Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-04-2011) 11-10-2011, n. 36708

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 3.6.2010 la Corte di appello di Palermo, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanza da B. V. con la quale chiedeva il frazionamento prò quota delle spese di giustizia, di cui alla cartella di pagamento notificata in data 10.4.2010 per l’importo complessivo di Euro 33.403,88 dal concessionario della riscossione Serit Sicilia s.p.a., poste a suo carico in solido con altri coimputati a seguito della sentenza di condanna pronunziata dalla stessa Corte d’appello in data 8.7.2005, divenuta irrevocabile il 18.1.2007.

Ad avviso della Corte territoriale, "non sono state addotte sufficienti motivazioni per procedere ad una quantificazione del pagamento personale del B., non risultando che gli altri coobligati siano inadempienti". 2. Ricorre il B., a mezzo del difensore di fiducia, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato per violazione della L. n. 69 del 2009, art. 67 e mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Espone, in specie, che con l’istanza si chiedeva l’applicazione della nuova disciplina introdotta con la citata legge che ha modificato il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 205 del prevedendo che le spese del processo penale anticipate dall’erario sono recuperate nei confronti di ciascun condannato senza vincolo di solidarietà.

Motivi della decisione

1. Deve ricordarsi, in primo luogo, che con più decisioni di questa Corte si è affermata l’impossibilità di riconoscere efficacia retroattiva della L. n. 69 del 2009 laddove ha escluso il vincolo solidale tra i condannati. L’irretroattività è stata affermata, sul presupposto che le disposizioni in materia di spese processuali hanno natura processuale e la loro applicazione è conseguentemente regolata dal principio tempus regit actum (Sez. 6, n. 39682, 25/09/2009, Gargiulo, rv. 244704; Sez. 1, n. 27253, 24/06/2010, Toniolatti, rv. 247734; Sez. 1, n.13328, 21.1.2011, Guidotti, non massimata; Sez. 5, n. 7160, 13.1.2011, Zagari, non massimata; Sez. 1, n. 43696, 21.10.2010, Almadori, non massimata).

Invero, se si ritiene che la L. n. 69 del 2009 ha eliminato il carattere solidale dell’obbligazione al pagamento delle spese del procedimento penale scaturente dalla condanna, dovrebbe dubitarsi della correttezza dell’affermazione che si tratta modifica che incide su disposizione di natura processuale. Tuttavia, proprio se si ritiene che la Legge del 2009 incida sulla natura sostanziale dell’obbligazione, è sostenibile la tesi della irretroattività della legge modificatrice con riferimento a condanne preesistenti da cui deriva l’obbligazione che non può essere modificata a posteriori stante la definitività del titolo.

Laddove si sostenesse, invece, che la mera eliminazione dell’art. 535 c.p.p., comma 1 ultima parte e comma 2, è dato di per sè neutro – atteso il disposto degli artt. 1292 e 1294 c.c. – e che la introduzione nel D.P.R. n. 115 del 2002, art. 205 della previsione che le spese sono recuperate senza vincolo di solidarietà incide, ai sensi dell’art. 1293 c.c., sulle sole modalità dell’adempimento, potrebbe riconoscersi allo ius superveniens natura di norma "processuale", in quanto volta soltanto a regolare le procedure di recupero. In questo caso, però, dovrebbe rivalutarsi l’applicabilità della nuova legge alle procedure di recupero iniziate dopo l’entrata in vigore della novella a prescindere dalla data del titolo.

2. Il richiamato orientamento prevalente non sembra, peraltro, avere affrontato la questione relativa alla natura squisitamente civilistica dell’obbligazione di rimborso delle spese processuali, alla luce della giurisprudenza costituzionale che ritiene superata tale opinione.

