Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-03-2011) 11-10-2011, n. 36635 Incompatibiltà cause di incompatibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 15.4.2009 il Gup del Tribunale di Foggia dichiarava S.A. colpevole dei reati di omicidio volontario premeditato, aggravato anche ai sensi dell’art. 61 cod. pen., n. 10, nonchè del reato di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, commessi il (OMISSIS), in danno di I.C., curatore fallimentare, e lo condannava, con la riduzione del rito abbreviato, alla pena di anni trenta di reclusione.

2. Il 13.4.2010 la Corte di Assise di appello di Bari, in parziale riforma della decisione di prima grado, assolveva l’imputato dal reato di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, capo b), escludeva le aggravanti della premeditazione e del nesso teleologia) e rideterminava la pena nella misura di anni venti di reclusione, confermando nel resto.

3. La Corte territoriale premetteva che lo I., curatore fallimentare, aveva ottenuto dal tribunale il sequestro giudiziario di un immobile che ricadeva nella massa fallimentare, occupato sine titulo dall’imputato e dalla moglie. Dopo un primo rinvio dell’esecuzione del sequestro, la vittima il 6.6.2008 si recava presso l’immobile con l’ufficiale giudiziario per eseguire il provvedimento; quindi, lo S., dopo aver chiesto una proroga dell’esecuzione che gli veniva rifiutata dallo I., esplodeva al suo indirizzo colpi di arma da fuoco con un revolver cal. 38 special, cagionandone la morte.

Per quanto qui interessa, la Corte, pur indicando in più punti della motivazione la sussistenza dei presupposti della contestata circostanza aggravante di cui all’art. 61 cod. pen., n. 10, espressamente sottolineava (p. 30) che con l’atto di appello l’imputato non aveva formulato alcuna censura sul punto.

Escludeva la premeditazione e riteneva, invece, infondato l’appello relativamente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sottolineando che, indiscussa la particolare gravità del fatto e delle allarmanti modalità dello stesso, dagli atti emergeva, altresì, che l’imputato aveva tenuto un comportamento sostanzialmente fraudolento occupando l’immobile al fine di impedire l’acquisizione dello stesso alla massa fallimentare.

Veniva, altresì, confutato dalla Corte l’argomento che ad avviso della difesa doveva valere al riconoscimento delle invocate attenuanti: l’aver messo a disposizione delle persone offese l’unico bene di cui disponeva. Infatti, veniva rilevato che l’imputato, pur avendo inizialmente manifestato l’intenzione di mettere a disposizione delle persone offese l’immobile posseduto in Rodi Garganico, tuttavia, successivamente aveva venduto l’immobile.

4. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, sia personalmente che a mezzo del difensore di fiducia.

4.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge con riferimento all’art. 36 cod. proc. pen., rilevando che uno dei giudici della Corte di assise di appello aveva rivestito le funzioni di giudice delegato del fallimento cui si riferiscono i fatti oggetto del procedimento.

Con il secondo motivo deduce la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la Corte tenuto conto dei fatti che avevano dato origine alla vicenda.

4.2. Con il ricorso proposto a mezzo del difensore si censura la sentenza impugnata sotto due profili:

a) violazione di legge penale e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta aggravante di cui all’art. 61 cod. pen., n. 10; rileva il ricorrente che la qualità di curatore fallimentare non comporta ex se la configurabilità della ritenuta aggravante in quanto non basta che il fatto sia commesso contro una persona qualificata, ma occorre la sussistenza di una connessione tra il reato commesso e l’attività del soggetto; nella specie il fatto non è stato commesso nè a causa, nè in occasione dello svolgimento della funzione pubblica e non è neppure ricollegabile alla qualità istituzionale di curatore fallimentare, nell’iter procedimentale dell’esecuzione del sequestro, nel quale si inserisce la commissione del reato, la vittima non interveniva nel suo ruolo istituzionale, ma a titolo privato, come, del resto, aveva rilevato anche il giudice di merito affermando che l’esecuzione del sequestro costituisce atto rientrante nelle attribuzioni funzionali dell’ufficiale giudiziario e non del curatore fallimentare;

b) violazione di legge e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della quantificazione della pena, avendo la Corte omesso di valutare gli elementi indicati dalla difesa sul punto, tra cui la totale incensuratezza, e contraddicendo la propria vantazione in ordine all’intensità del dolo ai fini dell’esclusione della aggravante della premeditazione.

Motivi della decisione

1. Quanto alla questione posta dall’imputato con il primo motivo di ricorso deve rilevarsi che nell’ipotesi di specie non ricorre alcuna delle cause di incompatibilità previste dall’art. 34 cod. proc. pen. che, peraltro, non incidendo sulla capacità del giudice, non determinano nullità ma costituiscono esclusivamente motivo di ricusazione che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all’art. 37 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 13593, 12/03/2010, Bonaventura, rv. 246716; S.U. n. 23, 24/11/1999, Scrudato, rv. 215097).

Il ricorso sul punto, quindi, è manifestamente infondato.

2. In ordine alla censura relativa alla ritenuta aggravante ex art. 61 cod. pen., n. 10, va rilevato che la questione non è stata dedotta nei motivi d’appello con conseguente preclusione a farla valere per la prima volta in sede di legittimità. La rigorosa perimetrazione del rapporto d’impugnazione davanti alla Corte di cassazione è delineata nel codice di rito, in senso positivo, dalle disposizioni degli art. 606 cod. proc. pen., comma 1, e art. 609, comma 1, che, nel riferirsi ai "casi" ed ai "motivi" proposti, fondano la cognizione della Corte; in senso negativo, il criterio di tassatività è ribadito dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 3, che, oltre alle cause "generali" di inammissibilità delle impugnazioni ex art. 591 cod. proc. pen., comma 1, individua, tra le "speciali" fattispecie di inammissibilità del ricorso per cassazione, anche la formulazione di motivi diversi da quelli consentiti dalla legge ovvero, fuori dei casi previsti dagli artt. 569 e 609 cod. proc. pen., comma 2, per violazioni di legge non dedotte con i motivi d’appello.

Pertanto, la censura è inammissibile.

3. Manifestamente infondato è il motivo di ricorso relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla entità della pena inflitta.

E’ noto che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62 bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688, 24/09/2008, Caridi, rv. 242419).

A detti canoni si è attenuta, all’evidenza, la Corte di merito. Sul punto, infatti, la sentenza impugnata è esente dai vizi denunciati in quanto non soltanto sottolinea la particolare gravità del fatto e delle modalità dell’azione, ma opera, altresì, una valutazione compiuta, logica e coerente di specifiche circostanze emerse del giudizio in ordine alla personalità dell’imputato quale quella che lo S. aveva tenuto un comportamento fraudolento occupando l’immobile al fine di impedire l’acquisizione dello stesso alla massa fallimentare.

Inoltre, la Corte territoriale ha rilevato come l’imputato, pur avendo inizialmente manifestato l’intenzione di mettere a disposizione delle persone offese l’immobile posseduto in Rodi Garganico, tuttavia, successivamente aveva venduto l’immobile.

4. Conseguentemente, deve essere pronunciata dichiarazione di inammissibilità del ricorso cui segue per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende, nonchè, alla refusione a favore delle parti civili delle spese sostenute nel presente giudizio che si liquidano nella somma complessiva di Euro 2.000 (duemila), oltre spese generali ed accessori come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende, nonchè, alla refusione a favore delle parti civili delle spese sostenute nel presente giudizio che si liquidano in Euro 2.000 (duemila), oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *