Corte Costituzionale sentenza n. 229 SENTENZA 24 settembre – 6 ottobre 2014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SENTENZA

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 146, primo e
secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del
notariato e degli archivi notarili), come sostituito dall’art. 29 del
decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di
procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’art.
7, comma 1, lettera e, della legge 28 novembre 2005, n. 246),
promossi dalla Corte di cassazione con ordinanze del 16 ottobre e del
20 dicembre 2012 (numero due ordinanze), rispettivamente iscritte ai
nn. 8, 44 e 45 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 11, prima serie speciale,
dell’anno 2013.
Visti gli atti di costituzione del Consiglio notarile dei
distretti riuniti di Cuneo, Alba, Mondovi’ e Saluzzo, del Consiglio
notarile distrettuale di Arezzo e del Consiglio notarile di Reggio
Emilia, nonche’ gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 giugno 2014 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Paolo Mazzoli per il Consiglio notarile dei
distretti riuniti di Cuneo, Alba, Mondovi’ e Saluzzo e il Consiglio
notarile distrettuale di Arezzo, Guglielmo Saporito per il Consiglio
notarile di Reggio Emilia e l’avvocato dello Stato Diego Giordano per
il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- La Corte di cassazione, con ordinanza del 16 ottobre 2012
(r.o. n. 8 del 2013), ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 146, primo e secondo comma, della legge 16
febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi
notarili), come sostituito dall’art. 29 del decreto legislativo 1°
agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento disciplinare a
carico dei notai, in attuazione dell’art. 7, comma 1, lettera e,
della legge 28 novembre 2005, n. 246), in riferimento all’art. 76
della Costituzione.
La Corte ha esposto che il notaio V.T., ai sensi dell’art. 158
della legge n. 89 del 1913, come sostituito dall’art. 45 del d.lgs.
n. 249 del 2006, aveva proposto reclamo avverso la decisione,
depositata il 18 gennaio 2010, con la quale la Commissione regionale
di disciplina gli aveva irrogato la sanzione di euro 2.500,00 «in
ordine alla violazione di cui all’art. 28 della legge notarile, in
essa assorbita quella ulteriormente contestatagli di cui all’art. 48
della medesima legge, ritenendo la sussistenza della prima consistita
nell’aver ricevuto, in data 10 luglio 2007, due procure generali
nelle quali era stata inserita la clausola che prevedeva la facolta’
del rappresentante di "stipulare convenzioni matrimoniali, ed in
particolare convenzioni di separazioni dei beni, di comunioni
convenzionali, di costituzione di fondi patrimoniali, e le medesime
convenzioni modificare"».
La decisione era stata impugnata dal notaio dinanzi alla Corte
d’appello di Torino. Quest’ultima, con sentenza 15 dicembre 2010, n.
123, aveva respinto il gravame, affermando la nullita’ delle due
procure per impossibilita’ dell’oggetto e respingendo la tesi
difensiva secondo cui gli atti compiuti dal notaio non avrebbero
potuto essere considerati manifestamente contrari all’ordine
pubblico, non essendosi ancora formato un consolidato orientamento
interpretativo, contrario all’ammissibilita’ della rappresentanza
volontaria in materia di convenzioni matrimoniali.
La Corte territoriale, inoltre, aveva respinto anche il reclamo
incidentale, formulato dal Ministero della giustizia e dall’Archivio
notarile distrettuale di Cuneo, confermando la decisione circa
l’assorbimento della seconda contestazione, sul rilievo che i vincoli
di forma imposti dall’art. 48 della legge notarile non potevano
valere per i negozi nulli.
Avverso tale sentenza (non notificata), il notaio V.T. aveva
proposto ricorso per cassazione. Il Ministero della giustizia,
intimato, si era costituito in giudizio, con controricorso.
Tanto premesso, la Corte di legittimita’ ha esaminato due
questioni: la prima attinente all’individuazione del rito applicabile
ai ricorsi proposti dinanzi alla Corte di cassazione in materia
disciplinare notarile; la seconda relativa all’eccezione di
intempestivita’ del ricorso, avanzata dal Ministero della giustizia
sul presupposto che, nella specie, dovesse trovare applicazione il
termine semestrale di decadenza dall’impugnazione attualmente
previsto dall’art. 327, primo comma, del codice di procedura civile,
come novellato dall’art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n.
69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitivita’ nonche’ in materia di processo civile), e non piu’ il
termine annuale.
Circa la prima questione «(che investe direttamente la
valutazione sulla legittimita’ del rito instaurato in questa sede e
la conseguente legittimazione della II Sezione ordinaria ad esaminare
i motivi del ricorso)», il Collegio rimettente, con articolata
motivazione non implausibile, ha ritenuto che il procedimento a quo
«sia stato ritualmente incardinato presso questa Sezione per la
conseguente trattazione camerale e la correlata decisione».