Con la decisione della sent. n. 98 del 1998 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 c.p., comma 2, nella parte in cui non prevede la non trasmissibilità agli eredi dell’obbligo di rimborsare le spese del processo penale), la Corte Cost., ha osservato che, se antecedentemente alla legge sull’ordinamento penitenziario (n. 354 del 1975) vi erano ben pochi dubbi circa la natura civile dell’obbligazione di rimborso delle spese del processo penale posta a carico dell’autore del reato con la sentenza definitiva di condanna, i presupposti giuridici di tale configurazione dovevano ritenersi venuti meno a seguito della introduzione del beneficio della rimessione del debito nei confronti dei condannati e degli internati che si trovino in disagiate condizioni economiche ed abbiano tenuto regolare condotta. A seguito della introduzione della esenzione premiale, lo stesso debito di rimborso delle spese processuali aveva mutato natura: "non più obbligazione civile retta dai comuni principi della responsabilità patrimoniale, ma sanzione economica accessoria alla pena, in qualche modo partecipe del regime giuridico e delle finalità di questa".

Che l’obbligazione al pagamento delle spese andasse ricondotta al genere di "sanzioni partecipi del regime giuridico e delle finalità della pena e quindi accessorie a questa", è stato, poi, ripetuto dalla Corte cost. con l’ordinanza n. 57 del 2001, che su tale presupposto ha ritenuto la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 c.p., comma 2, nella parte in cui non prevede che il debito di rimborso delle spese processuali cessi, in quanto effetto penale, nel caso di revoca della condanna, ex art. 673 c.p.p..

E’ vero che anche l’attrazione nell’orbita dell’art. 27 Cost. dell’obbligazione del condannato al rimborso delle spese del processo penale non basterebbe, stando al tenore dell’art. 2 c.p., commi 3 e 4, a rendere capace di incidere retroattivamente sul giudicato una legge che modifica soltanto il quantum di un’imposizione, in senso lato sanzionatoria, che era e resta soltanto pecuniaria. La normativa codicistica non risolve, tuttavia, interamente il problema della compatibilità con i principi sovraordinati, costituzionali e comuni, della integrale eseguibilità di un trattamento a carattere sanzionatorio dopo che questo risulti pro quota abrogato.

Peraltro, in casi in cui viene in considerazione non soltanto la perdurante solidarietà dell’obbligazione, ma anche la addebitabilità ad un condannato di spese riferibili, in tesi, all’accertamento di reati diversi da quelli per i quali è stato condannato o a questi connessi, è difficile escludere che la soluzione del quesito circa la natura della condanna alle spese incida sui confini tracciati dalla giurisprudenza tra questioni proponibili al giudice penale ed al giudice civile.

3. Il principio che in materia di spese processuali le questioni rientranti nella competenza del giudice dell’esecuzione penale sono soltanto quelle che attengono alla esistenza o validità del titolo per l’esercizio dell’azione di recupero, mentre per quelle concernenti la determinazione dell’ammontare delle spese incluse nella notula redatta dall’ufficio del campione penale e ritenute non dovute l’interessato deve contestare il diritto della parte istante a procedere davanti al giudice civile con le forme previste per opposizione all’esecuzione risulta affermato in molte decisioni (Sez. 1, n. 1108, 05/03/1991, Manti, rv. 186931; Sez. 4, n. 121, 31/02/1994, Carrisi, rv. 197952; Sez. 4, n. 2751, 13/11/1996, Pagliarani, rv. 206323; Sez. 1, n. 19547, 02/04/2004, Lunardon, rv.

227983; Sez. 1, n. 15839, 06/04/2006, Rovetta, non massimata; Sez. 1, n. 44079, 11/11/2008, Galiazzo, rv. 241850; Sez. 1, n. 13328, 21.1.2011, Guidotti, non massimata; Sez. 1, n. 14624, 9/2/2011, Serio, non massimata; Sez. 1, n. 7529, 10/02/2011, Arcuri, non massimata).

