T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-11-2011, n. 8701

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I)- Con deliberazione giuntale nr. 434 del 10.4.1990 (in parte qua ratificata dal C.C. con atto del n.37 del 21.4.1990), il Comune di Pomezia approvava, con effetto immediato, il progetto per la realizzazione di una discarica di seconda categoria di tipo "A" (in loc. Cerqueto di Santa Palomba, distinta nel Catasto Terreni al Fg. 15, p.lle 11,12,13,39, 15p) e autorizzava la C. (che già era titolare di autorizzazione provvisoria a gestire una discarica di tipo 2A per effetto della delibera n.930 del 18.6.1988: ved. all.n.8 della produzione C.), ad esercitare, in via definitiva, l’attività di discarica di tipo 2 A (inerti da demolizione o da bonifica di discariche abusive), alle condizioni nel medesimo provvedimento esplicitate.

Nell’anno 1997, la C. veniva autorizzata, dalla G.R. del Lazio, con del. n.6550 del 21 ottobre (provvedimento non presente in atti ed oggetto di impugnativa), a ricevere rifiuti di amianto legato in matrice cementizia o resinoide presso la discarica di seconda categoria tipo "A" in Pomezia, loc. Santa Palomba (deliberazione questa poi rettificata con successivo atto n.1252 del 7.4.1998, anch’esso oggetto di impugnativa, disponendosi la soppressione delle parole "prodotti in questa regione").

Quindi, nell’anno 1998, la Giunta regionale laziale – richiamato l’art.6 del d.P.R. 8.8.1994 e dato atto che la deliberazione n.6550/97 aveva esaurito i propri effetti in data 21/10/1998 – con deliberazione n.5537 del 27.10.1998 (anch’essa oggetto di impugnativa) rinnovava alla C. l’autorizzazione al ricevimento, sempre presso la medesima discarica di tipo 2A (ora identificata, a causa del mutamento della numerazione delle originarie particelle catastali del Fg. 15 del catasto Terreni, in quella distinta con le p.lle 111/P, 113/P, 119/P, 54/P), dei rifiuti contenenti amianto in matrice cementizia o resinoide nel rispetto delle prescrizioni ivi determinate.

Detta deliberazione (nel cui seno è richiamata anche altra deliberazione regionale n.3900 del 29.7.1998 – non presente in atti e non oggetto di impugnativa – di autorizzazione alla C. di ricevere i rifiuti di cui trattasi nella discarica di tipo 2 A in loc. Cerqueto di Santa Palomba) veniva poi integrata, dal medesimo Organo regionale, con atto n.7501 del 22.12.1998 (oggetto di impugnativa) che conferiva efficacia quinquennale, a far data dal giorno della sua approvazione, alla deliberazione n.5537 el 27.10.1998.

Col gravame introduttivo dell’odierno giudizio, con cui vengono impugnati gli atti sopra specificati, l’amministrazione comunale ricorrente, preliminarmente rileva:

– che la discarica di cui trattasi è sequestrata da tempo e che concerne sito utilizzato per il conferimento di R.S.U. e già reputato inidoneo a ricevere gli stessi per il pericolo di inquinamento della falda acquifera che alimenta i pozzi del Carrano che forniscono acqua a tutto il sud pontino;

– che essa amministrazione ha avuta conoscenza delle deliberazioni avversate solo in data 04.6.1999 e cioè allorquando le venne chiesto dalla Regione di verificare la coincidenza tra le originarie p.lle 11,12,13,39, 15p del Fg. 15 e quelle relative alla nuova numerazione catastale (111/P, 113/P, 119/P, 54/P).

Di seguito, nella parte in "diritto" del gravame, trovano collocazione 16 distinte censure (che saranno oggetto di disamina da parte del Collegio nella parte motiva della presente decisione): censure che tanto l’amministrazione regionale quanto la C. hanno partitamente contestato, entrambe eccependo, altresì, l’irricevibilità del gravame avverso in quanto tardivamente azionato.

Sono state depositate da tutte le parti del processo memorie difensive e la causa, all’udienza del 13.10.2011, è stata trattenuta per la decisione.

II) L’eccezione di irricevibilità del gravame, deve essere disattesa.

La Regione, difatti, la impernia sulla circostanza che il Comune, che aveva già attivato vari contenziosi sulla questione, non poteva ignorare le deliberazioni di cui trattasi. La C., invece, fa riferimento a due articoli apparsi su quotidiani dei primi di maggio 1999: articoli relativi proprio all’amianto da conferire nella discarica della C..

