Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-03-2012, n. 4449 Onorari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23-3-2001 la Menfi Industria s.p.a. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano l’avv. L.S. C., per sentir accertare che il valore del contratto oggetto delle prestazioni di assistenza rese dal convenuto ammontava ad Euro 855.774,25, e di conseguenza dichiarare che gli onorari spettanti al professionista per le prestazioni di cui alla parcella del 23-7-1999 erano ricompresi tra un minimo di Euro 8.613,25 ed un massimo di Euro 28.229,69.

Nel costituirsi, il L.C. contestava la fondatezza della domanda e chiedeva, in via riconvenzionale, che venisse accertato che il valore del contratto ammontava ad Euro 222.592.923,50, e che l’onorario venisse quantificato in Euro 552.907,30 o nella diversa somma ritenuta di giustizia, oltre ad Euro 56.742,80 per spese.

Con sentenza in data 1-2-2006 il giudice adito quantificava il corrispettivo dovuto al convenuto per l’assistenza resa al fine della stipulazione del contratto de quo e per le connesse attività professionali in Euro 65.903,00, condannando la società attrice al pagamento di tale somma, oltre interessi, e compensando le spese di lite.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale il L. C. e appello incidentale la Menfi Industria s.p.a.

Con sentenza depositata il 21-9-2009 la Corte di Appello di Milano rigettava entrambi i gravami, compensando le spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il L.C., sulla base di sei motivi.

La Menfi Industria s.p.a. resiste con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo il ricorrente, denunciando la violazione degli artt. 180 e 184 c.p.c., sostiene che la Corte di Appello ha errato nel ritenere, in conformità del giudizio espresso dal Tribunale, tardive e inammissibili le richieste formulate dal convenuto all’udienza di conclusioni di primo grado. Deduce che tali richieste non implicano alcuna alterazione della causa petendi e del petitum, essendosi il L.M. limitato ad indicare una quantificazione diversa del valore del contratto (Euro 514.719.020,20), alla luce dei nuovi elementi di fatto emersi con la memoria di replica della Menfi del 30-5-2003 e con la produzione da parte di tale società dei documenti 9 (prospetto delle pentole che, in forza del contratto di cessione dei brevetti, modelli e marchi del 25-3-1994, la Menfi aveva prodotto dal 1996 al 2003) e 10 (inerente alla quantità di pentole che la Menfi aveva acquistato da Cartossi in esecuzione del contratto del 12-9-1996), dopo la scadenza dei termini fissati dal primo giudice per la precisazione delle domande (30-11-2002) e per le repliche (31-1-2003); elementi di cui il convenuto non era a conoscenza al tempo della redazione della comparsa di costituzione, nella quale aveva indicato un valore presuntivo di Euro 222.592.923,50, calcolato sulle quantità di pentole che presumibilmente la società Menfi avrebbe comprato dalla Cartossi s.r.l nel corso del rapporto di forniture costituenti parte del corrispettivo della cessione di brevetti, modelli e marchi del 25-3- 1994. Secondo il ricorrente, nella specie sono rimasti inalterati la causa petendi e i fatti costitutivi fatti valere a sostegno della domanda in precedenza proposta (attività di consulenza e assistenza resa dal convenuto alla società Menfi in relazione ai contratti stipulati in data 25-3-1994 e 12-9-1996); sicchè la richiesta di liquidazione di un maggior compenso professionale costituisce una mera emendatio e non una mutatio.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte avuto modo di affermare che non danno luogo a una domanda nuova e devono, pertanto, ritenersi consentite le variazioni puramente quantitative del "petitum", che non alterino i termini sostanziali della controversia e non introducano nuovi temi di indagine (tra le tante v. Cass. 18-11-2011 n. 1083; Cass. 24-7- 2007 n. 17977; Cass. 22-5-2000 n. 6638).

Nella specie, come è stato evidenziato nella sentenza impugnata, il convenuto, all’udienza di precisazione delle conclusioni, non si è limitato a chiedere la liquidazione, a titolo di onorario per l’attività professionale resa in via stragiudiziale in favore dell’odierna resistente, di una somma maggiore rispetto a quella originariamente indicata, ma ha mutato i criteri di indagine, introducendo una nuova base di calcolo per la determinazione del valore del contratto al quale parametrare il compenso spettantegli.