Analogamente si è affermato che al giudice dell’esecuzione penale possono essere proposte esclusivamente le questioni che attengono all’esistenza e validità (o alla sufficienza) del titolo per l’esercizio dell’azione di recupero, e che ogni altra questione concernente la procedura esecutiva va, invece, dedotta dinanzi al giudice civile – con le forme dell’opposizione agli atti esecutivi, ove venga posta in discussione la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto, ovvero con le forme dell’opposizione all’esecuzione, ove si contestino le causali di spesa o il loro ammontare – (Sez. 6, n. 3827, 07/10/1997, Pagliara, rv. 209484; Sez. 1, n. 22025, 30/03/2006, Stara, rv. 234918; Sez. 1, n. 15934, 30/03/2007, Stara, rv. 236173; Sez. 1, n. 30737, 12/07/2007, Stara, rv. 237356; Sez. 1, n. 45773, 02/12/2008, Stara, rv. 242573).

Codesti orientamenti corrispondono a quello formatosi nella vigenza del codice di procedura penale del 1930, avendo l’art. 613 c.p.p. 1930 formulazione identica all’art. 691 c.p.p., comma 2, del 1988 ed essendo la Tariffa penale – che stabiliva che l’esecuzione avesse luogo secondo la disciplina positiva dettata dal codice di procedura civile (Sez. 1, n. 1108 del 1991, Manti) – rimasta in vigore nella materia sino al D.P.R. n. 115 del 2002.

Sostituito l’art. 691 c.p.p. con il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 200, e riformato da tale Testo Unico il procedimento per il recupero delle spese processuali, si è osservato che la soluzione non era cambiata, anzi, appariva ulteriormente ribadita per effetto dell’abrogazione dell’art. 695 c.p.p.. (Sez. 1, n. 19547 del 2004, Lunardon).

La pronuncia Sez. 1, n. 16721, 23/03/2007, Martinelli, rv. 236436, sembra anzi ritenere che, dopo l’abrogazione dell’art. 695 c.p.p., in capo al giudice dell’esecuzione penale non residui di fatto alcuna competenza, avendo l’interessato aperta da un lato la via dell’autotutela da parte della P.A. (ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 210 e 220); dall’altro, in alternativa, la via ordinaria dell’opposizione in sede civile. La sentenza evidenzia in particolare che l’interessato poteva, comunque, ai sensi dell’art. 226, che richiama tra l’altro il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 29 (recante "Garanzie giurisdizionali per entrate non devolute alle commissioni tributarie", in base al quale restano esperibili i rimedi previsti dall’art. 615 c.p.c., e ss, avverso cartelle esattoriali con cui si richieda il pagamento di entrate non tributarie: Sez. U. Civili, sent. n. 23667 del 13/10/2009, Rv. 609742), proporre le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi "nelle forme ordinarie", e quindi davanti al giudice civile.

Gli specifici riferimenti normativi sono in buona parte superati, ma non paiono nella sostanza travolti dalle modifiche recate al D.P.R. n. 115 del 2002 dalla L. n. 69 del 2009, art. 67, in relazione alle quali è sufficiente ricordare che il legislatore, oltre ad escludere la solidarietà, ha specificamente individuato, ma solo per i procedimenti penali definiti dopo l’entrata in vigore della legge (art. 65, comma 5), l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione in quello "presso il giudice dell’esecuzione" (art. 208, comma 1, lett. a), mediante la riduzione del Titolo 2^ della Parte 7^, alle sole spese per il processo amministrativo, contabile e tributario, e l’introduzione di un titolo autonomo, il 2 bis, per le spese processuali nel processo civile e penale, ha tenuto distinte le previsioni relative alle due tipologie processuali, salvo poi istituire innumerevoli rinvii interni; ha specificamente regolato la riscossione mediante ruolo per le spese processuali sia penali sia civili nel D.P.R. n. 115 del 2002, art. 227 ter che al comma 2 richiama il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 32, comma 1, lett. a), e il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2, e che ai sensi dell’art. 67, comma 6, della legge si applica anche ai ruoli formati tra la data di entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in L. 6 agosto 2008, n. 133, e quella di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009.

