Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-03-2012, n. 4452 Garanzia per i vizi della cosa venduta

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 27 ottobre 2005 la s.p.a. Richard Ginori 1735 proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata – sez. dist. di Gragnano n. 83 del 2004 (non notificata), con la quale, in accoglimento della domanda proposta dalla s.r.l. La Canonica, aveva dichiarato risolto il contratto per l’acquisto di piatti intercorso tra le parti, condannando la convenuta s.p.a. Richard Ginori 1735 alla restituzione della somma già versata in esecuzione del contratto stipulato e al risarcimento dei danni nella misura di Euro 5.000,00, oltre interessi legali, rivalutazione dalla notificazione della citazione e spese giudiziali.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 2350 del 2010 (depositata il 21 giugno 2010), previa dichiarazione di contumacia dell’appellata, accoglieva il gravame e, per l’effetto, rigettava la domanda proposta in primo grado dalla s.r.l. La Canonica, che veniva condannata alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, oltre che alla restituzione delle somme corrisposte in suo favore dall’appellante in conseguenza della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte partenopea, ritenuta pregiudizialmente la ritualità della notificazione dell’atto di appello (avvenuta presso il difensore costituito in primo grado e, prima ancora, presso la sede legale della società appellata), rilevava la fondatezza del gravame sulla scorta delle risultanze istruttorie e dell’erroneità delta valutazione del giudice di prima istanza in ordine alla sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1490 e 1492 c.c. (avuto riguardo all’omessa valutazione sulla inidoneità dei piatti all’uso convenuto), da cui derivava anche l’infondatezza della proposta domanda risarcitoria, con l’accoglimento conseguente dell’istanza di ripetizione delle somme corrisposte in ragione della provvisoria esecutività della statuizione di prime cure.

Avverso la suddetta sentenza di appello (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 7 settembre 2010) la s.r.l. La Canonica basato su cinque motivi, in ordine al quale l’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 165, 171, 347 e 348 c.p.c. nonchè il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), sul presupposto che, nella fattispecie, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità dell’appello poichè la società appellante si era costituita oltre il termine di dieci giorni previsto dall’art. 347 c.p.c., così come richiamato dall’art. 165 c.p.c., tenendo presente che la citazione in appello (validamente formata) avverso la sentenza di primo grado (pubblicata il 28 luglio 2004) era stata notificata il 27 ottobre 2005 a cui, però, era seguita la tardiva iscrizione a ruolo il giorno 7 novembre 2005. 1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

Dall’esame degli atti del giudizio di appello (che possono essere valutati anche in questa sede in virtù della natura processuale del vizio dedotto) emerge che a copia dell’atto di citazione in appello validamente formata con l’indicazione dell’udienza di comparizione fu consegnata per la notificazione all’ufficiale giudiziario il 27 ottobre 2005 (entro il termine massimo c.d. lungo previsto dall’art. 327 c.p.c., nel testo "ratione temporis" applicabile, computandosi, nella specie, per due volte il periodo di sospensione legale dei termini processuali sul presupposto che la sentenza impugnata fu pubblicata il 28 luglio 2004 e che dopo la prima sospensione il termine iniziale non era ancora decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale: cfr., per tutte, Cass. n. 24816 del 2005) e fu, poi, notificata alla società appellata il 4 novembre 2005, per come desumibile dalla inerente relata apposta in calce all’atto stesso, a cui era, quindi, seguita l’iscrizione a ruolo della causa avvenuta in data 11 novembre 2005. Pertanto, considerando che, per il principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio (cfr., ad es., Cass. n. 2565 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 359 del 2010), la notifica per l’appellante notificante si sarebbe dovuta intendere perfezionata al momento della tempestiva consegna dell’atto di citazione al competente ufficiale giudiziario, e ritenuto che il "dies a quo" per procedere alla conseguente iscrizione a ruolo della causa si deve, in generale, computare dal momento dell’avvenuta notificazione dell’atto al destinatario (verificatasi, nel caso di specie, il 4 novembre 2005), ne deriva che la costituzione della società appellante intervenuta il successivo 11 novembre 2005 è stata tempestiva (in quanto eseguita nel termine di dieci giorni dalla suddetta notificazione).

In proposito va, perciò, riconfermato il principio secondo cui il termine per la costituzione dell’appellante, ai sensi dell’art. 347 c.p.c., in relazione all’art. 165 c.p.c., decorre dal momento del perfezionamento della notificazione dell’atto di appello nei confronti del destinatario e non dal momento della consegna di tale atto all’ufficiale giudiziario, che rileva, invece, solo ai fini della tempestività dell’impugnazione (cfr. Cass. n. 11783 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 9329 del 2010).

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 163 c.p.c., n. 7, artt. 164, 159 e 342 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avuto riguardo alla circostanza che le copie dell’atto di appello notificate sia presso la sede legale della società ricorrente che presso ti suo difensore in pari data (ovvero il 27 ottobre 2005) erano prive della data di comparizione, con conseguente invalidità di tutti gli atti processuali conseguenti, ivi compresa la sentenza di secondo grado, in difetto della sopravvenuta costituzione della stessa appellata.

