali, la corte territoriale, premesso che l’appello dell’imputato non aveva riguardato l’illecita detenzione di munizioni, ha ribadito l’affermazione di responsabilità dell’imputato per gli altri delitti contestati, chiaramente attestata, a giudizio della stessa corte: a) quanto alla coltivazione della droga, dal fatto che il fondo ove la piantagione era stata posta a dimora è risultato interamente recintato ed accessibile solo dal fabbricato dei C., mentre carente di riscontri è stato ritenuto l’assunto dell’imputato secondo cui detto terreno aveva altri accessi e fantasiosa la pretesa dello stesso di attribuire ad altri l’ingresso nel terreno per depositarvi le 246 piante di canapa all’insaputa dai due fratelli; b) quanto al furto dell’acqua, che era stato sicuramente accertato, anche attraverso l’intervento del personale tecnico del comune di Siderno, che il fabbricato del C. era servito da un allaccio abusivo e che l’impianto era regolarmente funzionante.

La stessa corte ha altresì ribadito, con riguardo alla coltivazione della canapa indiana, la sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, in considerazione dell’elevato numero di dosi singole ricavabili dalle piante (18.156 in tesi d’accusa, comunque superiore a 14.240).

2 – Avverso tale decisione ricorre, dunque, il C., che deduce:

a) Violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al cit. D.P.R., art. 80, comma 2. Sostiene il ricorrente che l’aggravante in questione può ritenersi sussistente solo nelle ipotesi di eccezionali quantità di droga, ipotesi certamente non ricorrente nel caso di specie anche in considerazione del minimo principio attivo riscontrato nella sostanza in sequestro;

b) Erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., con riguardo alla sussistenza del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e vizio di motivazione, laddove la corte territoriale ha ribadito la responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di coltivazione di marijuana sull’erroneo presupposto che al terreno ove le piante sono state rinvenute si poteva accedere solo dall’immobile di proprietà dell’imputato, laddove altri accessi vi erano attraverso terreni limitrofi, in uso ad altri, ove erano state sequestrate altre coltivazioni.

Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte, il difensore del C., nel ribadire le censure già proposte con riguardo al riconoscimento dell’aggravante dell’art. 80, comma 2, ha segnalato che la stessa è stata dalla medesima conte territoriale, diversamente composta, esclusa, con sentenza del 10 dicembre 2010, nei confronti del fratello dell’odierno ricorrente, C.M., chiamato, in separato procedimento, celebratosi con rito ordinario, a rispondere del medesimo delitto di coltivazione delle 246 piante di marijuana; alla memoria risulta allegata copia della predetta sentenza.

Motivi della decisione

1- Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

A) Inammissibile è il secondo motivo di ricorso, attraverso il quale il ricorrente altro non fa che riproporre questioni di merito non deducibili nella sede di legittimità allorchè, come nel caso di specie, il giudice del gravame abbia dato esaustiva e coerente contezza delle ragioni della decisione adottata. Si tratta, peraltro, di questioni già sottoposte all’esame del giudice del gravame che, dopo attento esame delle emergenze probatorie in atti ed in piena sintonia con le stesse, le ha legittimamente ritenute infondate.

Ha quindi giustamente ribadito la corte territoriale che non potessero esservi dubbi circa la riconducibilità all’imputato (oltre che al fratello M.) della coltivazione in questione, poichè la stessa era stata impiantata su terreno adiacente l’abitazione dei due fratelli, interamente recintato, della cui esclusiva disponibilità in capo agli stessi non poteva esservi dubbio, anche perchè l’unico accesso all’area coltivata era rappresentato da un cancelletto ubicato sul retro del fabbricato.

Continua, tuttavia, il ricorrente a proporre, anche in questa sede, la tesi secondo cui l’area interessata alla coltivazione non era interamente recintata, ma aveva altri accessi, richiamando, in proposito, il verbale di sopralluogo (allegato al ricorso) nel quale si fa riferimento alla presenza, su una parte del perimetro del terreno coltivato, di un fitto canneto che fungeva da barriera e deducendo l’erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p..

Si tratta di tesi che, tuttavia, ribadisce l’inammissibilità del motivo proposto, questa volt sotto il profilo della manifesta infondatezza dello stesso. In realtà, la rilevata presenza, al margine di parte dell’area interessata dalla coltivazione, di un fitto canneto che contribuiva, con la recinzione metallica, alla delimitazione della stessa, nulla toglie all’esclusiva disponibilità in capo ai C. del terreno in questione nè all’unicità dell’accesso attraverso il cancelletto posto sul retro del fabbricato. D’altra parte, è proprio la presenza del fitto canneto ad escludere l’ipotizzato ulteriore accesso, posto che del teorico passaggio sarebbero certamente rimaste tracce evidenti sul terreno che sarebbero state rilevate dal personale di PG intervenuto e segnalate dallo stesso ricorrente. Mentre la presenza, nei pressi del terreno dei C., di altre coltivazioni dello stesso genere, ad altri riferibili, è circostanza chiaramente irrilevante e non incidente sulla legittimità della decisione impugnata, essendo evidente come il proliferare di piantagioni nella stessa area non pone in discussione le personali responsabilità di ciascuno dei responsabili.

B) Fondato è, viceversa, il primo dei motivi proposti, sussistendo le condizioni per rilevare – in armonia con le decisioni adottate dalla stessa corte territoriale con riguardo alla posizione del coimputato e fratello dell’odierno ricorrente, C.M., con sentenza del 10.12.10 – come la modesta estensione della coltivazione, il dato ponderale non particolarmente significativo, il non straordinario numero di dosi di droga dalle stesse ricavabile ed il contenuto principio attivo, depongano per l’insussistenza dell’aggravante contestata ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2. 2 – Sul punto, quindi, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa alla circostanza ad effetto speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 e rinvia, per l’ulteriore corso, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, altra sezione.

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