Ora, per pacifica giurisprudenza, la dimostrazione della tardività del ricorso (e quindi della pregressa piena conoscenza degli elementi essenziali dell’atto in capo al destinatario) deve – in ossequio agli ordinari criteri di riparto dell’onere della prova – essere fornita da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione. Altrimenti detto la piena conoscenza dell’attività amministrativa e della sua lesività, al fine del decorso del termine di impugnazione, non può essere – come accade nel caso di specie – affermata in via presuntiva, ma deve formare oggetto di prova rigorosa da parte di chi denuncia la tardività del gravame: prova, nel caso di specie, non fornita con accessiva infondatezza dell’eccezione in commento.

III) – Si è, in precedenza, precisato che la ricorrente ha dedotto un ampio ventaglio di doglianze (in tutto 16, disposte in numerazione progressiva).

Nondimeno è opportuno, sin d’ora, tornando utile, come si vedrà, per la perimetrazione dell’ambito delibativo di competenza dell’adito Giudice, accennare alla censura contenuta nel 14° mezzo di gravame: mezzo in seno al quale la ricorrente espone che la propria deliberazione n.434/1990 (che, si ricorda, è quella con cui il Comune aveva approvato il progetto della C. di una discarica di tipo 2 A ed autorizzato, definitivamente, la stessa ad esercitare la relativa attività), è stata, dalla stessa amministrazione, revocata con successiva deliberazione consiliare n.48 del 27.3.1992: fatto questo determinativo del venir meno del presupposto su cui sono imperniate le deliberazioni regionali avversate: e cioè l’esistenza di una discarica di seconda categoria di tipo "A".

Orbene, la definizione di questo profilo del contenzioso si rivela centrale nell’economia della delibazione demandata al Collegio.

Altrimenti detto, il dissenso tra le parti di causa non involge, come naturale, le sole questioni di diritto ma si estende anche, in fatto, sull’esatta individuazione del sito e della discarica destinata a ricevere i rifiuti sopra indicati. Parte ricorrente – che, come sopra anticipato ritiene la discarica in questione già destinata a ricevere R.S.U., non operativa e oggetto di sequestro – associa a tali dati di fatto l’ulteriore (ed, in ogni caso, a suo avviso, risolutiva) circostanza data dalla revoca (antecedente alle deliberazioni regionali avversate) del provvedimento comunale, a suo tempo, autorizzativo alla realizzazione della discarica ed al suo esercizio.

Tale ricostruzione è, invece, vivamente contraddetta da entrambe le altre parti in causa sostenendosi l’esistenza di due discariche della C.: una destinata a R.S.U. da tempo inattiva e l’altra, operante, di tipo 2 A cui si riferiscono i provvedimenti regionali gravati.

Ora alla soluzione, ai fini della corrente controversia, di tale questione giova la presenza, negli atti di causa, di una decisione di questa Sezione (n. 1495/93) e di due sentenze del Cons. St. (n.1445/1999 – di riforma della predetta pronuncia di questa Sezione – e n. 998/2001: quest’ultima connessa a ricorso per revocazione avverso la dec. n.1455/1999).

Gli atti controversi (nell’ambito di detti procedimenti) concernevano la dislocazione e la realizzazione di una discarica nel territorio del comune di Pomezia, località Cerqueto di Santa Palomba, in un’area di proprietà della C.. Nella parte in "Diritto" della decisione n.1455/1999 si legge:

" Con la deliberazione consiliare 17/9/1991, n.81 veniva approvato uno studio di fattibilità relativa al progetto presentato dalla società C. per la realizzazione di un impianto di smaltimento dei rifiuti….. in un’area di sua proprietà sita in località Cerqueto di Santa Palomba.

Con ordinanza 30/9/1991, n.501 il presidente della giunta regionale ordinava al sindaco di Pomezia di predisporre, entro 10 giorni, un progetto di discarica di prima categoria della predetta località, destinata allo smaltimento dei rifiuti prodotti dai comuni della fascia meridionale della provincia e di approvare il progetto entro i successivi 30 giorni. Con l’ ordinanza n. 4 ottobre 1991, n. 486, il sindaco ordinava alla società C. di predisporre il progetto di discarica di prima categoria richiesto dal presidente della giunta regionale; l’ordinanza 25 ottobre 1991, n.502, ordinava alla stessa società di approntare entro 30 giorni la discarica di prima categoria….. sulla base del progetto presentate approvato con le modifiche…..

Gli atti citati venivano impugnati davanti al Tar del Lazio dal Sig. Claudio Bassetti ed altri cittadini di Pomezia. Successivamente il comune di Pomezia revocava i provvedimenti dianzi menzionati con atti che venivano impugnati in primo grado dalla società C. con più ricorsi."