Quanto alla seconda questione, il rimettente, con motivazione
ancora una volta non implausibile, ha ritenuto infondata l’eccezione
di intempestivita’ del ricorso, «dal momento che, nella fattispecie,
il comma 2 del citato art. 158-ter della legge n. 89 del 1913 (come
introdotto dall’art. 46 del d.lgs. n. 249 del 2006), applicabile
appunto "ratione temporis", prevede che, in difetto della
notificazione della sentenza impugnata, il ricorso per cassazione
deve essere proposto nel termine di un anno dal deposito della
predetta sentenza, con cio’ contemplando una disciplina "ad hoc" per
la materia dei procedimenti disciplinari notarili, la cui
specialita’, percio’, non puo’ ritenersi (anche in difetto della
previsione di specifiche disposizioni contrarie) derogata dalla
sopravvenuta previsione del novellato art. 327, comma 1, c. p. c.,
applicabile, invece, in generale, ove non diversamente disposto».
Superate cosi’ le questioni preliminari, la Corte ha osservato
che il ricorrente, al fine di potersi giovare della prescrizione
dell’infrazione ascrittagli, ha chiesto, con il primo motivo, di
sollevare la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 146,
primo e secondo comma, della legge n. 89 del 1913.
La rimettente ha ricostruito sinteticamente il quadro normativo e
giurisprudenziale di riferimento, evidenziando, in particolare,
quanto segue: a) l’art. 146, primo comma, della legge notarile n. 89
del 1913, «nella sua originaria formulazione, prevedeva, per le
violazioni disciplinari in essa indicate, un termine prescrizionale
di quattro anni, senza contemplare alcuna ipotesi di interruzione ne’
di sospensione della prescrizione, neppure per l’eventualita’ in cui
l’infrazione avesse rilievo penale»; b) secondo l’orientamento
costante della giurisprudenza di legittimita’ (Corte di cassazione,
terza sezione civile, sentenze 15 gennaio 2007, n. 644; 28 marzo
2006, n. 7088; 17 dicembre 2004, n. 23515 e 17 febbraio 1998, n.
1766), detta prescrizione doveva considerarsi compiuta decorsi
quattro anni dalla commissione dell’infrazione, «ancorche’ vi fossero
stati atti di procedura»; c) nessuna interruzione, quindi, poteva
ipotizzarsi «a causa del procedimento disciplinare, della
contestazione delle violazioni, delle pronunce del Consiglio notarile
o in sede giurisdizionale»; d) la Corte costituzionale, con sentenza
n. 40 del 1990, aveva dichiarato l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 146 della legge n. 89 del 1913 «nella parte in cui non
prevede che l’azione disciplinare rimanga sospesa fino al passaggio
in giudicato della sentenza quando, per il fatto illecito, sia
promosso processo penale»; e) secondo la giurisprudenza di
legittimita’ il decorso del termine prescrizionale costituisce causa
di improcedibilita’ dell’azione disciplinare, operante ex lege, da
rilevarsi anche d’ufficio e in sede di legittimita’, con conseguente
cassazione senza rinvio delle sentenze impugnate e, per altro verso,
la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 249 del 2006, in virtu’
dell’art. 54 dello stesso decreto legislativo, e’ applicabile ai
fatti commessi prima della sua entrata in vigore solo se piu’
favorevole (Corte di cassazione, terza sezione civile, sentenza 15
gennaio 2007, n. 644 e ordinanza 29 gennaio 2010, n. 2031).
La Corte rimettente ha quindi posto in evidenza che l’art. 7,
comma 1, lettera e), della legge 28 novembre 2005, n. 246
(Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), indica, tra
i principi e i criteri di delega, la «previsione della sospensione
della prescrizione in caso di procedimento penale e revisione
dell’istituto della recidiva», mentre l’art. 146 della legge n. 89
del 1913, come sostituito dall’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006,
composto da quattro commi, contempla, al primo comma, «l’allungamento
del termine di prescrizione da quattro a cinque anni» e al secondo
comma «prevede una disciplina del tutto nuova in tema di interruzione
della prescrizione, risultando stabilito che essa e’, per l’appunto,
interrotta dalla richiesta di apertura del procedimento disciplinare
e dalle decisioni che applicano una sanzione disciplinare,
aggiungendosi, altresi’, che la prescrizione, se interrotta,
ricomincia a decorrere dal giorno della interruzione, e con la
precisazione che, in caso di esercizio di plurimi atti interruttivi,
la prescrizione decorre nuovamente dall’ultimo di essi, prevedendosi,
tuttavia, che, pur in caso di piu’ interruzioni, non puo’ essere
superato il limite massimo di dieci anni».
Inoltre, ha rimarcato il Collegio, «Nell’articolato dello schema
del decreto legislativo adottato dal Ministero della Giustizia in
attuazione del richiamato art. 7 della legge n. 246 si affermava che,
con l’art. 29, era stata appunto prevista la sostituzione dell’art.
