Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-03-2012, n. 4450 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.F. citò innanzi al Tribunale di Lodi il confinante N.A. perchè fosso condannato alla demolizione o comunque all’arretramento del box auto costruito a confine con la proprietà di esso attore e dunque a distanza inferiore a metri cinque dallo stesso, come invece imposto dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del comune di Locate di (OMISSIS) e perchè fosse condannato al risarcimento dei danni – consistiti nella riduzione della quantità di aria e di luce di cui avrebbe potuto beneficiare nell’ipotesi di rispetto delle distanze. Il convenuto si costituì contrastando la domanda, con l’osservare che il box era stato edificato sulla base di un progetto unitario su più lotti contigui e che tale circostanza avrebbe costituito un’eccezione all’applicazione delle prescrizioni invocate dall’avversario; in via di riconvenzione chiese che l’attore riportasse alla quota originale il piano di campagna del lotto confinante, che aveva sopraelevato di circa un metro.

L’adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 213/2006, accolse le domande del C. ritenendo che non potesse dirsi realizzata la fattispecie del c.d. progetto unitario, atteso che il manufatto avrebbe interessato esclusivamente il fondo del convenuto; giudicò altresì esistente un danno alla miglior fruibilità dell’immobile dell’attore, condannando di conseguenza il N. alla demolizione o all’arretramento del box a distanza legale – intendendo integrato il precetto dell’art. 873 cod. civ. con le previsioni urbanistiche locali in materia di distanze – ed al pagamento di Euro 5.000,00 oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno; respinse poi le domande del N. siccome non provate quanto a presupposti e conseguenze nocive oggetto di domanda risarcitoria.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 1086/2010 respinse l’appello del N. e compensò le spese del grado: a -, ribadendo la non invocabilità nella fattispecie del concetto di progetto unitario su più lotti contigui; b – giudicando del tutto generica – e quindi non suscettibile di ulteriore approfondimento istruttorio – l’affermazione della sopravvenienza, in corso di giudizio, di modifiche allo strumento urbanistico che avrebbero consentito l’edificazione a confine; c – sottolineando la sussistenza di un danno immanente – e quindi non necessitante di prova specifica – nell’ipotesi di violazione delle norme sulle distanze; d – ritenendo irrilevante in termini di danno, l’eventuale – e comunque non dimostrato – rialzo del piano di campagna di circa 71 cm.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il N., articolandolo sulla base di sei motivi, illustrati da memoria; ha resistito il C. con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale per una diversa regolazione delle spese di lite.

Motivi della decisione

1 – Con il primo,quarto e quinto motivo parte ricorrente adduce la violazione dell’art. 113 c.p.c. e delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del comune di Locate di (OMISSIS), lamentando la mancata acquisizione, da parte della Corte territoriale, delle citate disposizioni al fine di riscontrare la sopravvenienza di norme – integrative del precetto di legge costituito dall’art. 873 cod. civ.- più favorevoli rispetto a quelle vigenti al momento dell’introduzione del giudizio, in quanto autorizzanti le costruzioni a confine; in particolare critica l’affermazione del giudice di merito della necessità di specifica allegazione della sussistenza delle indicate modifiche. Sindaca altresì, sulle stesse basi argomentative, il rifiuto di procedere a consulenza tecnica di ufficio per delineare l’ambito di applicabilità di tale jus superveniens.

1/a – I tre motivi, da valutare congiuntamente stante la loro stretta connessione argomentativa – pur essendo ammissibili, in quanto il richiamo alla violazione dell’art. 113 c.p.c. consente comunque di superare la estrema genericità nell’indicazione delle norme sostanziali ritenute violate, impingendo nel vizio del procedimento di formazione del convincimento del giudice di merito – non sono fondati, atteso che il principio statuite dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamata nel ricorso, a mente del quale il regolamento edilizio costituisce, in parte qua, norma secondaria di integrazione di quella civilistica in materia di distanze – art. 873 cod. civ.- e quindi, deve essere, in base al principio tura novit curia, conosciuto ed applicato dal giudice alla fattispecie, indipendentemente dall’attività probatoria delle parti, che l’abbiano invocata (tra le altre v. Cass. 14446/2010; Cass. 2563/09, Cass. 12561/02, Cass. 4372/02, Cass 10561/01)- deve però essere coniugato con il più generale principio di specificità del motivi di ricorso di legittimità – art. 366 c.p.c., n. 4 – che impone che vengano precisati i referenti normativi – in termini di certezza e non di mera astratta possibilità di esistenza, come in definitiva si ridurrebbe la generica deduzione della sopravvenienza di modificazioni alle precedenti prescrizioni urbanistiche in materia di distanze – che si assumono pretermessi nell’applicazione giudiziale;

dunque la regula juris enucleabile nella fattispecie avrebbe imposto quanto meno l’allegazione della esistenza di una precisa deroga al disposto dell’art. 5 delle disposizioni tecniche di attuazione del piano regolatore generale, ritenuto applicabile dai giudici di merito, al fine di consentire a questa Corte la formulazione di una precisa – in termini di oggetto, di vigenza e di applicazione – richiesta di informazioni al Comune interessato; conferma tale risultato interpretativo anche la doglianza in merito alla mancata nomina di un consulente tecnico che interpretasse l’ambito applicativo della ritenuta sopravvenienza normativa.