Rebus sic stantibus, tali contenziosi (Il Tar in primo grado ha accolto i ricorsi ed il Cons. St. ha riformato tale decisione con l’iniziale pronuncia n.1495/1999) – che sono, nel corrente gravame, sovente richiamati dalla ricorrente a sostegno della inutilizzabilità della discarica in località Cerqueto di Santa Palomba, si riferiscono all’evidenza ad una discarica di 1^ categoria (e cioè una discarica destinata a ricevere R.S.U.) e non ad alcuna discarica di tipo 2 A (la quale, come successivamente vedremo, può accogliere soltanto rifiuti inerti costituiti da sfridi di materiali da costruzione e da materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi, materiali ceramici cotti,vetri di tutti i tipi, rocce e materiali litoidi da costruzione). Tale dato, difatti, trova, definitiva e risolutiva, conferma nella decisione del Cons. St. n.998/2001, che in accoglimento di ric. per revocazione avverso la sopra citata precedente sentenza, conferma quest’ultima con riguardo all’annullamento dei provvedimenti correlati alla discarica di I^ categoria mentre conferma l’esito del giudizio di primo grado concernente il ricorso proposto dalla C. avverso la del. consiliare del comune di Pomezia n.48 del 1992 "recante revoca delle autonome autorizzazioni concernenti la discarica di inerti esistente in loco". Aggiunge, poi, testualmente, il Consiglio di Stato che "come dedotto dalla ricorrente in primo grado, il provvedimento impugnato in prime cure era fornito di motivazione carente o incongrua, in quanto gli addotti motivi relativi all’inquinamento ambientale, se potevano essere pertinenti alla discarica di rifiuti solidi urbani, non lo erano alla discarica di inerti."

Può allora pervenirsi, sulla base degli atti di causa, ad un primo e significativo punto fermo: nella località Cerqueto di Santa Palomba insistevano (almeno) due discariche. Quella cui si riferisce il corrente contenzioso (id est: quella cui hanno riguardo le deliberazioni regionali avversate) è una discarica di inerti da demolizione, a suo tempo (nel 1990) autorizzata dal Comune di Pomezia, con provvedimento oggetto (nel 1992) di revoca: provvedimento quest’ultimo definitivamente annullato, dal Cons. St. nel 2001. Il presupposto posto a fondamento (negli anni 1997 e 1998) delle deliberazioni regionali gravate (e cioè l’esistenza e la regolare autorizzazione all’esercizio di una discarica, operativa, di tal natura), era, dunque, sussistente essendo stata la deliberazione di revoca del 1992 già privata di effetti in esito alla della decisione di primo grado di questo Tribunale sopra richiamata. Consegue a tanto l’infondatezza non solo della censura (14^) in trattazione ma anche dei motivi di diritto collocati nell’11°, 12° e 15° dei mezzi di gravame con i quali, partendo dall’erroneo presupposto che la discarica sia sotto sequestro, si rappresenta che l’area su cui insiste è da ritenersi acquisita al patrimonio comunale (e dunque non è più nella disponibilità della C.), è vincolata ai sensi dell’art.1 della legge n.431 del 1985 e sussistono pericoli di inquinamento della falda acquifera che alimenta i pozzi del Carrano che forniscono acqua a tutto il sud pontino. E difatti dette doglianze si riferiscono ad una discarica "a suo tempo autorizzata per i R.S.U." (ved. pag. 13 gravame) che deve ritenersi, alla luce di quanto sopra ricordato, diversa da quella presa in considerazione nei provvedimenti regionali avversati. E d’altro canto:

– la del. consiliare del comune di Pomezia n.48 del 1992, recante revoca delle autonome autorizzazioni concernenti la discarica di inerti esistente in loco (si ricorda, di competenza comunale ai sensi della legislazione allora vigente), non risulta motivata da un eventuale vincolo paesaggistico gravante sul sito ma da "motivi relativi all’inquinamento ambientale", che, come statuito dal Cons.St nella decisione del 2001, "se potevano essere pertinenti alla discarica di rifiuti solidi urbani, non lo erano alla discarica di inerti";

– nessun provvedimento della Conservatoria dei RR.II. attestante l’acquisizione in capo al Comune della proprietà dell’area sui cui insiste la discarica di inerti oggetto delle deliberazioni regionali avversate è stato esibito dalla ricorrente amministrazione.

IV) – La disamina dei rimanenti motivi di gravame deve essere preceduta da una puntualizzazione.