146 della legge notarile relativo alla disciplina della prescrizione,
evidenziandosi che, poiche’ la predetta disposizione aveva dato luogo
a gravi problemi applicativi, a causa della brevita’ del termine e
della mancata previsione di cause di interruzione, la nuova
disposizione allungava questo termine e ne prevedeva espressamente
l’interruzione e la sospensione, specificandosi che, in particolare,
la previsione della sospensione della prescrizione in caso di azione
penale era stata correlata alla previsione della sospensione dello
stesso procedimento disciplinare, in pendenza di quello penale, in
conformita’ alla sentenza della Corte costituzionale 2 febbraio 1990,
n. 40, che aveva dichiarato, sul punto, l’incostituzionalita’ del
precedente disposto del medesimo art. 146».
Alla luce di tutto cio’, la Corte di cassazione ha motivato la
censura affermando che la disciplina dell’interruzione della
prescrizione non sarebbe riconducibile ad alcuno dei principi e
criteri direttivi elencati dall’art. 7, comma 1, lettera e), della
legge delega n. 246 del 2005, posto che il citato riferimento alla
«previsione della sospensione della prescrizione in caso di
procedimento penale e revisione dell’istituto della recidiva»
concerne un diverso istituto, sebbene connesso.
In particolare, quanto alla non manifesta infondatezza della
questione di legittimita’ costituzionale, la Corte rimettente ha
osservato che il legislatore delegato, «a fronte di una cornice di
principi e criteri direttivi riferita ad un oggetto definito e ben
delimitato, trasparente dall’art. 7 della legge n. 246 del 2005
(rivolto alla regolamentazione dell’istituto della sospensione della
prescrizione in correlazione con la pendenza del procedimento penale
e alla revisione della recidiva), ha stabilito – nei primi due commi
dell’art. 146 della cosiddetta legge notarile riformata – una nuova
disciplina che, pur attenendo all’istituto della prescrizione
(anteriormente riferito all’azione disciplinare ed ora correlato
propriamente all’illecito disciplinare), ha involto la
regolamentazione dell’aspetto della sua interruzione (al comma 2),
prima del tutto assente nella predetta legge (e ritenuto
assolutamente inoperativo in tale materia dalla consolidata
giurisprudenza), con la ulteriore previsione dell’allungamento a
cinque anni del relativo termine prescrizionale (al comma 1). In tal
senso si reputa che con l’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006 il
Governo delegato abbia violato i principi e criteri direttivi e
superato il limite oggettivo presenti nella delega, coinvolgendo
altre situazioni che, sia pur connesse, hanno determinato un
illegittimo esercizio del potere legislativo discrezionale, siccome
svincolato, appunto, dai rigidi criteri direttivi predeterminati
dalla legge delega, essendo indubbia la diversa natura e la
differente efficacia tra gli istituti della sospensione e della
interruzione della prescrizione, i quali non presentano alcun
rapporto di progressivita’ (cfr. Cass. n. 6901 del 2003 e Cass. 10254
del 2002)». Il d.lgs. n. 249 del 2006, secondo la Corte, avrebbe
dunque introdotto un trattamento normativo peggiorativo in assenza di
un esplicito ed inequivoco riferimento nella legge delega.
In punto di rilevanza, il giudice a quo ha poi osservato che,
«ricadendo l’illecito disciplinare per il quale il ricorrente e’
stato sanzionato nell’ambito temporale di applicabilita’ del nuovo
art. 146 della legge n. 89 del 1913 (essendo stato riportato in atti
come commesso il 10 luglio 2007), l’eventuale declaratoria di
incostituzionalita’ dei primi due commi dello stesso art. 146, come
riformato con l’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006, comporterebbe,
non applicandosi ipotesi interruttive e non tenendosi conto
dell’allungamento del termine prescrizionale a cinque anni, che
l’infrazione disciplinare (in virtu’ della reviviscenza del
precedente disposto dell’art. 146 della legge n. 89 del 1913, il
quale prevedeva la durata della prescrizione in quattro anni senza
contemplare ipotesi interruttive) si sarebbe gia’ prescritta al 10
luglio 2011, con la conseguenza che, nella presente sede di
legittimita’, dovrebbe pervenirsi (secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte) alla declaratoria di improcedibilita’ dell’azione
disciplinare a carico del dr.» V.T.
Con atto depositato il 25 febbraio 2013, si e’ costituito il
Consiglio notarile dei distretti riuniti di Cuneo, Alba, Mondovi’ e
Saluzzo eccependo l’inammissibilita’ e, comunque, l’infondatezza
della questione di legittimita’ costituzionale.
Con atto del 26 febbraio 2013, e’ intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo alla Corte costituzionale di
«rigettare siccome infondata la questione di costituzionalita’».
Secondo la difesa statale, la norma di delega deve essere
interpretata alla luce della sentenza della Corte costituzionale n.
