Corte Costituzionale sentenza n. 228 SENTENZA 24 settembre – 6 ottobre 2014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 32, comma
1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
(Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero
1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2005), promosso dalla Commissione tributaria regionale
per il Lazio nel procedimento vertente tra D.R. ed altra, in proprio
e nella qualita’ di associati dello "Studio legale Delfino" e
l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Viterbo, con
ordinanza del 10 giugno 2013, iscritta al n. 238 del registro
ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 giugno 2014 il Giudice
relatore Giancarlo Coraggio.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 10 giugno 2013 la Commissione tributaria
regionale per il Lazio ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di
accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1,
comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n.
311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005).
Oggetto del giudizio sono tre avvisi di accertamento emessi in
relazione all’anno d’imposta 2004, in relazione ai quali vi e’
l’accertamento del maggiore imponibile ai fini IRPEF e IRAP basato
sulla disposizione di cui all’art. 32, comma 1, numero 2), del d.P.R.
n. 600 del 1973, nel testo risultante dopo le modificazioni
introdotte dall’art. 1 della legge n. 311 del 2004.
La disposizione censurata cosi’ recita: «I dati ed elementi
attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati
rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e
terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera
b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a
base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38,
39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto
per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno
rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresi’
posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed
accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto
beneficiario e sempreche’ non risultino dalle scritture contabili, i
prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti
od operazioni».
2.- Le censure del giudice rimettente investono la seconda parte
della norma.
Rileva il giudice a quo che l’art. 1 della legge n. 311 del 2004,
inserendo nel corpo di tale parte della disposizione le parole «o
compensi», ha esteso ai lavoratori autonomi l’ambito operativo della
presunzione in base alla quale le somme prelevate dal conto corrente
(cosi’ come quelle su questo versate) costituiscono compensi
assoggettabili a tassazione, se non sono annotate nelle scritture
contabili e se non sono indicati i soggetti beneficiari dei
pagamenti.
La disposizione censurata, se applicata agli anni d’imposta in
corso o anteriori alla novella legislativa, comporterebbe per i
contribuenti professionisti un onere probatorio imprevedibile e
impossibile da assolvere, in contrasto con l’art. 24 della
Costituzione e con il principio di tutela dell’affidamento richiamato
dall’art. 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212
(Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).
Essa violerebbe, altresi’, l’art. 3 Cost., alla luce di entrambe
le letture di cui la norma e’ passibile: la prova contraria che
incombe sul contribuente o richiederebbe necessariamente anche la
giustificazione causale dei prelevamenti, cosi’ imponendo «un
adempimento aggiuntivo rispetto a quello rappresentabile sulla base
di una lettura piana del testo normativa»; oppure dovrebbe ritenersi
soddisfatta «con la mera indicazione del beneficiario, divenendo,
pero’, tanto irrazionale quanto inutile sul piano dell’accertamento
dei maggiori redditi».
La disposizione, se applicata a prelevamenti anteriori alla data
di entrata in vigore della legge n. 311 del 2004, lederebbe, inoltre,
l’art. 111 Cost., in quanto con la legge del 2004 sarebbero stati
introdotti effetti «a sorpresa» a vantaggio dell’Agenzia delle
entrate e a danno dei contribuenti, con violazione del principio di
parita’ delle parti.
Infine, la presunzione in base alla quale le somme prelevate dal
conto corrente costituiscono compensi assoggettabili a tassazione
violerebbe il principio di capacita’ contributiva di cui all’art. 53
Cost., oltre che l’art. 3 Cost., e cio’ in quanto per il reddito da
lavoro autonomo non varrebbero le correlazioni logicopresuntive tra
costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa e il prelevamento
sarebbe un «fatto oggettivamente estraneo all’attivita’ di produzione
del reddito professionale».
3.- Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, instando per la declaratoria di manifesta infondatezza della
questione di legittimita’ costituzionale.
La disposizione impugnata, in primo luogo, non lederebbe il
principio di capacita’ contributiva di cui all’art. 53 Cost.
L’art. 1 della legge n. 311 del 2004, con riferimento all’art.