Più di recente, si è quindi andato affermando un indirizzo secondo cui il giudice penale difetta addirittura di giurisdizione, laddove vengano poste o decise con le forme dell’incidente di esecuzione questioni non afferenti l’esistenza del titolo, bensì l’ammontare delle spese (o la ritualità degli atti esecutivi).

Si esprime in particolare in tal senso la decisione Sez. 1, n. 7529 del 2011, Arcuri (che rettifica il provvedimento impugnato, che aveva declinato la competenza, mentre avrebbe dovuto dichiarare il difetto di giurisdizione), la quale puntualmente richiama: Sez. U, n. 25, 24/11/1999, Di Dona, rv. 214694 -laddove parla di difetto di giurisdizione ovvero di "macro-anomalia", assimilabile "al c.d. eccesso di potere giurisdizionale", del provvedimento del giudice "esorbitante" rispetto ai "limiti interni ed oggettivi che, alla stregua dell’ordinamento positivo", ovvero ai sensi dell’art. 1 c.p.p. e art. 1 c.p.c., "discriminano il ramo civile e il ramo penale nella distribuzione della jurisdictio" – nonchè, Sez. 4, n. 22483, 26/04/2007, Murgia, rv. 237011; Sez. 5, n. 39406, 23/10/2002, Bellavia, rv. 225407; Sez. 1, n. 20793, 28/04/2009, Frangiamore, rv.

244172; Sez. 1, n. 21063, 12/05/2010, Murano, rv. 247586, in tema di opposizione a decreti di liquidazione delle spese e di domande concernenti beni confiscati. Parimenti, concludono per il difetto di giurisdizione: Sez. 6, n. 40997, 07/11/2006, Stara (che annulla senza rinvio l’ordinanza del giudice penale che aveva dichiarato inammissibile l’istanza ad esso rivolta e dichiara la giurisdizione del Tribunale civile); Sez. 1, n. 44965, 17.11.2009, Scapini (che dichiara inammissibile l’istanza diretta a giudice carente di giurisdizione rispetto alla richiesta); Sez. 1, n. 14624, 9/2/2011, Serio (che annulla senza rinvio l’ordinanza del giudice penale che aveva rigettato l’istanza a lui rivolta, per difetto di giurisdizione).

Non vi sono invece, a quanto consta, decisioni delle Sezioni penali successive al D.P.R. n. 115 del 2002 che espressamente affermano il contrario.

4. L’uniformità degli indirizzi richiamati, non corrisponde, tuttavia, ad una reale omogeneità di contenuti, nè ha prodotto esiti uniformi.

Emerge dalle decisioni richiamate che l’evoluzione della giurisprudenza verso l’affermazione del difetto di giurisdizione del giudice penale, in relazione a questioni concernenti l’ammontare delle spese oggetto di azione di recupero, conduce a risultati che vanno dal rigetto o dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, all’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato per mancanza di giurisdizione del giudice penale (cui, stando alla motivazione di S.U. Di Dona, dovrebbe conseguire la trasmissione al giudice di cui si accerta la giurisdizione, perchè provveda all’esame dell’impugnazione erroneamente rivolta ad altro giudice, ma senza che, invero, nessuna delle decisioni esaminate abbia in tal modo espressamente disposto).