Al tempo in cui vennero adottate le deliberazioni regionali impugnate col corrente gravame era vigente il d.P.R. 08.8.1994 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per l’adozione di piani di protezione, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica dell’ambiente, ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto): decreto il cui art. 6 (successivamente abrogato dall’art.17 del d.lgs n.36 del 2003), nel dettare disposizioni in materia di "Individuazione dei siti che devono essere utilizzati per l’attività di smaltimento dei rifiuti di amianto", distingueva dai rifiuti di amianto in generale (ved. comma 2 che individuava le modalità di smaltimento degli stessi), i rifiuti "costituiti da sostanze o prodotti contenenti amianto legato in matrice cementizia o resinoide, classificabili quali rifiuti speciali ai sensi del citato decreto n. 915 del 1982", consentendo, limitatamente a tale specifico tipo di rifiuti (tecnicamente definibili a matrice compatta diversamente dagli altri, contenenti amianto, a matrice friabile), "lo smaltimento anche in discariche di seconda categoriatipo A, purché tali rifiuti provengano esclusivamente da attività di demolizione, costruzioni e scavi. Dovranno essere adottate, eventualmente, anche in sede autorizzativa, apposite norme tecniche e di gestione atte ad impedire l’affioramento dei rifiuti contenenti amianto durante le operazioni di movimentazione".

Ora, se si tiene conto che, nel caso di specie, non è assolutamente contestato:

– che i rifiuti a matrice compatta da conferirsi in esecuzione dei provvedimenti impugnati erano classificabili quali rifiuti speciali ai sensi del d.P.R. n.915 del 1982;

– che i medesimi rifiuti provenivano esclusivamente da attività di demolizione, costruzione e scavi;

ne segue che i provvedimenti regionali impugnati (che hanno autorizzato il conferimento di tali rifiuti in una discarica già operativa di seconda cat. tipo 2 A destinata ad inerti da demolizione) rinvenivano nel citato art. 6 del d.P.R. 8.8.1994 (puntualmente evocato nel preambolo della del. 5537/98 presente in atti) la relativa base di legittimazione normativa. Tale riscontro permette di apprezzare l’infondatezza delle censure collocate nei primi due motivi di gravame con cui il ricorrente – partendo dall’assunto che i rifiuti in questione siano classificati col Codice CER 170601 (materiali contenenti amianto) e dunque siano da considerare rifiuti pericolosi – sostiene la violazione degli artt.18 e 22 del d.lgs. n.22 del 1997 (c.d. decreto Ronchi) in quanto le iniziative assunte dalla Regione avrebbero dovuto essere attuate dallo Stato e i materiali de quibus preventivamente catalogati ed identificati secondo le modalità da fissarsi in un d.m. da adottarsi entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto Ronchi.

Ora la non condivisibilità di tali deduzioni riposa su un duplice ordine di rilievi.

In primo luogo, come è stato ripetutamente affermato in giurisprudenza (cfr. Cons. St. n. 2943 del 2004 e n.1329 del 2007), il complesso delle disposizioni di cui al d.P.R. 8.8.1994 "consente di ritenere che il Legislatore abbia inteso prevedere per lo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto un regime speciale, in deroga alle norme ordinarie in materia di gestione dei rifiuti, con la conseguenza che tale regime è rimasto in vigore nelle sue componenti essenziali anche dopo la riforma di cui al d.lgs 5 febbraio 1997 n. 22 e che, pertanto,costituisce una regolamentazione specifica della materia rispetto alla quale non determinano modifiche o integrazioni le disposizioni di carattere generale concernenti la competenza degli Enti territoriali in materia anche ambientale": insegnamento, quello appena riportato, che, altresì, depone per l’infondatezza della censura collocata sotto il 13° mezzo di gravame, laddove si sostiene l’implicita abrogazione, per opera del decreto Ronchi, del d.P.R. 8.8.1994 (in effetti l’art.56 del decreto Ronchi ha abrogato il solo art. 5 c.1 del d.P.R. 8.8.1994 che ha conservato vigenza per tutte le rimanenti disposizioni fra le quali l’art. 6 sopra richiamato).

In secondo luogo è errato l’assunto, patrocinato in gravame, secondo il quale, sotto l’impero del d.lgs n.22/1997, i rifiuti "costituiti da sostanze o prodotti contenenti amianto legato in matrice cementizia o resinoide" sono da classificarsi quali Rifiuti pericolosi.