40 del 1990, con la quale e’ stata dichiarata l’illegittimita’
costituzionale dell’art. 146 della legge n. 89 del 1913 nella parte
in cui non prevede che l’azione disciplinare rimanga sospesa fino al
passaggio in giudicato della sentenza quando, per il fatto illecito,
sia promosso processo penale.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, richiamati i principi
espressi dalla giurisprudenza costituzionale in ordine al rapporto
tra legge delega e legge delegata ai sensi dell’art. 76 Cost., ha
evidenziato che la finalita’ della norma, nel suo collegamento con la
citata sentenza n. 40 del 1990, «stava nel rendere applicabile
nell’ordinamento notarile la sanzione disciplinare della
destituzione, a fronte, oltre tutto, di una durata della prescrizione
(quattro anni) oltremodo breve». Infatti, ha proseguito la difesa
dello Stato, «nel ragionamento della sentenza la preoccupazione di
incostituzionalita’ stava nella circostanza che "il breve termine di
prescrizione previsto dalla legge" andasse a pregiudizio della
irrogazione della sanzione in ragione delle lungaggini processuali,
oltretutto in un contesto nel quale al procedimento disciplinare
doveva poi sommarsi il giudizio disciplinare».
Pertanto, secondo l’Avvocatura generale, il legislatore delegato,
attraverso l’istituto dell’interruzione della prescrizione e il
maggior termine per essa previsto, avrebbe inteso garantire proprio
l’applicabilita’ in concreto della destituzione.
2.- La Corte di cassazione, con ordinanza del 20 dicembre 2012,
(r.o. n. 44 del 2013), ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 146, primo e secondo comma, della legge n.
89 del 1913, come sostituito dall’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006,
in riferimento all’art. 76 Cost., affermando che il legislatore
delegato sarebbe incorso in un eccesso di delega.
Il Collegio rimettente ha precisato che il giudizio a quo
concerne il ricorso per cassazione proposto dal notaio A.V. avverso
la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 1° aprile 2011,
depositata il 19 aprile 2011, con cui il giudice di secondo grado
aveva respinto il reclamo contro la decisione della Commissione
regionale di disciplina per l’Emilia-Romagna del 4 giugno 2009, che
aveva riconosciuto il professionista colpevole degli addebiti di cui
agli artt. 36 e 38 del codice deontologico, per aver redatto un gran
numero di atti tra il giugno ed il 28 dicembre 2007, dimostrando
frettolosita’ e violazione del principio di personalita’ della
prestazione notarile.
In particolare, la Corte di cassazione ha premesso che, secondo
la Corte territoriale, l’elevato numero degli appuntamenti e degli
atti raccolti non si conciliava con la possibilita’ che la
prestazione del notaio fosse stata resa personalmente. Ne’ cio’
poteva essere smentito dal collegamento fra vari atti, non essendo
possibile ipotizzarne la lettura completa in pochi minuti, come nel
caso emblematico in cui 29 atti collegati risultavano sottoscritti
alle ore 19,05, alle ore 19,06 ed alle ore 19,10 del 18 luglio 2007.
La Corte d’appello, pertanto, riteneva congrua l’applicazione della
misura di quattro mesi di sospensione, considerato anche che, in
precedenza, era stata inflitta all’incolpato la sanzione della
censura per altra violazione. Avverso questa sentenza il notaio A.V.
proponeva ricorso per cassazione. Resisteva, con controricorso, il
Consiglio notarile di Reggio Emilia, che ha anche presentato ricorso
incidentale.
Con memoria presentata a norma dell’art. 380-bis, secondo comma,
cod. proc. civ., il ricorrente, in via preliminare, deduceva
l’intervenuta prescrizione dell’illecito disciplinare, prospettando
la non manifesta infondatezza dell’eccezione di illegittimita’
costituzionale dell’art. 146 della legge n. 89 del 1913, come
sostituito dall’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006, per supposto
eccesso di delega della nuova previsione rispetto alla legge delega
n. 246 del 2005, con violazione dell’art. 76 Cost.
Cio’ premesso, la rimettente, dopo aver dichiarato di «far
proprie le osservazioni gia’ mosse da questa Corte (Sez. II) con
ordinanza n. 17697/2012», ne ha riproposto il contenuto specificando,
quanto alla rilevanza nel giudizio a quo, che «ricadendo l’illecito
disciplinare per il quale il ricorrente e’ stato sanzionato
nell’ambito temporale di applicabilita’ del nuovo art. 146 della
legge n. 89 del 1913 (essendo stato riportato in atti come commesso
entro il dicembre 2007), l’eventuale declaratoria di
incostituzionalita’ dei primi due commi dello stesso art. 146, come
riformato con l’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006, comporterebbe,
non applicandosi ipotesi interruttive e non tenendosi conto
dell’allungamento del termine prescrizionale a cinque anni, che
l’infrazione disciplinare (in virtu’ della reviviscenza del
precedente disposto dell’art. 146 della legge n. 89 del 1913, il
quale prevedeva la durata della prescrizione in quattro anni senza
contemplare ipotesi interruttive) si sarebbe gia’ prescritta nel
dicembre 2011, con la conseguenza che, nella presente sede di
legittimita’, dovrebbe pervenirsi (secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte) alla declaratoria di improcedibilita’ dell’azione
disciplinare a carico del dr.» A.V.
Con atto depositato il 27 marzo 2013, si e’ costituito il
Consiglio notarile di Reggio Emilia chiedendo «che la questione di
legittimita’ costituzionale venga risolta escludendo l’ipotizzato
contrasto con l’art. 76 Cost.».