Se si esaminano, inoltre, nel dettaglio le motivazioni e le soluzioni raggiunte nelle varie decisioni riferite ad entrambi i filoni giurisprudenziali indicati può, ad esempio, notarsi che Sez. 1, n. 43696 del 2010, Almadori, (pur ribadendo che "le disposizioni in materia di spese del processo hanno natura processuale e, pertanto, la loro applicazione è regolata dal principio tempus regit actum") accoglie il ricorso proposto con le forme dell’incidente d’esecuzione sotto l’aspetto che il giudice dell’esecuzione non aveva osservato il "principio che l’obbligo solidale al pagamento delle spese processuali deriva solo dalla condanna per concorso nel medesimo reato o per reati tra i quali ricorre una connessione qualificata e non già da una unicità di processo per mera connessione soggettiva o probatoria od altra opportunità processuale (cfr. Cass. sent. n. 12151/2006), nonchè (il) principio per il quale siffatto obbligo va comunque rapportato alle sole spese affrontate per il reato od i reati per cui è stata inflitta la pena (cfr. Cass. sent. n. 4129/2006)".

All’inverso altre decisioni, quali Sez. 1, n. 44079, Galiazzo, affermano che la questione sulla riferibilità delle spese a reati non legati da connessione rilevante ai sensi dell’art. 535 c.p.p., con quelli per i quali il ricorrente era stato condannato, doveva farsi valere con le forme dell’opposizione all’esecuzione, secondo le forme del codice civile.

La differenza tra le affermazioni che la competenza (o la giurisdizione) del giudice penale sussiste solamente se la questione posta concerne l’esistenza del titolo, e altre, per le quali il giudice penale è correttamente investito se la questione ha riguardo alla esistenza ovvero alla validità, operatività, attualità e sufficienza del titolo, sembra così svelare una difformità d’approccio sostanziale.

5. In particolare, poi, deve rilevarsi come gli assunti sulle regole di riparto delle attribuzioni del giudice civile e penale e sulla riconducibilità delle stesse a questioni di giurisdizione non paiono conformi a quelli della giurisprudenza civile.

Anche nella pronuncia delle Sez. U. civ., n. 12168, 27/12/1990, rv.

470292, pur decidendo in specie in riferimento a condanna pronunziata dalla Corte costituzionale, si affermava, in via generale, che il recupero delle spese processuali penali anticipate dallo Stato da effettuarsi secondo la disciplina richiamata dall’art. 613 c.p.p. 1930 (ovverosia secondo la Tariffa in materia penale), postulava che l’opposizione dell’intimato andasse proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.p. dinanzi al giudice civile. Si ricordava, tuttavia, che, per un verso, pure i poteri di cognizione del giudice dell’opposizione all’esecuzione sono limitati alla verifica dell’interpretazione, dell’esistenza e dell’esecutività del titolo e non possono estendersi a vizi di nullità relativi alla sua formazione (Cass. 6 ottobre 1977 n. 4247; Cass. 13 maggio 1977 n. 1894; Cass. 15 maggio 1978 n. 2369; Cass. 5 gennaio 1981 n. 26; Cass. 3 agosto 1984 n. 4616, per ipotesi di assoluta inesistenza del titolo giudiziale), per l’altro, che tali limiti interni della cognizione del Giudice ordinario non attengono a un suo difetto di giurisdizione, ma al tipo di azione proponibile, ex artt. 615 e 617 c.p.c., dal debitore escusso in forza di un titolo di formazione giudiziale.

