Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-03-2012, n. 4433 Testamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 22 e il 24 febbraio 1993 S.C. V., + ALTRI OMESSI – istituite eredi (come anche L.T., L.B., S.G.B. e P. S.) con un testamento olografo datato 15 dicembre 1986 da L.A., deceduta l'(OMISSIS) – chiesero al Tribunale di Saluzzo: di dichiarare nullo, per difetto di autografia e sottoscrizione, un altro testamento olografo datato 20 settembre 1990, con cui apparentemente la de cuius aveva lasciato i propri beni a M.M. e a S.P.; di dichiarare quest’ultimo indegno a succedere, per aver formato o scientemente fatto uso del secondo atto di ultima volontà; di convalidare il sequestro giudiziario dei beni caduti in successione, autorizzato ed eseguito ante causam ad istanza di L.A.; di dare luogo alla divisione del patrimonio ereditario tra gli eredi istituiti con il primo testamento.

S.P. e M.M. si difesero contestando la fondatezza di tali domande. Ad esse aderirono invece, facendole proprie, L.T. e L.B.. G. L.B. rimase contumace.

All’esito dell’istruzione della causa, con sentenza definitiva del 9 novembre 1999 il Tribunale convalidò il sequestro, dichiarò la nullità del testamento datato 20 settembre 1990 per difetto di autografia e di sottoscrizione, respinse la domanda relativa all’indegnità di S.P.; ordinò la separazione della causa di divisione, per la quale dispose procedersi a ulteriori accertamenti.

Dopo il loro compimento, con sentenza del 19 luglio 2002 il Tribunale dispose lo scioglimento della comunione ereditaria in conformità con il progetto presentato dal consulente tecnico di ufficio; compensò tra le parti le spese di giudizio.

Impugnata da S.P. e M.M., la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino, che con sentenza del 10 novembre 2005 ha rigettato il gravame e ha condannato gli appellanti a rimborsare alle altre parti le spese di giudizio.

S.P. e M.M. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a sei motivi.

S.C.V., + ALTRI OMESSI si sono costituiti con controricorso. Non hanno svolto attività difensive nel giudizio di legittimità S.G.B., L.B., R.G. e Ra.Gi. (quale erede di T. A.).

Motivi della decisione

Con i primi due motivi di ricorso S.P. e M. M. si dolgono del rigetto della loro eccezione di estinzione del processo di primo grado, che avevano sollevato in considerazione della mancata menzione di S.A. senior nel ricorso in riassunzione, presentato dalle attrici dopo la scadenza del termine della sospensione disposta ai sensi dell’art. 296 c.p.c.: sostengono che la Corte d’appello, come già il Tribunale, ha ingiustificatamente supposto che l’omissione fosse stata conseguenza non di una scelta consapevole, ma di un errore materiale; osservano altresì che esso semmai avrebbe potuto essere corretto soltanto su istanza di parte.

La censura va disattesa, per l’assorbente ragione che l’eventuale pretermissione della litisconsorte necessaria S.A. senior non avrebbe comunque comportato l’estinzione del processo, bensì la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti (cfr., tra le più recenti, Cass. 12 settembre 2011 n. 18645): integrazione resa tuttavia superflua nella specie dalla successiva attività difensiva svolta dal procuratore delle attrici, in nome di tutte loro, compresa colei che non era stata indicata nell’intestazione dell’atto di riassunzione.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce che la divisione è stata attuata secondo le proposte formulate dal consulente tecnico di ufficio, la cui attività era inficiata da nullità, perchè svolta senza che ne fosse stato dato avviso al consulente della parte convenuta: si contesta che il motivo del gravame proposto sul punto avverso la sentenza del Tribunale fosse generico, come invece lo ha considerato la Corte d’appello.

Neppure questa doglianza può essere accolta, poichè in effetti l’argomento che nel ricorso viene indicato come addotto a sostegno della tesi di cui si tratta con l’atto introduttivo del giudizio di secondo grado (sono state dedotte idonee prove (che qui si ripropongono), volte a provare che le operazioni peritali si sono svolte in contrasto con i ripetuti insegnamenti della Suprema Corte in materia di esecuzione dell’incarico da parte dell’ausiliario del Giudice) risulta evidentemente affetto da estrema genericità, non essendosi precisato quali fossero le ragioni della dedotta invalidità della consulenza tecnica di ufficio.

Con il quarto motivo di ricorso M.M. lamenta di essere stata erroneamente reputata, ai fini del regolamento delle spese, come interessata al giudizio di divisione, al quale invece era del tutto estranea, poichè esso atteneva alle disposizioni del testamento del 15 dicembre 1986, in cui lei non era contemplata, sicchè non era ipotizzabile il potenziale "effetto espansivo" ravvisato dalla Corte d’appello nel rapporto tra questa causa e quella di impugnazione dell’altro testamento.

L’assunto non è fondato, poichè dopo la separazione delle cause, disposta con la prima sentenza del Tribunale di Saluzzo, M. M. ha continuato di sua iniziativa a prendere attivamente parte al giudizio di divisione, che continuava in primo grado, contrastando la domanda delle altre parti, chiedendo la sospensione del processo ed eccependone l’estinzione, con deduzioni che ha poi ribadito anche in appello.

Con il quinto motivo di ricorso S.P. e M.M. si dolgono del mancato accoglimento della loro istanza di sospensione necessaria della causa di divisione fino alla decisione, con efficacia di giudicato, di quella di impugnazione del testamento del 20 settembre 1990: affermano che tra i due giudizi esiste un rapporto di pregiudizialità che imponeva – e che tuttora impone – di accogliere la loro richiesta, per evitare la formazione di giudicati eventualmente contrastanti.

Su questa censura non occorre provvedere, poichè ha perduto ogni concreta e attuale rilevanza: il ricorso in esame e quello proposto da S.P. e M.M. contro la sentenza della Corte d’appello di Torino, che ha respinto il loro gravame contro la sentenza del Tribunale di Saluzzo del 9 novembre 1999, sono stati discussi davanti a questa Corte nella stessa udienza e del secondo è stato deciso il rigetto, sicchè la dichiarazione di non autenticità del testamento del 20 settembre 1990 ormai non è più in questione.

Con il sesto motivo di ricorso S.P. e M.M. sostengono che R.L., Ra.Gi. e R. A. hanno partecipato al giudizio senza dare prova della loro legittimazione, sicchè si verte in una ipotesi di carenza di una condizione dell’azione, rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità.

La censura va disattesa. Proprio alla luce della giurisprudenza richiamata dai ricorrenti, la carenza probatoria da loro attribuita a R.L., Ra.Gi. e R.A. (costituitesi già in primo grado quali eredi dell’attrice T. A.) atterrebbe non già alla legittimazione alla causa, ma semmai alla titolarità del diritto fatto valere in giudizio, il cui difetto avrebbe dovuto essere dedotto come motivo di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, che quel diritto aveva riconosciuto sussistente in capo (anche) a coloro che si erano costituite in luogo della defunta (cfr., per tutte, Cass. 10 maggio 2010 n. 11284).

Il ricorso viene pertanto rigettato.

La soccombenza di S.P. comporta la sua condanna a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 4.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Il carattere secondario della questione cui unicamente M. M. in realtà è interessata in questa causa costituisce giusto motivo per una pronuncia di compensazione nei suoi riguardi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna S.P. a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 4.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge; compensa le stesse spese nei riguardi di M.M..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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