Difatti il d.lgs 5 febbraio 1997, n.22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), aggiornato con le modifiche e integrazioni apportate dal d.lgs 8 novembre 1997, n. 389 e dalla Legge 9 dicembre 1998, n.426 (cosiddetto Decreto Ronchi ter), abrogando (articolo 56) il d.P.R. n.915 del 1982 – (che, si ricorda, classificava i Rifiuti in (art.2 c.2) urbani, (art.2 c.4) speciali e (art.2 c.5) tossico nocivi:la classificazione del Rifiuto quale speciale o tossico nocivo avveniva sulla base della loro concentrazione limite di polveri e fibre libere presenti: "tossiconocivi" se possedevano una concentrazione pari o superiore a 100 mg/Kg; "speciali " con una concentrazione inferiore a tale limite) -, venne a basare la classificazione giuridica dei rifiuti esclusivamente sulla loro origine. Non si resero, pertanto, più necessari, per classificare un rifiuto, lunghe e complesse analisi, ma bastava verificare in quale degli elenchi, previsti dal Decreto Legislativo, il rifiuto era indicato. Tutti i rifiuti speciali erano catalogati secondo la provenienza in un apposito elenco definito a livello comunitario (CER – Catalogo Europeo dei Rifiuti). I rifiuti speciali venivano classificati come pericolosi quando rispondevano ai criteri riportati negli allegati G (natura del rifiuto o attività che lo ha prodotto), H (costituenti del rifiuto) e I (caratteristiche di pericolo); in particolare, le nuove disposizioni, inoltre, prevedevano che venivano considerati rifiuti pericolosi i rifiuti inclusi nell’elenco dell’allegato D del Decreto (integrato dal D. Lgs. 389/97), con un criterio di classificazione basato, anche in questo caso, sulla provenienza, avendo il Legislatore considerato a priori le caratteristiche qualiquantitative del rifiuto. Ora inizialmente nel catalogo CER figuravano 6 tipologie di rifiuti contenenti amianto e solo due di esse erano riportate nell’elenco dei rifiuti pericolosi e cioè:

– rifiuti contenenti amianto da processi elettrolitici (Codice CER 06.07.01, inclusi nei rifiuti da processi chimici inorganici);

– materiali isolanti contenenti amianto (Codice CER 17.06.01, inclusi nei rifiuti di costruzioni e demolizioni).

Gli altri rifiuti contenenti amianto erano classificati come rifiuti (speciali) non pericolosi e inclusi nelle seguenti categorie:

– rifiuti della fabbricazione di amianto cemento (Codice CER 10.13.02);

– apparecchiature fuori uso contenenti amianto in fibre (Codice CER 16.02.04.);

– rifiuti derivanti da processi di lavorazione dell’amianto (Codice CER 16.02.06.);

– materiali da costruzione a base di amianto, comprendenti quindi le lastre di amianto piane e ondulate, i tubi, le canalizzazioni, i serbatoi, i pavimenti vinilici, le plastiche rinforzate contenenti amianto (Codice CER 17.01.05.) (Si tratta, ovviamente, dei rifiuti cui si riferisce il corrente contenzioso).

Tale classificazione mutava, dall’1.1.2002, per effetto della Decisione del 16 gennaio 2001 (2001/118/CE) adottata, sulla base delle direttive europee vigenti, dalla Commissione delle Comunità Europee pubblicata sulla G.U.C.E. del 16 febbraio 2001. Così gli RCA (e cioè i Rifiuti contenenti amianto) vennero a catalogarsi solo come Rifiuti pericolosi il cui nuovo Codice Cer era il seguente:

060701* Rifiuti dei processi elettrolitici, contenenti amianto (Invariato)

(Rifiuti della produzione, formulazione, fornitura ed uso di prodotti alogeni e dei processi chimici degli alogeni)

061304* Rifiuti della lavorazione dell’amianto (correlato con16.02.06 vecchio)

(Rifiuti da processi chimici inorganici non specificati altrimenti)

101309* Rifiuti della fabbricazione di amianto cemento contenenti amianto correlato con il vecchio10.13.02)

(Rifiuti della fabbricazione di cemento, calce, gesso e manufatti di tali materiali)

150111* Imballaggi metallici contenenti matrici solide porose pericolose (ad esempio amianto), compresi i contenitori a pressione vuoti (correlato con il vecchio 150104)

(Rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci, materiale filtranti e indumenti protettivi – non specificati altrimenti)

160111* Pastiglie per freni, contenenti amianto (correlato con il vecchio 160105 e 160208)

(Veicoli fuori uso appartenenti a diversi modi di trasporto………)

160212* Apparecchiature fuori uso contenenti amianto in fibre libere (vecchio160204)

(Scarti provenienti da apparecchiature elettriche ed elettroniche)

170601* Materiali isolanti contenenti amianto (Invariato)

(Materiali isolanti e materiali da costruzione a base di amianto)

170605* Materiali da costruzione a base di amianto (Vecchio17.01.05)

(Materiali isolanti e materiali da costruzione a base di amianto)

Successivamente a detta modifica della classificazione dei rifiuti pericolosi, la L. 443/2001 (art.1 c.15) introduceva un regime transitorio prevedendo che i soggetti che effettuavano attività di gestione dei rifiuti la cui classificazione fosse stata modificata dalla decisione della Commissione Europea dovevano presentare domanda di autorizzazione in relazione ai nuovi codici dei rifiuti. Nel contempo, però, le autorizzazione previgenti rimanevano comunque in vigore fino all’emanazione dei nuovi provvedimenti, escludendo che la relativa attività venisse assoggettata a procedure per la Via "in quanto le stesse sono attività già in essere".

Nel marzo del 2003 veniva poi pubblicato (G.U. n.59 del 12 marzo) il d.lgs. n.36/2003, il cui art.17 abrogava il d.P.R. 8.8.1994 ma consentiva (c.1) alle vecchie autorizzazioni di rimanere valide fino al 16 luglio 2005 (termine successivamente prorogato). Fino a tale data valevano ancora le autorizzazioni rilasciate in base ai criteri previsti dalla Deliberazione del Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984, in attuazione del DPR 915/82, nonché alle disposizioni specifiche per l’amiantocemento, stabilite dal DPR 8/8/94.

Riepilogando, i materiali da costruzione a base di amianto, comprendenti quindi le lastre di amianto piane e ondulate, i tubi, le canalizzazioni, i serbatoi, i pavimenti vinilici, le plastiche rinforzate contenenti amianto (Codice CER 17.01.05.), erano considerati, dalla normativa ratione temporis applicabile, quali rifiuti speciali non pericolosi. Per tale categoria di rifiuti (di matrice compatta) il d.P.R. 8.8.1994, introducendo una normativa speciale, all’art. 6 comma 3 autorizzava espressamente la collocazione in discarica di tipo 2A dei citati rifiuti "purché tali rifiuti provengano esclusivamente da attività di demolizione, costruzioni e scavi".

Ne segue che le censure in trattazione si rivelano destituite di fondamento giuridico.

Peraltro le considerazioni già sviluppate e la ricostruzione del quadro normativo sopra riportata consentono di apprezzare l’infondatezza di altri profili di doglianza riportati in gravame.

Tanto dicasi con riguardo alle censure collocate sotto il 7° e l’8° dei numerosi mezzi di gravame, con le quali, partendo dal presupposto che la Regione avrebbe autorizzato "l’apertura di una discarica di amianto" nel comune di Pomezia, si denuncia l’illegittimità di tale contegno per la violazione delle regole partecipative previste dagli artt.22 c.1 del decreto Ronchi e dall’art.15 della L.R. Lazio n.27 del 1998 nonché per la mancata previsione della V.i.a.

Ora, ed a prescindere dalla circostanza che, nel caso di specie, non risulta essere stata autorizzata alcuna "discarica di amianto", le norme che, dalla ricorrente, si assumono violate non sono pertinenti al caso di specie in cui non viene in considerazione una nuova discarica (il cui procedimento autorizzativo involge competenze di più enti e richiede il rispetto del principio partecipativo nonché il contestuale apprezzamento se, ai sensi della normativa vigente, l’impianto debba essere sottoposto, o meno, a V.i.a.) ma il solo conferimento di rifiuti contenenti amianto a matrice compatta (come sopra specificati) in una discarica di seconda categoria di tipo A, già operativa ed in ordine alla quale l’approvazione del relativo progetto e l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di smaltimento costituivano, anche nell’impianto della L.R. n.27 del 1998 (ved. art. 6 c.2) competenze delegate ai Comuni.

Per tale ordine di ragioni è, altresì, infondata la censura collocata nel 3° mezzo di gravame in cui si lamenta che la C. non era un soggetto qualificato all’attività di gestione dei rifiuti in quanto privo delle autorizzazioni di legge: carenza non addebitabile a detta società nel caso di specie.

In parte connessa con quella da ultimo scrutinata è la doglianza riportata nel 10° mezzo di gravame ove parte ricorrente rinviene una contraddittorietà tra i provvedimenti regionali autorizzativi impugnati e la delibera regionale n.10538/1995 con la quale la Giunta aveva manifestato perplessità in ordine all’utilizzo di discarica di tipo 2 A per lo smaltimento di amianto legato in matrice cementizia o resinoide senza autorizzazione di alcun tipo e senza specifiche prescrizioni igieniche.

La censura si rivela infondata atteso che, nel caso di specie, vi è stato uno specifico provvedimento autorizzatorio e sono state dettate puntuali prescrizioni atte a impedire qualsiasi pregiudizio connesso alle operazioni di movimentazione. La contraddittorietà denunciata da parte ricorrente si rivela pertanto insussistente.