Nella comparsa di risposta del 10-5-2001, infatti, il L.C. aveva indicato, come base di calcolo per la determinazione del valore di tale contratto, il quantitativo minimo di pentole previsto annualmente dal contratto; laddove, in sede di conclusioni, egli ha fatto riferimento al quantitativo di pentole che la Menfi aveva acquistato da Cartossi e prodotto in proprio o tramite altre società a partire dal 1994.

Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non par dubbio che la richiesta di adottare, al fine della determinazione del valore del contratto al quale rapportare la liquidazione dell’onorario professionale, in sostituzione del criterio indicato nell’atto di citazione, il più alto parametro costituito dal quantitativo di pentole effettivamente acquistato e prodotto in proprio dalla Menfi nel corso degli anni, implichi una mutatio libelli, introducendo nel giudizio elementi fattuali e di calcolo nuovi, che comportano un ampliamento dell’originario tema d’indagine.

Una simile richiesta, pertanto, non poteva essere proposta per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni, nel sistema di preclusioni che caratterizza il giudizio di primo grado a seguito della novella introdotta dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, applicabile nella specie ratione temporis.

2) Con il secondo motivo (che, pur facendo erroneo riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 2, deve intendersi proposto ai sensi del n. 4 dello stesso articolo) il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., sostenendo che la Corte di Appello non ha esaminato una serie di allegazioni svolte dall’appellante nei primo motivo di ricorso (concernenti l’oggetto dei contratti del 1994 e del 1996; la quantità delle pentole prodotte in proprio dalla Menfi e di quelle acquistate dalla stessa società tra il 1994 e il 2005; il prezzo unitario delle pentole), i documenti dal medesimo indicati, il verbale delle dichiarazioni del teste D., che confermano e provano la vendita, le sue modalità e il prezzo.

Il motivo è inammissibile.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto (Cass. 11-2-2009 n. 3357; Cass. 18-12-2001 n. 15982; Cass. 11-3-1995 n. 2859).

Nel caso di specie, la mancata delibazione denunciata dal ricorrente non riguarda direttamente una domanda o un’eccezione, bensì il contenuto di allegazioni difensive, risultanze istruttorie e documenti asseritamente ignorati dal giudice di appello. Il mancato esame dei predetti atti, pertanto, non da luogo a vizio di omessa pronuncia, a mente dell’art. 112 c.p.c., ma può essere eventualmente fatto valere solo sotto il profilo dell’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’omessa e insufficiente motivazione, sostenendo che la Corte di Appello ha aderito acriticamente alla tesi prospettata dalla Menfi, secondo cui il L.C. avrebbe introdotto una nuova base di calcolo, inconferente con il thema decidendum, senza indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento e senza spiegare le ragioni per le quali non ha condiviso le allegazioni svolte dall’appellante.

Il motivo è infondato.

Deve rammentarsi che l’onere di adeguatezza della motivazione non comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni delle parti, nè che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da queste svolte. E’, infatti, sufficiente che il giudice esponga, anche in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (tra le tante v. Cass. 20- 11-2009 n. 24542; Cass. 12-1-2006 n. 407; Cass. 2-8- 2001, n. 10569).

Nella specie, la Corte di Appello ha dato sufficiente conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che il convenuto all’udienza di precisazione delle conclusioni aveva introdotto una domanda nuova, spiegando che il predetto non si è limitato a chiedere la liquidazione di una somma maggiore rispetto a quella originariamente indicata, ma ha mutato i criteri di indagine, introducendo una nuova base di calcolo per la determinazione del valore del contratto. Tali considerazioni appaiono idonee a sorreggere la soluzione adottata, dovendo considerarsi implicitamente disattese le deduzioni svolte dall’appellante per sostenere che non vi era stata alcuna mutatio libelli.

4) Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di alcune circostanze, dedotte dal L.C. in primo grado e ribadite in appello, concernenti: a) l’assistenza prestata alla Menfi nell’ambito della controversia originata tra la Menfi e Cartossi originata dall’esecuzione del contratto del 25-3-1994; assistenza che, se presa in considerazione, avrebbe comportato il riconoscimento del corrispettivo per tale attività; b) la quantità delle pentole che la Menfi ha acquistato da Cartossi e di quelle prodotte in proprio dalla società attrice; circostanza che, se non trascurata, avrebbe dovuto valere come base di calcolo del valore del contratto.

Il motivo è privo di fondamento, dovendosi rilevare che i fatti di cui il ricorrente lamenta il mancato esame non sono stati ignorati dalla Corte di Appello, ma sono stati dalla stessa ritenuti irrilevanti ai fini della determinazione del compenso spettante al professionista. Il giudice del gravame, infatti, da un lato ha dato atto, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, in quanto sorretto da una motivazione adeguata e congruente, che il thema decidendum del presente giudizio è costituito dall’attività professionale svolta dal L.C. in relazione alla preparazione e redazione del contratto del 12-9-1996, e non anche di quello del 25-3-1994, atteso che l’incarico di assistenza è stato affidato al L.C. nel dicembre 1995, in epoca successiva alla stipulazione di tale atto; e dall’altro ha affermato, con argomentazioni corrette sul piano logico e giuridico, che i criteri da utilizzare per la determinazione del valore di un contratto ai fini della quantificazione della parcella del professionista per l’opera svolta sono quelli desumibili ex ante dai contratto stesso al momento della stesura definitiva, e non quelli ricavabili ex post sulla base dell’utilità che il contratto ha portato al cliente a distanza anche di anni.

5) Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale dettate dagli artt. 1362-1371 c.c., e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. Deduce che la Corte di Appello, nel condividere la decisione del Tribunale di affidarsi alla clausola 4.3 (integrante una clausola penale) del contratto per determinarne il valore, non ha ricercato la volontà comune delle parti, desumibile da una lettura unitaria dei contratti del 25-3-1994 e del 12-9-1996, da cui emergeva l’intenzione di porre in essere un rapporto di cessione di brevetti, modelli e marchi e un rapporto di fornitura di pentole non limitati nella durata temporale.

Rileva il Collegio che la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c. è inammissibile per la sua assoluta genericità, non avendo il ricorrente indicato le ragioni dell’asserita violazione. Deve ribadirsi, in questa sede, il principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui anche quando nel ricorso per cassazione sono denunciati errores in procedendo è necessario, per il principio di autosufficienza del ricorso, e quindi per non incorrere nel vizio di genericità della doglianza, che siano indicati con precisione gli elementi di fatto che consentano di controllare la decisività dei vizi dedotti (tra le tante v. Cass. 15-1-2007 n. 653; Cass. 31-1-2006 n. 2140; Cass. 3-4-2003 n. 5148).

Quanto alla dedotta violazione degli artt. 1362-1371 c.c., si osserva che il ricorrente per cassazione che censuri l’erronea interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice del merito, per il principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere di trascriverle integralmente, perchè al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura (Cass. 6-2-2007 n. 2560; Cass. 18-11-2005 n. 24461; Cass. 13-10-2003 n. 15279).

Nella specie, nè nella parte espositiva nè in quella motiva del ricorso è stato trascritto il contenuto del contratto del quale si riferisce l’errata interpretazione. Il Collegio, pertanto, non è posto nelle condizioni di valutare se sussistano o meno i vizi denunciati della sentenza impugnata, nella quale si da atto della correttezza della "lettura del contratto proposta dal giudice di primo grado, frutto di un’attenta analisi delle singole clausole, coordinate in un quadro complesso coerente e logico, con preciso riferimento ai dati che si attingono dal suddetto contratto". 6) Con il sesto motivo il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 167 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha disatteso le deduzioni svolte dall’appellante circa la mancanza di contestazioni, da parte della società Menfi, delle allegazioni e produzioni documentali riguardanti le prestazioni professionali rese dal convenuto.

Anche tale motivo difetta dei requisiti di specificità ed autosufficienza, non indicando, in concreto, quali prestazioni professionali non contestate dalla controparte non siano state prese in considerazione dai giudici di merito ai fini della liquidazione del compenso dovuto al L.C..

7) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 7.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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