Con atto depositato il 28 marzo 2013, e’ intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte
costituzionale di «rigettare siccome infondata la questione di
costituzionalita’», riproponendo le medesime osservazioni gia’
articolate con riferimento alla ordinanza di rimessione redatta dalla
sezione seconda della Corte di legittimita’.
3.- La Corte di cassazione, con ordinanza del 20 dicembre 2012
(r.o. n. 45 del 2013), ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 146, primo e secondo comma, della legge n.
89 del 1913, come sostituito dall’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006,
in riferimento all’art. 76 Cost., affermando che il legislatore
delegato sarebbe incorso in un eccesso di delega.
La Corte rimettente ha precisato che il giudizio a quo concerne
il ricorso per cassazione proposto dal Consiglio notarile
distrettuale di Arezzo avverso la sentenza della Corte d’appello di
Firenze depositata il 19 aprile 2010, con cui il giudice di secondo
grado, su reclamo del notaio F.M., aveva annullato la decisione della
Commissione regionale di disciplina per la Toscana del 20 aprile
2009, che aveva inflitto al professionista la sanzione
dell’avvertimento, riconoscendolo responsabile della violazione di
norme deontologiche, per aver omesso di indicare i luoghi di nascita
in alcuni atti, per non aver indicato la cittadinanza in atti in cui
erano intervenuti stranieri, per aver indicato prezzi di acquisto
incongrui rispetto ai mutui contratti, per aver indicato che il
soggetto acquirente avrebbe trasferito la sua residenza nel Comune
dell’acquisto, quando gia’ era ivi residente, e, soprattutto, per
aver posto in essere varie incongruenze grammaticali nei contratti
stipulati.
In particolare, la Corte di cassazione ha premesso che la Corte
territoriale, evidenziato che la sanzione era stata irrogata dalla
Commissione perche’ i comportamenti del notaio integravano «reiterate
omissioni di diligenza nell’esecuzione degli incarichi a lui affidati
e conseguente inosservanza del contenuto di norme deontologiche,
artt. 50 e 59», affermava che il «richiamo all’art. 50 del codice
deontologico era fuori di luogo, perche’ atteneva alla vendita di
autoveicoli, mentre l’art. 59 era norma pleonastica, poiche’
richiamava l’esigibilita’ del rispetto delle norme deontologiche; che
nella fattispecie non si trattava di violazione di norme
deontologiche, ma solo di attivita’ disordinata […] da parte del
notaio».
Con memoria presentata a norma dell’art. 380-bis, secondo comma,
cod. proc. civ., il ricorrente, in via preliminare, deduceva
l’intervenuta prescrizione dell’illecito disciplinare, prospettando,
la non manifesta infondatezza dell’eccezione di illegittimita’
costituzionale dell’art. 146 della legge n. 89 del 1913, come
sostituito dall’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006, per supposto
eccesso di delega della nuova previsione rispetto alla legge delega
n. 246 del 2005, con violazione dell’art. 76 Cost.
Cio’ premesso, la Corte rimettente, dopo aver dichiarato di «far
proprie le osservazioni gia’ mosse da questa Corte (Sez. II) con
ordinanza n. 17697/2012», ne ha riproposto il contenuto specificando,
quanto alla rilevanza nel giudizio a quo, che «ricadendo l’illecito
disciplinare per il quale il ricorrente e’ stato sanzionato
nell’ambito temporale di applicabilita’ del nuovo art. 146 della
legge n. 89 del 1913 (essendo stato riportato in atti come commesso
entro il 12 marzo 2008), l’eventuale declaratoria di
incostituzionalita’ dei primi due commi dello stesso art. 146, come
riformato con l’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006, comporterebbe,
non applicandosi ipotesi interruttive e non tenendosi conto
dell’allungamento del termine prescrizionale a cinque anni, che
l’infrazione disciplinare (in virtu’ della reviviscenza del
precedente disposto dell’art. 146 della legge n. 89 del 1913, il
quale prevedeva la durata della prescrizione in quattro anni senza
contemplare ipotesi interruttive), si sarebbe gia’ prescritta il 12
marzo 2012, con la conseguenza che, nella presente sede di
legittimita’, dovrebbe pervenirsi (secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte) alla declaratoria di improcedibilita’ dell’azione
disciplinare a carico del dr.» F.M.
Con atto depositato il 19 marzo 2013, e’ intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo a questa Corte di
«rigettare siccome infondata la questione di costituzionalita’»,
riproponendo le medesime osservazioni gia’ articolate con riferimento
all’ordinanza di rimessione della sezione seconda della Corte di
cassazione.
Con atto depositato il 2 aprile 2013, si e’ costituito il
Consiglio notarile distrettuale di Arezzo eccependo
l’inammissibilita’ e, comunque, l’infondatezza della questione di
legittimita’ costituzionale.
Il 30 maggio 2014 il Consiglio notarile dei distretti riuniti di
Cuneo, Alba, Mondovi’ e Saluzzo, e il Consiglio notarile distrettuale
di Arezzo hanno depositato memorie di identico contenuto, chiedendo
alla Corte di dichiarare infondata la questione di legittimita’
costituzionale.
