Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-03-2011) 11-10-2011, n. 36634 Giudizio d’appello rinnovazione del dibattimento sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 24.3.2010 la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza emessa il 3.11.2008 dal Tribunale di Termini Imerese, in composizione monocratica, con la quale condannava C.S. alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 200 di multa, con l’attenuante di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5, in relazione al reato di cui al L. n. 895 del 1997, artt. 4 e 7, come modificati dalla L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14, per avere portato illegalmente in luogo pubblico un fucile automatico da caccia cal. 12 marca Benelli e una cartuccia a pallini, in (OMISSIS) il (OMISSIS).

2. Da entrambe le sentenze di merito si rileva che l’imputato, pur essendo sprovvisto di titolo abilitativo, perchè non rinnovato a causa di intervenuta condanna, portava durante una battuta di caccia il fucile di pertinenza del padre. In specie, i Carabinieri avevano riferito che, mentre il padre si trovava accanto all’auto parcheggiata al bordo della strada, sopraggiungeva il C. – chiamato dal padre – portando il fucile in spalla ed un cane.

Inconciliabile con le circostanze di fatto accertate veniva ritenuta la versione dei fatti fornita dall’imputato e dal padre che avevano sostenuto che il C., su richiesta degli stessi Carabinieri sopraggiunti, si era limitato a recuperare il fucile lasciato nella scarpata dal padre a causa di un malore accusato dopo la battuta di caccia.

3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando con un unico motivo di ricorso la violazione di legge ed il vizio di motivazione, affetta da manifesta illogicità.

Lamenta, in primo luogo, che la Corte territoriale ha mutuato la motivazione da quella del giudice di primo grado omettendo di esaminare gli elementi prospettati dalla difesa. In specie, la Corte ha ritenuto la prova della li responsabilità dell’imputato esclusivamente sulle dichiarazioni dei verbalizzati, pur non convergenti, omettendo di valutare quanto riferito dai testimoni della difesa.

Inoltre, il ricorrente censura l’omessa motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, avanzata dalla difesa al fine di esaminare il teste F.C., che avrebbe potuto condurre ad una diversa vantazione della condotta dell’imputato.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato nei termini in cui è stato proposto.

1. Nel giudizio di appello è consentita la motivazione per relationem con riferimento alla pronuncia di primo grado nel caso in cui le censure formulate a carico delle sentenza del primo giudice non contengano elementi di novità rispetto quelli già esaminati e disattesi dallo stesso (Sez. 4, n. 38824, 17/09/2008, Raso, rv.

241062).

Nella specie la Corte territoriale ha operato, peraltro, un’autonoma valutazione della prove acquisite e segnatamente di quanto riferito dai Carabinieri e dai testimoni della difesa esaminati in dibattimento.

Con motivazione completa ed esente dai denunciati vizi – quindi non censurabile in questa sede – la Corte ha contraddetto tutte le argomentazioni difensive volte ad una diversa rappresentazione dei fatti. Ha precisato la irrilevanza delle lamentate discrasie nella circostanze riferite dai due testi di p.g., uno dei quali aveva dichiarato che il padre dell’imputato si trovava seduto nell’autovettura, mentre l’altro aveva riferito che questi era in piedi accanto all’auto; ha, altresì, sottolineato che i testimoni della difesa non potevano indicare circostanze idonee a contraddire i testi di p.g., atteso che si erano allontanati prima dell’arrivo dei Carabinieri.

Le censure mosse, quindi, si risolvono in mere questioni di fatto volte ad una rilettura dei fatti non consentita in questa sede.

2. Quanto alla doglianza relativa alla omessa motivazione sulla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, va ricordato che in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in sede d’appello, l’art. 603 cod. proc. pen., reca diversità di previsione, a seconda che si tratti di prove preesistenti o concomitanti al giudizio di primo grado, emerse in un diverso contesto temporale o fenomenico, ovvero di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio. Nel primo caso, il giudice d’appello deve disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti; nel secondo, deve rinnovare l’istruzione, osservando i soli limiti del diritto alla prova e dei requisiti della stessa. Con riguardo alla prima ipotesi, in considerazione del principio di presunzione di completezza dell’istruttoria compiuta in primo grado, la rinnovazione del dibattimento in appello è istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti. Pertanto, in caso di rigetto della richiesta avanzata dalla parte, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla struttura argomentativa della sentenza d’appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti all’affermazione o alla negazione di responsabilità dell’imputato (Sez. 5, 1.2.2000, n. 01075, ric. Lavista, riv. 215772; Sez. 2, 7.7.2000, n. 08106, rie.

Accettala, riv. 216532; Sez. 5, 8.8.2000, n. 08891, ric. Callegari, riv. 217209).

Ritiene il Collegio che nella specie, da un lato, la motivazione deve ritenersi implicita alla luce delle vantazioni della Corte di merito, innanzi richiamate, in ordine alle circostanze riferite dal testimoni, e, dall’altro, il ricorrente si è limitato ad una doglianza generica senza rappresentare la necessità e la rilevanza della testimonianza richiesta, sotto il profilo della risolutività del mezzo di prova.

3. Alla manifesta infondatezza del ricorso consegue la dichiarazione di inammissibilità cui segue per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della comma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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