32, comma 1, numero 2), del d.P.R. n. 600 del 1973, si sarebbe,
infatti, limitato a chiarire un dato gia’ insito nella precedente
formulazione della norma, espressamente sancendo che la presunzione
di imponibilita’ delle operazioni di addebito/prelevamenti si applica
anche ai lavoratori autonomi. D’altro canto, tale presunzione sarebbe
ispirata dalla volonta’ del legislatore di valorizzare l’analisi, da
parte dell’ufficio accertatore, della maggiore capacita’ di spesa,
comunque manifestata e non giustificata dal lavoratore autonomo, e di
correlare tale maggiore capacita’ con le ulteriori operazioni attive
anch’esse effettuate presuntivamente "in nero", nell’ambito della
specifica attivita’ esercitata.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, inoltre,
il fondamento economico-contabile sotteso al meccanismo presuntivo,
che si basa per le imprese prevalentemente sull’acquisto e vendita di
beni, sarebbe configurabile anche per i lavoratori autonomi. Infatti,
anche per esercitare attivita’ professionali sarebbe necessario
l’acquisto di beni o comunque di servizi per rendere prestazioni,
anche di natura complessa.
Sussisterebbero, quindi, entrambi i presupposti di legittimita’
costituzionale delle presunzioni in materia fiscale, e cioe’ che
l’indice noto da cui si desume il fatto ignoto sia «concretamente
rivelatore di ricchezza» (sentenza n. 283 del 1987) e che il «nesso
inferenziale risponda a regole di comune esperienza» (sentenza n. 109
del 1967).
Secondo la difesa dello Stato, peraltro, la norma potrebbe – e
dovrebbe – essere interpretata nel senso che soltanto movimentazioni
di un certo importo possono assumere valenza presuntiva, come
confermato dalla prassi applicativa dell’Amministrazione finanziaria
e, in particolare, dalla circolare 19 ottobre 2006, n. 32/E
dell’Agenzia delle entrate, Direzione centrale accertamento. Del
resto, la presunzione de qua avrebbe una ragionevole funzione
deterrente mirando a indurre i professionisti, al pari degli
imprenditori, a prestare particolare attenzione a una coerente
rispondenza tra movimenti bancari, compresi i prelievi in conto
corrente, e registrazioni contabili.
Non sussisterebbe, inoltre, il denunciato contrasto con l’art. 24
Cost. e con il principio di tutela dell’affidamento. E cio’ in
considerazione del «diritto vivente» consolidato in anni successivi
all’entrata in vigore della disposizione de qua, secondo cui la tesi
contraria all’applicabilita’ della presunzione de qua ai redditi da
lavoro autonomo prima della modifica introdotta dalla legge n. 311
del 2004 – pur essendo in astratto sostenibile, facendo leva sul
termine «ricavi» – avrebbe dato adito a forti sospetti di
incostituzionalita’.
Proprio alla luce di tale consolidata giurisprudenza sarebbe,
infine, da escludere la denunciata violazione dell’art. 111 Cost.,
tenuto conto dell’applicabilita’ della presunzione in esame ai
percettori di reddito da lavoro autonomo gia’ in epoca anteriore alla
modifica di cui alla legge n. 311 del 2004. Non sarebbe quindi
ravvisabile un «ribaltamento dell’onere della prova, avvenuto con
legge successiva […] idoneo a provocare degli effetti "a
sorpresa"», come erroneamente paventato dal giudice a quo.
4.- In data 21 maggio 2014 il Presidente del Consiglio dei
ministri ha depositato memoria, sostanzialmente ribadendo le proprie
argomentazioni ed insistendo sulla giustificazione della presunzione
in esame, la quale mirerebbe a reprimere l’evasione tanto del
professionista che acquista beni o servizi in nero e quanto del
fornitore del professionista stesso.

Considerato in diritto

1.- Con ordinanza del 10 giugno 2013 la Commissione tributaria
regionale per il Lazio ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di
accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1,
comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n.
311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005).
