Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-03-2012, n. 4429

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) La controversia concerne la proprietà di un’area sita in (OMISSIS) risultante da un fabbricato andato distrutto per eventi bellici.

B.P. ha agito nel 1997 per far accertare la sua esclusiva proprietà in forza di valido titolo di acquisto e comunque per usucapione.

Con separata citazione del 1 ottobre 97, Co.An.Ma. ha rivendicato anch’egli la proprietà di una quota della stessa area di risulta e ha convenuto in giudizio B.P..

Le due cause sono state riunite e il tribunale di Grosseto ha rigettato nel 2001, per difetto di prova, tutte le domande principali e riconvenzionali proposte dalle parti.

La corte di appello di Firenze con sentenza 23 dicembre 2005 ha dichiarato che C.G. e Co.An.Ma. sono comproprietari dell’area risulta del preesistente edificio di via (OMISSIS) in misura corrispondente per ciascuno alle rispettive quote di comproprietà sul vecchio edificio, quote individuate specificamente.

La Corte ha dichiarato inoltre B.P. proprietaria della restante quota del suolo suddetto.

B.P. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 13 marzo 2006, al quale hanno resistito il Co., che ha svolto ricorso incidentale, ed M.E., qualificatasi erede della C..

La ricorrente e la M. hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

2) Va disposta la riunione al ricorso principale di quello incidentale, al quale è stato attribuito diverso numero di registro.

3) Con il primo motivo la ricorrente B. denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’usucapione, lamentando testualmente error in procedendo per travisamento dei fatti.

La Corte d’appello ha respinto la domanda di usucapione, sul rilievo che la quasi totale distruzione del fabbricato ad opera dei bombardamenti bellici aveva reso priva di senso l’affermazione della ricorrente di aver eseguito opere di conservazione e valorizzazione del bene in vista della futura utilizzazione edificatoria, posto che lo stato dell’immobile rendeva insignificante una simile affermazione.

La ricorrente censura questa tesi, richiedendo una rivisitazione della valutazione di merito espressa dalla corte d’appello. Essa si limita ad indicare gli elementi di giudizio rassegnati, quali l’espletamento di pratiche autorizzatorie per l’edificazione del fabbricato, il pagamento di imposte e la realizzazione del nuovo edificio avvenuta nel corso di causa.

La corte di legittimità non ha però accesso all’incarto processuale, nè rinviene illogicità alcuna della sentenza impugnata, la quale ha opportunamente rilevato la difficoltà quasi paradossale di ravvisare un possesso esclusivo relativamente ad un immobile distrutto, apparentemente abbandonato.

Neppure lo svolgimento, in questo contesto, di pratiche burocratiche, che non sono di per sè manifestazione di un atto di impossessamento nei confronti dei comproprietari, può valere a configurare il possesso ad usucapione.

Non va taciuto inoltre il grave difetto di autosufficienza relativo alle risultanze esposte, delle quali non vengono riportati (cfr pag.

9 ricorso) nè i contenuti in dettaglio, nè gli estremi essenziali, quali le date di espletamento delle pratiche relative alla licenza edilizia, agli oneri di urbanizzazione, alle dichiarazioni fiscali.

4) Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza d’appello per aver violato gli artt. 115 e 116 c.p.c.; per "mancato esame della c.t.u. e di punti decisivi della controversia", con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5.

La critica riguarda l’affermazione della proprietà di porzioni dell’immobile in capo ai resistenti.

Il motivo è privo di fondamento quanto alla proprietà.

B.P. invoca le risultanze della c.t.u. e sostiene che con atto del 1961 per notaio Nizzi Nuti il Co. aveva venduto i diritti di proprietà a lui spettanti sull’area di risulta alla società immobiliare "Palazzo di Spagna", dante causa della Immobiliare La Rocca s.p.a., che a sua volta aveva venduto i beni alla società Cauriana Immobiliare, la quale li aveva ceduti alla ricorrente B..

Deduce che oggetto della compravendita del 1961 erano tutti i diritti di proprietà appartenenti al venditore.

In tal modo il ricorso non censura adeguatamente la parte più rilevante della pronunzia d’appello, nella quale è stato rilevato che, come evidenziato anche dal consulente tecnico d’ufficio, in quell’atto notarile non risultava inclusa la particella sub 7, rimasta pertanto in proprietà del venditore Co..

4.1) Inoltre la sentenza ha rilevato che il titolo di derivazione della proprietà di costui è più antico di quello della ricorrente, poichè risale al 1913 ed è menzionato anche in un atto di divisione ereditaria del 1926. Per ammissione implicita della stessa difesa della ricorrente B., la porzione suindicata non sarebbe mai stata alienata, ma costituirebbe solo parte di altro fabbricato;

questa circostanza è però smentita dalla sentenza impugnata con puntuali rilievi non adeguatamente censurati.