Anche la censura riportata nel 9° mezzo di gravame non persuade.

La ricorrente lamenta la violazione del principio c.d. "di prossimità" tra il luogo di produzione e quello di smaltimento dei rifiuti speciali ex art.3 della L.R. n.27 del 1998: principio, nel caso di specie, violato poiché "la Regione intende realizzare un impianto di discarica di rifiuti in amianto, materiale pericoloso, altamente volatile, addirittura per tutte le regioni d’Italia".

Ora – e fermo restando:

– che la Regione non ha, come più volte già chiarito e ribadito, autorizzato un impianto di discarica per rifiuti in amianto;

– che i rifiuti oggetto dei provvedimenti avversati sono a "matrice compatta" e non quelli (parimenti contenenti amianto) "a matrice friabile" e cioè tali che possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere con la semplice pressione manuale;

(fermo quanto sopra), v" è da osservare che la possibilità, per la discarica di inerti in loc. Cerqueto di Santa Palomba, di ricevere rifiuti, contenenti amianto, a matrice compatta, provenienti anche da regioni diverse dal Lazio era prevista nella sola deliberazione n.6550/1997 (come rettificata per effetto della del. G.R. n.1252 del 7.4.1998). Sennonchè tale deliberazione, come specificato nel preambolo del successivo provvedimento n.5537 del 27.10.1998, aveva cessato di avere efficacia il 21.10.1998 (e cioè diversi mesi prima della proposizione del corrente gravame); mentre tale possibilità di smaltimento di rifiuti extraregionali non trova riscontro o menzione nella deliberazione n. 5537/1998.

Ora:

– poiché l’impugnativa della del. n.6550/1997 è stata azionata allorquando l’atto aveva, da tempo, esaurita la sua efficacia, di tal ché la rimozione giurisdizionale della stessa deliberazione nessuna utilità avrebbe potuto apportare alla ricorrente quand’anche statuita nell’anno 1999 (di produzione del gravame);

– poiché nessuna misura riparatoria e/o risarcitoria è stata, al riguardo, prospettata nel ricorso in trattazione (e tanto neanche in prossimità dell’odierna udienza), al fine di poter consentire al Collegio di accertare, ai sensi dell’art.34 c.3 del C.p.a., l’illegittimità di detta delibera pur se il suo eventuale annullamento non risultava (e non risulta) più utile per la ricorrente;

– poiché, come già chiarito, la del. n.5537 del 27.10.1998 non ha previsto la possibilità di smaltimento di rifiuti extraregionali contenenti amianto a matrice compatta;

ne segue l’infondatezza della censura in scrutinio.

La censura collocata nel 4° mezzo di gravame è di meno agevole definizione rispetto a quelle già trattate.

La ricorrente sostiene che la C. avrebbe dovuto essere iscritta nell’apposito Albo delle imprese esercenti servizio di smaltimento rifiuti di cui all’art.30 del decreto Ronchi: ma a tanto non ha provveduto e quindi non poteva essere autorizzata allo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto.

Ora – ed a prescindere da ogni più approfondita indagine esegetica in ordine alla appartenenza, o meno, della C. al novero delle imprese, indicate nell’art.10 c.1 del decreto Ronchi come tenute all’iscrizione all’Albo delle imprese esercenti servizio di smaltimento rifiuti – v’è da osservare che la concreta operatività di detta disposizione è stata rinviata (art.30 c.6) ad una serie di decreti ministeriali attuativi, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n.22/1997, volti a definire "le attribuzioni e le modalità organizzative dell’Albo, nonché i requisiti, i termini, le modalità ed i diritti d’iscrizione, le modalità e gli importi delle garanzie finanziarie…." Al comma 8 del medesimo articolo 30 è stato poi previsto che "Fino all’emanazione dei decreti di cui al comma 6 continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti".

Di tali decreti il d.m. 28/4/1988 n.406 ha disciplinato gli aspetti tecnici necessari per l’iscrizione all’albo e, per quanto riguarda i RCA (rifiuti contenenti amianto), ha previsto:

che l’iscrizione è richiesta (art.8):

– lett. e): categoria 5- raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi (con ovvio riferimento al vecchio codice CER 170601);

– lett. l) categoria 10 – bonifica di siti contenenti amianto;

che (art.14) l’iscrizione è subordinata alla presentazione di idonea garanzia finanziaria a favore dello Stato per ciascuna delle attività di cui all’articolo 8, comma 1, lettere a), d), e), f), g), h), i) ed l), le cui modalità ed importi sono determinate (c.3) ai sensi dell’art.30 c.6 del decreto Ronchi (e cioè tramite decreto ministeriale attuativo).