Le Sez. U. civ., n. 19161, 03/09/2009, investite di contrasto in relazione alla questione se l’opposizione al decreto di liquidazione dei compensi a custode va proposta a giudice penale o civile, si occupava, quindi, organicamente della disciplina del D.P.R. n. 115 del 2002, segnalando che, ai sensi dell’art. 2, l’ambito di applicazione del Testo Unico "riguarda, indifferentemente il processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario, con l’eccezione di quelle norme che espressamente sono riferite ad uno o più degli stessi processi". Esaminava, quindi, la giurisprudenza delle Sezioni penali che ritengono che le questioni relative all’individuazione del giudice civile o penale in materia in genere di spese processuali configurino un difetto assoluto di giurisdizione (rimarcando la diversità, ciò nonostante, delle "conseguenze che ne sono fatte derivare e che vanno dalla cassazione senza rinvio all’inammissibilità del ricorso, alla cassazione con trasmissione degli atti al giudice "competente"). Ribadiva, di contro, che secondo la giurisprudenza delle Sezioni civili è pacifico che la questione relativa all’individuazione del giudice civile o penale non è qualificabile come questione di giurisdizione perchè, ai sensi dell’art. 37 c.p.c., "è tale solo la questione che attiene all’individuazione delle sfere di attribuzione rispettive del giudice ordinario e dei giudici speciali e alla delimitazione di tali attribuzioni rispetto alla pubblica amministrazione e ai giudici stranieri, ma non quella relativa alla ripartizione degli affari tra giudici, civili o penali, appartenenti alla stessa giurisdizione ordinaria (Cass. n. 26296/2008, 16615/2007, 28266/2005, 14696/2005, 13559/2005, 10959/2005, 17206/2003, 4369/2003, 9730/2002, 709/2002, 14934/2001, 434/2000)".

Ai fini della soluzione della specifica questione proposta, la decisione che si va citando delle S.U. n. 19161 del 2009, chiariva, quindi, che occorre distinguere tra individuazione dell’ufficio, rito da seguire e individuazione della competenza, o meglio dell’attribuzione dell’affare a magistrati addetti al servizio, civile o penale di quello stesso ufficio. E osserva che per individuare l’attribuzione vale anzitutto – in assenza di diversa espressa disposizione – la natura delle situazione giuridica considerata, sicchè il procedimento di opposizione a provvedimento sulle spese del processo penale, che introduce una controversia di natura civile, deve essere trattato da magistrati addetti al servizio civile indipendentemente dalla circostanza che si rivolga a provvedimento pronunciato in un giudizio penale. A tanto aggiungendo che è corretto, altresì, ritenere che le procedure espressamente disciplinate con riferimento a norme di diritto civile siano trattate da magistrati di quel settore.

Affermava, infine, che, qualora l’ordinanza che decide l’opposizione venga adottata da un giudice addetto al servizio penale, si configura una violazione delle regole di composizione dei collegi e di assegnazione degli affari che non determina difetto di competenza nè nullità, ma può giustificare esclusivamente conseguenze di natura amministrativa o disciplinare. La trattazione del ricorso per cassazione spetta, tuttavia, alle Sezioni civili della Corte di cassazione.

Le decisioni delle Sezioni penali che sostengono il difetto di giurisdizione del Giudice penale o che dichiarano improponibili dinanzi ad esso le questioni che attengono all’ammontare delle spese oggetto della procedura di recupero, paiono, dunque, fondarsi su principi in evidente contrasto con quelli affermati dalle Sezioni Unite Civili.

6. In conclusione, ad avviso del Collegio, la mancata considerazione delle questioni evidenziate rende prospettabile un potenziale contrasto circa la natura della condanna alle spese ed il valore delle norme che la regolano e che, per quanto osservato, non vi sia univocità sostanziale degli orientamenti delle Sezioni penali in tema di riparto di questioni che attengono alla delimitazione delle somme oggetto di azione di recupero a seguito di condanna alle spese.

Esiste, in ogni caso, un evidente contrasto tra le Sezioni Penali e le Sezioni Unite Civili in materia di giurisdizione, competenza e riparto di affari tra giudici civili e penali, specie in riferimento alle questioni relative alle spese processuali.

Appare per tali ragioni necessario rimettere alle Sezioni Unite penali, a norma dell’art. 618 c.p.p., la questione:

"se il giudice penale difetti di giurisdizione in ordine alla domanda del condannato di frazionamento prò quota della obbligazione di pagamento delle spese processuali proposta con le forme dell’incidente di esecuzione".

P.Q.M.

A scioglimento della riserva assunta il 1 marzo 2001, rimette il ricorso alle Sezioni Unite.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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