Le difese dei detti Consigli hanno illustrato preliminarmente il
quadro normativo precedente alla legge delega n. 246 del 2005 ponendo
in evidenza, in particolare, il problema legato alla sostanziale
impossibilita’ di concludere il procedimento disciplinare entro il
termine quadriennale di prescrizione e ricordando, in proposito, che
la Corte costituzionale, con sentenza n. 40 del 1990, aveva
dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 146 della legge
n. 89 del 1913 nella parte in cui non prevedeva che l’azione
disciplinare rimanesse sospesa fino al passaggio in giudicato della
sentenza quando, per il fatto illecito, fosse stato promosso processo
penale. Le parti hanno poi sottolineato che la legge n. 246 del 2005,
in quanto legge di semplificazione, e’ soggetta ai principi e criteri
direttivi indicati dall’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59
(Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione
e per la semplificazione amministrativa) per le leggi annuali di
semplificazione e riassetto normativo. Tale articolo – e’ evidenziato
– «ha modificato l’idea stessa di semplificazione […] introducendo
l’idea del riassetto sostanziale delle materie, da attuare mediante
decreti legislativi di riforma dei singoli settori».
Solo in questa prospettiva, secondo la tesi difensiva, sarebbe
possibile individuare la reale ampiezza della delega e addivenire ad
una corretta interpretazione della disposizione impugnata.
In particolare, circa la ratio della legge di semplificazione, e’
richiamato il parere n. 2 del 2004 reso dall’Adunanza generale del
Consiglio di Stato, nella parte in cui, con riferimento alla legge n.
229 del 2003 che aveva riformulato il citato art. 20 della legge n.
59 del 1997, si afferma che «cio’ che cambia e’ la portata, per cosi’
dire, "quantitativa" dell’intervento innovativo, poiche’ per i
decreti legislativi di riassetto vi sono criteri di delega piu’ ampi
e incisivi, che autorizzano il legislatore delegato non soltanto ad
apportare modifiche di coordinamento formale alla disciplina di rango
legislativo, ma anche a consistenti innovazioni di merito alla
disciplina codificata».
Del resto, hanno proseguito le parti, la sezione consultiva atti
normativi del Consiglio di Stato, con il parere n. 1063 del 2006, si
e’ espressa favorevolmente sullo schema di decreto legislativo
«affermando la corrispondenza del testo alle finalita’ espressamente
indicate dal legislatore delegato, ritenendolo un intervento
normativo finalizzato al riordino complessivo della materia».
Peraltro, nel periodo di applicazione, la disposizione censurata
avrebbe mostrato una «oggettiva efficacia nel contrasto (e, pertanto,
nella prevenzione) di fenomeni di violazione di legge o del Codice
deontologico da parte della classe notarile».
Dunque, secondo le difese, la norma impugnata sarebbe stata male
interpretata dal collegio rimettente in quanto «La Corte di
Cassazione […] sostanzialmente si e’ limitata alla analisi della
lettera dell’art. 7, comma 1, lett. e), n. 3 della legge n. 246 del
2005, senza cogliere le piu’ ampie finalita’ del contesto di
semplificazione in cui esso si inserisce e dal quale […] discendono
criteri direttivi senz’altro piu’ ampi».
A sostegno della tesi e’ richiamata la giurisprudenza
costituzionale relativa al rapporto tra legge delegante e legge
delegata e, in particolare, il principio secondo cui «la delega
legislativa non esclude ogni discrezionalita’ del legislatore
delegato, che puo’ essere piu’ o meno larga in relazione al grado di
specificita’ dei criteri fissati nella legge delega, sicche’ la
valutazione dell’eccesso di delega va fatta in rapporto alla ratio
della delega, onde stabilire se la norma delegata sia con questa
coerente» (sono citate le sentenze n. 119 del 2013; n. 162 del 2012 e
n. 280 del 2004).
I Consigli notarili pervengono alla conclusione che «Le
innovazioni autorizzate dal legislatore delegante sono pertanto
strettamente funzionali al migliore adempimento di tale compito di
sistemazione normativa». Del resto, «la stessa Corte di Cassazione,
nel ricostruire il complesso sistema del c.d. potere disciplinare
[…], definisce "coessenziali allo stesso concetto di prescrizione"
gli istituti della interruzione e della sospensione (Cassazione
Civile, II, n. 1172 del 21 gennaio 2014)». Il legislatore si sarebbe,
dunque, «scrupolosamente attenuto ai criteri dettati dall’esigenza di
semplificazione, oltre a quelli specifici per la revisione
dell’ordinamento disciplinare, introducendo tutte le misure atte a
rendere effettivo l’esercizio dell’azione disciplinare».
Il 30 maggio 2014 il Consiglio notarile di Reggio Emilia ha
depositato una memoria, chiedendo che la questione di legittimita’
costituzionale sia risolta escludendo l’ipotizzato contrasto con
l’art. 76 Cost.