Di seguito:

a) il Comitato dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti (Organo individuato dall’art. 6 c.1 del d.m. 28.4.1998 n.406 quale competente alla la determinazione dei criteri per l’iscrizione nelle diverse categorie e classi di cui agli artt.8 e 9 dello stesso d.m.), ha fissato detti criteri solo con deliberazione 01.2.2000 pubblicata sulla G.U. n.90 del 17.4.2000, facendo decorrere l’efficacia della deliberazione "dalla data di entrata in vigore del decreto riguardante le modalità e gli importi delle garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore dello Stato di cui all’art. 30, comma 6, del decreto legislativo 5 febbraio1997, n. 22, ai sensi e per gli effetti dell’art. 30, comma 8, del medesimo decreto legislativo" (così art.4 deliberazione di cui trattasi);

b) con d.m. 05.2.2004, pubblicato sulla G.U. n.87 del 14.4.2004, sono state dettate le "Modalità ed importi delle garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore dello Stato dalle imprese che effettuano le attività di bonifica dei beni contenenti amianto".

Ricapitolando:

– pur prescindendo – come sopra già puntualizzato – da ogni approfondimento esegetico per stabilire se la C. fosse tenuta (come sostiene il comune di Pomezia) o meno (come sostengono le controparti della ricorrente) all’iscrizione all’Albo di cui all’art. 30 del decreto Ronchi; e: –

– quand’anche si volesse includere nell’ambito dell’attività condotta dalla C. la bonifica dei beni contenenti amianto,

in ogni caso la possibilità di iscrizione per tale categoria di attività di gestione dei rifiuti, si è avuta solo di seguito al d.m. 05.2.2004, con accessiva infondatezza della doglianza in trattazione secondo la quale la C. (già al tempo degli impugnati provvedimenti regionali) non poteva essere autorizzata allo smaltimenti dei rifiuti contenenti amianto in quanto non iscritta all’Albo delle imprese esercenti servizio di smaltimento rifiuti.

Con le censure collocate nel 5° e 6° mezzo di gravame, la ricorrente lamenta che, in violazione dell’art.29 della L.R. n.27 del 1998, l’autorizzazione di cui ai provvedimenti impugnati è stata rilasciata senza la determinazione delle tariffe e della quota percentuale della tariffa dovuta dagli eventuali comuni utenti al soggetto gestore dell’impianto o della discarica a favore del comune sede dell’impianto o della discarica stessi.

La censura è infondata in quanto detta disposizione riguarda l’esercizio degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e delle discariche di cui al precedente articolo 28 che sono di nuova istituzione e soggette ad autorizzazione regionale: presupposti che, entrambi, non ricorrono nella fattispecie in esame. E difatti:

– è il successivo art.30 della novella regionale che concerne "gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e le discariche attualmente in esercizio sulla base di provvedimenti provvisori" di competenza regionale;

– la discarica di inerti di seconda categoria Tipo "A" gestita dalla C. non era soggetta ad autorizzazione regionale ma comunale ai sensi dell’art. 5 c.2 della medesima legge regionale.

Ne consegue la chiara infondatezza delle censure in trattazione.

Residua da trattare l’ultima doglianza (16^ censura) con cui si lamenta l’inesistenza di alcun frazionamento delle p.lle catastali originarie (Fg. 15, p.lle 11,12,13,39, 15p) e la conseguente indeterminatezza dell’area destinata dalla discarica.

Tale profilo è contestato dalle altre parti in causa che rappresentano la nuova denominazione assunta dalle originarie p.lle a causa di un frazionamento effettuato il 14.12.1996. La C. esibisce anche copia di un documento di tale frazionamento che, invero, non è né chiara né leggibile.

Orbene, la Sezione – nonostante quanto sopra – non ritiene tale doglianza persuasiva. E ciò in quanto la Regione ha autorizzato non l’apertura di una nuova discarica ma l’utilizzo di una discarica per inerti già esistente e la cui attività risultava già assentita dalla competente amministrazione comunale nel 1990. Allora, indipendentemente dalla numerazione particellare in contestazione, la tesi attorea sarebbe stata persuasiva ove fosse stato documentato e/o provato che i rifiuti a matrice compatta di cui trattasi sono conferiti non in quella discarica per inerti di cui sopra ma in altro sito o impianto non coincidente con la stessa. Ma un tale riscontro è mancato e, pertanto, la censura deve essere disattesa.

V)- Conclusivamente il ricorso è infondato e deve essere respinto.

La complessità delle tematiche in fatto ed in diritto trattate giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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