La norma dispone che i dati ed elementi trasmessi su richiesta
(ex art. 32, comma 1, numero 7, del d.P.R. n. 600 del 1973), rilevati
direttamente (ex art. 33, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 600 del 1973)
ovvero nei controlli relativi alle imposte sulla produzione o consumo
[ex art. 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre
1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti
le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali
e amministrative)] sono posti a base delle rettifiche e degli
accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del medesimo d.P.R.
n. 600 del 1973, salvo che il contribuente dimostri che ne ha tenuto
conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza
a tal fine. Prevede, poi, che i prelevamenti o gli importi riscossi
nell’ambito delle predette operazioni sono posti come ricavi o
compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti (e sono quindi
assoggettabili a tassazione), se il contribuente non ne indica i
soggetti beneficiari e sempreche’ non risultino dalle scritture
contabili.
La presunzione disciplinata da tale ultima parte della norma
nella sua originaria formulazione (limitata ai «ricavi») interessava
unicamente gli imprenditori, l’art. 1 della legge n. 311 del 2004
(inserendo anche i «compensi») ne ha poi esteso l’ambito operativo ai
lavoratori autonomi.
1.1.- La questione sollevata si articola in due gruppi di
censure: uno – comprensivo della seconda (artt. 3 e 24 della
Costituzione) e della quarta censura (artt. 3 e 53 Cost.) – avente ad
oggetto l’estensione della inversione della prova e della presunzione
de qua ai compensi dei lavoratori autonomi; l’altro – comprensivo
della prima (art. 24 Cost.) e della terza censura (art. 111 Cost.) –
avente ad oggetto l’applicazione retroattiva della norma agli anni di
imposta precedenti all’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004.
Con riferimento al primo gruppo di censure, il giudice rimettente
argomenta la violazione del principio di capacita’ contributiva di
cui all’art. 53 Cost., oltre che dell’art. 3 Cost., rilevando che per
il reddito da lavoro autonomo non varrebbero le correlazioni
logicopresuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa e
il prelevamento sarebbe un «fatto oggettivamente estraneo
all’attivita’ di produzione del reddito professionale», idoneo a
costituire un «mero indice generale di spesa». Inoltre, la norma
censurata sarebbe «irrazionale» qualunque sia la lettura ad essa data
tra quelle possibili: o la prova contraria che incombe al
contribuente potrebbe ritenersi soddisfatta «con la mera indicazione
del beneficiario, divenendo, pero’, tanto irrazionale quanto inutile
sul piano dell’accertamento dei maggiori redditi» oppure – seguendo
quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria – richiederebbe
necessariamente anche la giustificazione causale dei prelevamenti,
cosi’ imponendo «un adempimento aggiuntivo rispetto a quello
rappresentabile sulla base di una lettura piana del testo normativo».
Con riferimento al secondo gruppo di censure, il giudice
rimettente sostiene che la disposizione impugnata, se applicata agli
anni d’imposta in corso o anteriori alla novella legislativa,
comporterebbe per i contribuenti professionisti un onere probatorio
imprevedibile e impossibile da assolvere, in contrasto con l’art. 24
Cost. e con il principio di tutela dell’affidamento, richiamato anche
nell’art 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni
in materia di statuto dei diritti del contribuente), nonche’ con
l’art. 111 Cost. per violazione del principio di parita’ delle parti.
1.2.- A parere del Presidente del Consiglio dei ministri
sussisterebbero entrambi i presupposti di legittimita’ costituzionale
delle presunzioni in materia fiscale richiesti dalla giurisprudenza
di questa Corte, e cioe’ che l’indice noto da cui si desume il fatto
ignoto sia «concretamente rivelatore di ricchezza» (sentenza n. 283
del 1987) e che il nesso inferenziale risponda a regole di comune
esperienza (sentenza n. 109 del 1967). Del resto, il fondamento
economico-contabile sotteso al meccanismo presuntivo sarebbe
configurabile anche per i lavoratori autonomi, posto che anche per
esercitare attivita’ professionali sarebbe necessario l’acquisto di
beni o di servizi, al fine di rendere prestazioni, anche di natura
complessa.