Premessi brevi cenni in ordine alla rilevanza della questione ed
al sistema previgente alla legge delega n. 246 del 2005, la difesa ha
posto l’accento sulla necessita’ di leggere la disposizione censurata
alla luce dei principi e criteri direttivi indicati dall’art. 20
della legge n. 59 del 1997 per le leggi annuali di semplificazione e
riassetto normativo.
Cio’ consentirebbe di cogliere ancor piu’ chiaramente che tra la
legge delega e la legge delegata sussiste, in effetti, un naturale
rapporto "di riempimento", secondo lo schema indicato dalla stessa
giurisprudenza costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 426 del
2006 e n. 308 del 2002).
Per altro verso, dall’utilizzo dell’espressione «revisione,
riordino e riassetto normativo» da parte del legislatore delegante si
desumerebbe che al legislatore delegato e’ stato affidato il compito
di adeguare la «disciplina al nuovo quadro normativo complessivo»
anche mediante «soluzioni sostanzialmente innovative, con l’unico
limite di non stravolgere i principi e i criteri direttivi stabiliti
dal legislatore delegante (sentenze n. 170 del 2007 e n. 239 del
2003)». Si tratterebbe, quindi, dell’attribuzione di «poteri
impliciti, soprattutto per evitare soluzioni illogiche o
irragionevoli».
La difesa ha quindi richiamato la giurisprudenza costituzionale
relativa al rapporto tra legge delegante e legge delegata. In
particolare, e’ stato posto in evidenza che «L’introduzione di
soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo
previgente e’, tuttavia, ammissibile soltanto nel caso in cui siano
stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la
discrezionalita’ del legislatore delegato (sentenza n. 293 del 2010)»
e che «per valutare se il legislatore abbia ecceduto i – piu’ o meno
ampi – margini di discrezionalita’, occorre individuare la ratio
della delega» (sentenze n. 80 del 2012 e n. 230 del 2010).
Il Consiglio notarile di Reggio Emilia ha poi ricordato che la
Corte costituzionale, con la sentenza n. 162 del 2012, relativa al
codice del processo amministrativo, ha affermato «il principio che,
in base alla delega conferitagli, il legislatore delegato, nel
momento in cui intervenga in modo innovativo, deve tener conto della
giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni
superiori». La parte ha chiarito che in tal modo «si da’ rilievo al
diritto vivente, con un principio traslabile anche nella vicenda
odierna, che presenta infatti un consistente diritto forgiato dagli
orientamenti della Corte costituzionale (40/1990) e della
Cassazione».
La difesa ha, inoltre, sostenuto che il riferimento contenuto
nella legge delega al citato art. 20 della legge n. 59 del 1997,
avrebbe determinato un effetto ampliativo della delega stessa. Al
contempo, si e’ rimarcato che sospensione e interruzione della
prescrizione sono elementi omogenei, accessori del sistema
sanzionatorio.
Concludendo, la norma censurata – sopraggiunta in un momento
successivo alla sentenza n. 40 del 1990 con cui la Corte
costituzionale aveva «inserito il temperamento della sospensione del
procedimento, come meccanismo fisiologico qualora un’azione
disciplinare sia coeva ad un procedimento penale» – lungi dall’aver
ecceduto rispetto ai criteri di delega, avrebbe, secondo il Consiglio
notarile, «solo riordinato un istituto gia’ presente (la
sospensione), del quale era stata gia’ percepita la necessita’ e la
piena coerenza con l’ordinamento».

Considerato in diritto

1.- La Corte di cassazione, con tre ordinanze di analogo tenore
(r.o. nn. 8, 44 e 45 del 2013), ha sollevato questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 146, primo e secondo comma,
della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e
degli archivi notarili), come sostituito dall’art. 29 del decreto
legislativo 1° agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento
disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’art. 7, comma 1,
lettera e, della legge 28 novembre 2005, n. 246), in riferimento
all’art. 76 della Costituzione.
La Corte rimettente, dopo aver superato con motivazione non
implausibile due pregiudiziali di rito inerenti all’ammissibilita’
dei ricorsi, ha considerato rilevante e non manifestamente infondata
la citata questione di legittimita’ costituzionale. Essa ricorda che
l’art. 146, primo comma, della legge n. 89 del 1913, nella sua
originaria formulazione, prevedeva per le violazioni disciplinari
previste un termine di prescrizione di quattro anni, senza
contemplare ipotesi di interruzione e di sospensione della
prescrizione. Sulla base di tale dato normativo, la giurisprudenza di
legittimita’ era costante nel ritenere che la prescrizione
dell’azione disciplinare contro i notai si sarebbe compiuta con il
decorso di quattro anni dal giorno in cui la violazione era stata
commessa, «ancorche’ vi fossero stati atti di procedura». Pertanto,
non avrebbe potuto subire alcuna interruzione, salva la sospensione
della prescrizione stessa in conseguenza della pendenza di un
procedimento penale. Cio’ a seguito della sentenza di questa Corte n.
40 del 1990.