2.1. Anche questo motivo è destituito di fondamento. Infatti, se è vero che, in un primo momento la citazione in appello fu notificata priva della data dell’udienza di comparizione, è risultato, tuttavia, riscontrato "ex actis" che la società appellante provvide tempestivamente (consegnando la copia all’ufficiale giudiziario il 27 ottobre 2005) alla rinnovazione della notificazione (presso il difensore domiciliatario, ove venne ricevuta il 4 novembre) della copia dell’atto di appello validamente formata con l’indicazione anche del requisito prescritto dall’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 7), così sanando ritualmente la nullità afferente le copie precedentemente notificate. Deve, perciò, trovare applicazione al riguardo il principio di diritto secondo cui se è vero che la mancata indicazione dell’udienza di comparizione, nella copia notificata dell’atto di appello, determina, nel caso in cui l’appellato non si è costituito, la nullità dell’atto medesimo, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., con gli effetti estensivi di cui all’art. 159 c.p.c., tuttavia tale nullità deve intendersi sanata ove l’appellante provveda tempestivamente alla rinnovazione dell’atto di appello (ed alla sua notificazione), integrandone adeguatamente il contenuto con riferimento alla prescrizione di cui all’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 7, eliminando, quindi, il vizio attinente alla "vocatio in ius" presente nell’atto precedentemente formato e notificato.

3. Con il terzo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, prospettando il vizio di nullità della sentenza e del procedimento, per violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.p.c., comma 3, artt. 137 e 160 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), assumendo che, qualora si fosse ritenuto che la Corte territoriale aveva inteso prendere in esame il secondo atto di appello (di cui al secondo motivo) notificato presso il difensore domiciliatario il 4 novembre 2005, ne sarebbe scaturita l’inesistenza ovvero la nullità della notificazione per essere avvenuta in violazione del disposto di cui all’art. 330 c.p.c., u.c..

4. Con il quarto motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 327 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

4.1. Anche questi due motivi – esaminabili congiuntamente perchè strettamente connessi – sono privi di pregio perchè l’atto di appello (formalmente e contenutisticamente valido, ovvero quello rinnovato con l’indicazione della data di comparizione) risulta – alla stregua di quanto considerato con riguardo alle due doglianze precedenti – notificato presso il procuratore domiciliatario della società appellata entro il termine utile stabilito dall’art. 327 c.p.c. (nella versione "ratione temporis" applicabile, prima della modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17), ovvero entro il termine massimo (computato ai sensi dell’art. 155 c.p.c.) di un anno con l’aggiunta del periodo di sospensione dei termini processuali (da computarsi, nella specie, per due volte per quanto chiarito con riferimento al primo motivo), dovendosi valorizzare, in proposito, ai fini dell’avvenuto perfezionamento nei confronti del notificante, il momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario (intervenuto il 27 ottobre 2005, a fronte della pubblicazione della sentenza impugnata in data 28 luglio 2004).

Pertanto, deve in proposito trovare conferma l’applicazione del principio alla stregua del quale l’impugnazione proposta entro l’anno solare dalla pubblicazione della sentenza, cui deve aggiungersi il periodo di sospensione feriale dei termini se la causa vi è soggetta (come quella in questione), costituisce impugnazione nel termine fissato dall’art. 327 c.p.c. (nella versione "ratione temporis" applicabile) e, pertanto, deve essere notificata nei luoghi indicati dal primo comma dell’art. 330 c.p.c. e non personalmente alla parte, come invece previsto dal comma 3 di detta norma per il diverso caso di impugnazione oltre il suddetto termine (cfr. Cass., S.U., n. 12593 del 1993; Cass. n. 18572 del 2004; Cass. n. 14756 del 2007 e Cass. n. 15123 del 2007).

5. Con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1492 e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), concludendo, poi, lo svolgimento della doglianza prospettando che, nella fattispecie, ricorreva il vizio di omessa motivazione, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, sul presupposto che la Corte di appello aveva negato che fosse stata data la prova sia dell’esistenza del vizio o difetto, della quantità dei piatti rotti e della loro inutilizzabilità, ovvero dell’inidoneità all’uso cui erano destinati, ed in particolare della cattiva qualità del prodotto, laddove la stessa risultava quanto mai pacifica ed incontrastata.

5.1. Anche quest’ultima doglianza è infondata e deve, perciò, essere respinta. Non sussiste il dedotto vizio di omessa motivazione perchè, difformemente da quanto prospettato dalla difesa della ricorrente, la Corte territoriale ha giustificato adeguatamente il suo percorso motivazionale in ordine all’erronea valutazione operata dal giudice di primo grado in ordine alla sussistenza dei presupposti per la pronuncia di risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1490 e 1492 c.c., avendo evidenziato che il giudice di prime cure aveva omesso completamente il giudizio in ordine all’inidoneità all’uso convenuto della merce compravenduta. In particolare, la Corte partenopea – con accertamento di merito adeguatamente e logicamente motivato (e, quindi, insindacabile nella presente sede di legittimità) – ha sottolineato che la parte acquirente non aveva fornito alcun elemento idoneo in ordine alla quantità di piatti che presentavano il difetto lamentato nè in relazione alla loro inutilizzabilità, essendo, peraltro, rimasto accertato che i piatti, consegnati nell’intervallo temporale tra il mese di giugno e quello di settembre 1996, erano stati quasi immediatamente utilizzati dall’attuale società ricorrente per la sua attività di ristorazione e che tale utilizzazione per l’uso cui il bene era destinato si era protratta per un tempo considerevole, ovvero quanto meno fino alla data di svolgimento delle operazioni peritali (novembre 2002), in tal senso, perciò, rimanendo escluse le condizioni per la tutelabilità delle ragioni dell’acquirente previste dall’art. 1490 c.c.. In punto di diritto, poi, la Corte territoriale – rimanendo, perciò, esclusa anche la prospettata violazione di legge – si è conformata all’insegnamento di questa Corte sulla scorta del quale la garanzia per i vizi della cosa venduta disciplinata dall’art. 1490 c.c. e segg., cui il venditore è tenuto anche se incolpevole (essendo la sua colpa richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno), impone all’acquirente l’onere di dimostrare la sussistenza dello specifico vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui essa è destinata (cfr, da ultimo, Cass. n. 23090 del 2009).

6. In definitiva, alla luce delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato senza doversi far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese del presente giudizio, in difetto di costituzione dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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