Non sussisterebbe, poi, il denunciato contrasto con l’art. 24
Cost. e con il principio di tutela dell’affidamento o con l’art. 111
Cost., in considerazione del «diritto vivente» consolidato in anni
successivi all’entrata in vigore della disposizione de qua, secondo
cui l’applicabilita’ della presunzione in esame ai percettori di
reddito da lavoro autonomo derivava, gia’ anteriormente alla modifica
di cui alla legge n. 311 del 2004, da un’interpretazione conforme a
Costituzione della disposizione censurata.
2.- In via preliminare, va rilevata la inammissibilita’ della
seconda censura, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.,
alla luce del carattere alternativo e ancipite della sua
formulazione.
Il giudice rimettente ha infatti sostenuto la natura irrazionale
della norma e la sua portata lesiva del diritto di difesa basandosi
sulla doppia e alternativa interpretazione che della disposizione
puo’ essere data, senza sciogliere tale alternativa e senza porre le
due interpretazioni in rapporto di subordinazione logica. L’omissione
conferisce carattere ancipite alla prospettazione della censura,
oltre a rendere perplessa la motivazione sulla rilevanza, cosi’
determinando l’inammissibilita’ della questione sollevata, sulla base
della costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n.
280 del 2011 e n. 355 del 2010).
3.- Nel merito la questione e’ fondata in riferimento alle
censure di cui agli artt. 3 e 53 Cost., con conseguente assorbimento
di quelle relative agli artt. 24 e 111 Cost.
4.- Anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore
autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel
diritto comunitario, esistono specificita’ di quest’ultima categoria
che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneita’ di trattamento
prevista dalla disposizione censurata, alla cui stregua anche per
essa il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo
a sua volta produttivo di un ricavo.
Secondo tale doppia correlazione, in assenza di giustificazione
deve ritenersi che la somma prelevata sia stata utilizzata per
l’acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di fattori
produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti
a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati.
Il fondamento economico-contabile di tale meccanismo e’ stato
ritenuto da questa Corte (sentenza n. 225 del 2005) congruente con il
fisiologico andamento dell’attivita’ imprenditoriale, il quale e’
caratterizzato dalla necessita’ di continui investimenti in beni e
servizi in vista di futuri ricavi.
L’attivita’ svolta dai lavoratori autonomi, al contrario, si
caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la
marginalita’ dell’apparato organizzativo. Tale marginalita’ assume
poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori
autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui e’ piu’
accentuata la natura intellettuale dell’attivita’ svolta, come per le
professioni liberali.
4.1.- Si aggiunga che la non ragionevolezza della presunzione e’
avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti (che peraltro
dovrebbero essere anomali rispetto al tenore di vita secondo gli
indirizzi dell’Agenzia delle entrate) vengono ad inserirsi in un
sistema di contabilita’ semplificata di cui generalmente e
legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui
deriva la fisiologica promiscuita’ delle entrate e delle spese
professionali e personali.
4.2.- Peraltro, l’esigenza di combattere un’evasione fiscale
ritenuta rilevante nel settore trova una risposta nella recente
produzione normativa sulla tracciabilita’ dei movimenti finanziari.
Si pensi, da ultimo, al decreto del Ministro dello sviluppo economico
24 gennaio 2014 (Definizioni e ambito di applicazione dei pagamenti
mediante carte di debito), che ha dato attuazione all’art. 15, comma
4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure
urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, alla cui stregua
dal 1° gennaio 2014 vi e’ l’obbligo – sia pure sprovvisto di sanzioni
– di accettare pagamenti, di importo superiore a trenta euro,
effettuati con carte di debito in favore di imprese e professionisti
per l’acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi.
La tracciabilita’ del danaro, oltre ad essere uno strumento di
lotta al riciclaggio di capitali di provenienza illecita, persegue il
dichiarato fine di contrastare l’evasione o l’elusione fiscale
attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti che si
possono prestare ad operazioni "in nero".
5.- Pertanto nel caso di specie la presunzione e’ lesiva del
principio di ragionevolezza nonche’ della capacita’ contributiva,
essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti
correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati
ad un investimento nell’ambito della propria attivita’ professionale
e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 32, comma 1,
numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
(Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero
1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2005), limitatamente alle parole «o compensi».
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2014.

F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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