1/b – Ad ulteriore contorto dell’assunto sta anche la constatazione che la giurisprudenza che si è formata sul punto – successiva all’enunciazione del principio della natura integrativa del precetto di cui all’art. 873 cod. civ. da attribuire alle prescrizioni urbanistiche locali- presupponeva pur sempre la possibilità di preventiva delibazione dell’esistenza delle norme sopravvenute, specificate nel ricorso (o comunque in atti del giudizio) e non ricomprendeva quindi, come in effetti diverrebbe se si accedesse alla tesi esposta nel motivo di esame, l’esplicazione di un’attività meramente esplorativa, illegittimamente demandata alla Corte.

2 – Con il secondo motivo viene dedotta la violazione delle richiamate norme tecniche di attuazione vigenti al momento della costruzione del box, nonchè vizio di motivazione nelle sue tre manifestazioni contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – assumendosi che sarebbe stata riscontrabile la fattispecie del "progetto unitario" esclusa nelle pregresse fasi di merito, in quanto entrambe le proprietà dei contendenti avrebbero fatto parte della medesima lottizzazione e che per la convenzione ad essa accedente, sarebbe stata prevista l’edificazione senza il rispetto delle distanze.

2/a – Tale motivo non è ammissibile sia perchè non riporta il testo della convenzione – rispetto al quale si deduce la violazione dei canoni di ermeneutica negoziale di cui all’art. 1362 cod. civ. – in violazione del criterio di autosufficienza del ricorso, sia anche perchè, pur in presenza di una diffusa motivazione da parte della Corte milanese, è mancata l’analisi del ragionamento giudiziale sul punto, unico referente delibativo della Corte in sede di legittimità. 3 – Con il terzo motivo viene addotta la violazione del principio statuente la necessità della specificità delle censure di appello – art. 342 c.p.c. – là dove la Corte territoriale ritenne inammissibile la critica in merito alla ritenuta indeterminatezza dei danni da mancato rispetto delle distanze: tale doglianza non è fondata in quanto correttamente la Corte distrettuale ritenne necessaria siffatta specificità di critica per superare le neppure affrontate motivazioni sul punto dell’esistenza di un danno immanente da violazione delle prescrizioni sulle distanze, contenute nella sentenza di primo grado – riportata verbatim nella narrativa di fatto della decisione della Corte milanese.

4 – Con il sesto motivo parte ricorrente ritiene insufficiente o contraddittoria la motivazione addotta dalla Corte di merito là dove respinse la domanda di riduzione in pristino dell’originario piano di campagna del lotto del C. e non ritenne di ammettere una CTU sulla consistenza originaria dei lotti, quale risultante anche da un rilievo aerofotogrammetrico dell’epoca dei fatti, allegato all’appello – e ciò pur dopo aver delibato l’ammissibilità di tale produzione.

4/a – Anche tale doglianza non può dirsi fondata, in quanto il giudice del merito, fece riferimento alle risultanze della CTU resa in primo grado che, sul punto del dislivello, aveva concluso per la verosimile inesistenza di un intervento immutativo da parte del C., atteso che la edificazione e la conformazione della stessa sul proprio lotto da parte del N. era anteriore a quella de vicino, così dando una spiegazione, logica e non contraddittoria rispetto alle proprie premesse, della decisione raggiunta, tanto più che parte oggi ricorrente neppure spiega le ragioni per le quali i rilievi aerofotogrammetrici avrebbero fornito, se correttamente interpretati dall’ausiliare, una diversa chiave di lettura del lamentato dislivello, anche in relazione ai tempi della sua creazione.

5 – Con unico motivo di ricorso incidentale il contro ricorrente lamenta la violazione delle norme che presidiano la ripartizione dell’onere delle spese lamentando l’insufficienza del richiamo ai giusti motivi per operare la compensazione, in presenza di una soccombenza totale.

5/a – Il motivo è infondato in quanto il giudice dell’appello fece innanzi tutto riferimento alla complessità delle questioni dibattute, così soddisfacendo il requisito di specificità già all’epoca vigente in via di interpretazione evolutiva dell’originano disposto dell’art. 92 c.p.c., comma 2 – non essendo ancora applicabile la novella introdotta con la L. n. 263 del 2005, applicabile ai procedimenti istaurati successivamente al 1 marzo 2006. 6 – Stante la prevalente e complessiva soccombenza del ricorrente, il N. va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione contenuta nel dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso principale e quello incidentale e condanna N. A. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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