Con essi, soffermandosi dettagliatamente sulla particolarità della conformazione dei luoghi, la corte d’appello è giunta a stabilire che la porzione contesa era invece interna all’area per cui è causa ed è rimasta di proprietà Co..

4.2) Quanto alla C., invano la ricorrente sostiene che il titolo da costei vantato sarebbe l’atto di divisione del 20 luglio 1982, dal quale non si potrebbe ricavare prova della proprietà.

Con ammirevole rigore ricostruttivo, la Corte d’appello ha invece stabilito che la bottega di due vani pianoterra e di un vano sotterraneo diruti, al foglio 83 particella 7 sub 24 pervenne alla C.G. nel 1958, per testamento olografo paterno del 1955; e di questa appartenenza del bene al de cuius vi era specifico riscontro catastale non contestato dalla ricorrente. La sentenza impugnata aggiunge soprattutto che in nessuno degli atti di acquisto vantati da B.P. figura la particella 7 sub 4. Pertanto, in assenza di conflittualità documentale, il bene sarebbe pervenuto alla C.. Su quest’ultimo decisivo aspetto della ricostruzione effettuata dalla Corte d’appello, la censura non si sofferma e resta inidonea a superare la tesi accolta in sentenza.

5) Con il terzo motivo la ricorrente lamenta "erronea applicazione degli artt. 934 e 936 c.c.".

Il motivo è inammissibile.

La ricorrente si duole che la corte d’appello abbia dichiarato che la situazione proprietaria accertata avrebbe comportato la costituzione di una comproprietà indivisa sul nuovo fabbricato in proporzione delle quote di proprietà di ognuno dei contendenti sul suolo.

E’ denunziata la mancata affermazione della circostanza che la B., quale indiscusso proprietario della quota principale, avrebbe acquistato "per attrazione-unione" ex art. 939 c.c., comma 2 anche la proprietà delle minori residue quote dell’area.

Tuttavia dalla sentenza emerge, come lo stesso ricorso espone, che l’affermazione censurata non forma oggetto di specifica pronunzia della corte, la quale se ne è occupata espressamente in obiter, giacchè ha chiarito che sul punto essa non era chiamata a emettere alcuna pronuncia in mancanza di espressa domanda di parte.

Ne consegue che, non essendo denunciato alcun vizio di omessa pronunzia su domande ritualmente introdotte, le affermazioni incidentali della sentenza non possono formare oggetto di censura.

6) Co.An.Ma. svolge ricorso incidentale, lamentando omessa pronunzia in merito alla riduzione in pristino, che sarebbe da lui stata domandata e mai stata oggetto di rinuncia. Afferma che la domanda era stata inserita nell’atto introduttivo e nelle due comparse conclusionali. Il ricorrente incidentale aggiunge che la richiesta di risarcimento danni per equivalente sarebbe stata svolta solo con riguardo a quella parte di pregiudizio non eliminabile attraverso l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo primario finale di non fare che sarebbe stato leso dall’attività edificatoria di B.P.. Il Co. insiste pertanto per la condanna della controparte alla demolizione del manufatto.

La censura è inammissibile: dallo stesso ricorso, oltre che dalla lettura della sentenza, emerge infatti che la decisione non è stata omessa per trascuratezza o svista del giudice di appello, ma perchè la domanda inizialmente proposta è stata ritenuta abbandonata in relazione alle ultime difese assunte dalla parte. Per potersi dolere dell’omessa pronuncia il Co. doveva quindi prima attaccare adeguatamente il giudizio sull’avvenuto abbandono della domanda stessa, allegando e dimostrando che era stata mantenuta in sede di precisazione delle conclusioni. La decisione sul punto doveva essere criticata tanto con riguardo alla valutazione di fatto data dalla corte d’appello circa l’abbandono della domanda, quanto offrendo alla corte di legittimità, nel testo del ricorso, tutti gli elementi utili a verificare se vi fossero i presupposti per ritenere che la domanda fosse stata mantenuta e non abbandonata.

6.1) Ognuna delle tesi in tema di presunzione di abbandono della domanda non riprodotta in sede di conclusioni (si vedano Cass. 14964/06; 4794/06; 4783/04; ovvero Cass. 3593/10; 14104/08; 9462/97) rimanda a un accertamento di fatto del giudice di merito circa l’abbandono della domanda.

La censura doveva quindi appuntarsi su eventuali vizi della motivazione relativi a questo accertamento di fatto svolto dalla Corte di merito, restando altrimenti inammissibile la doglianza svolta con riguardo alla conseguenza di tale valutazione, cioè la mancata decisione sulla domanda abbandonata.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale e la condanna di parte ricorrente, soccombente sulla questione principale, alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi riuniti. Condanna parte ricorrente alla refusione ai controricorrenti delle spese di lite liquidate per parte Co. in Euro 5000,00 per onorari, 200,00 per esborsi; per parte M. in Euro 6000,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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