Si era statuito, altresi’, che la prescrizione determinava
l’improcedibilita’ dell’azione disciplinare, operante ex lege,
rilevabile anche d’ufficio e in sede di legittimita’, con cassazione
senza rinvio delle sentenze impugnate.
La Corte rimettente prosegue osservando che, con l’art. 7 della
legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo
per l’anno 2005), il Governo fu delegato ad adottare appositi decreti
legislativi per il «riassetto normativo in materia di ordinamento del
notariato e degli archivi notarili», stabilendo che si sarebbe dovuto
legiferare anche in ordine alla «previsione della sospensione della
prescrizione in caso di procedimento penale e revisione dell’istituto
della recidiva».
In relazione a tale contenuto della legge delega il legislatore
delegato, con l’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006, ha sostituito il
precedente art. 146 della legge n. 89 del 1913 con la previsione di
quattro commi. In particolare, il primo comma prevede l’allungamento
del termine di prescrizione da quattro a cinque anni, mentre il
secondo detta una disciplina del tutto nuova in tema di interruzione
della prescrizione stessa.
La Corte di cassazione precisa che, nell’articolato dello schema
del decreto legislativo adottato dal Ministero della giustizia in
attuazione del citato art. 7 della legge n. 246 del 2005, si
affermava che, con l’art. 29, era stata appunto prevista la
sostituzione dell’art. 146 della legge notarile relativo alla
disciplina della prescrizione, ponendosi in evidenza che, poiche’ la
detta disposizione aveva dato luogo a gravi problemi applicativi a
causa della brevita’ del termine e della mancata previsione di cause
di interruzione, la nuova disposizione allungava il termine e ne
prevedeva la sospensione e l’interruzione.
Sulla scorta di questo quadro normativo e del rapporto tra legge
delega e decreto legislativo delegato, ad avviso della rimettente non
sembra si possa dubitare che il legislatore delegato sia incorso in
un eccesso di delega, con conseguente violazione dell’art. 76 Cost.,
dal momento che, a fronte di una cornice di principi e criteri
direttivi riferita ad un oggetto definito e ben delimitato, emergente
dall’art. 7 delle legge n. 246 del 2005, ha stabilito, nei primi due
commi dell’art. 146 della cosiddetta legge notarile riformata, una
nuova disciplina che, pur attenendo all’istituto della prescrizione,
«ha involto la regolamentazione dell’aspetto della sua interruzione
(al comma 2), prima del tutto assente nella predetta legge (e
ritenuto assolutamente inoperativo in tale materia dalla consolidata
giurisprudenza), con l’ulteriore previsione dell’allungamento a
cinque anni del relativo termine prescrizionale (al comma 1)».
Pertanto, con l’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2005, il legislatore
delegato avrebbe violato i principi e criteri direttivi e superato il
limite oggettivo presenti nella delega, «coinvolgendo altre
situazioni che, sia pur connesse, hanno determinato un illegittimo
esercizio del potere legislativo discrezionale, siccome svincolato,
appunto, dai rigidi criteri direttivi predeterminati dalla legge
delega, essendo indubbia la diversa natura e la differente efficacia
tra gli istituti della sospensione e della interruzione della
prescrizione, i quali non presentano alcun rapporto di
progressivita’».
Sarebbe vero che i criteri direttivi della legge delega vanno
valutati, al fine di verificare se la norma delegata sia ad essi
rispondente, anche alla luce delle finalita’ ispiratrici della legge
stessa, ma non potrebbe dirsi che, nella specie, il legislatore
delegato si sia mosso nel solco di tali scopi, perche’ il campo della
sua azione normativa era stato limitato ad armonizzare il solo
istituto della sospensione con l’eventualita’ della contemporanea
pendenza del procedimento penale relativo allo stesso fatto rilevante
anche come illecito disciplinare.
Con il d.lgs. n. 249 del 2006, dunque, si sarebbe previsto un
trattamento normativo peggiorativo nella suddetta materia per la
categoria notarile, in assenza di un esplicito riferimento della
legge delega.
2.- Le tre ordinanze di rimessione, indicate in epigrafe, pongono
questioni identiche. Pertanto, i relativi giudizi devono essere
riuniti, per essere congiuntamente esaminati e decisi con unica
pronuncia.
3.- Le questioni non sono fondate.
L’art. 146, primo comma, della legge n. 89 del 1913, come
sostituito dall’art. 29 del d.lgs. n. 246 del 2006, stabilisce che
«L’illecito disciplinare del notaio si prescrive in cinque anni
decorrenti dal giorno in cui l’infrazione e’ stata commessa ovvero,
per le infrazioni di cui all’articolo 128, comma 3, commesse nel
biennio, dal primo giorno dell’anno successivo».
Il successivo secondo comma della menzionata norma dispone che
«La prescrizione e’ interrotta dalla richiesta di apertura del
procedimento disciplinare e dalle decisioni che applicano una
sanzione disciplinare. La prescrizione, se interrotta, ricomincia a
decorrere dal giorno dell’interruzione. Se piu’ sono gli atti
interruttivi, la prescrizione decorre nuovamente dall’ultimo di essi.
In nessun caso di interruzione puo’ essere superato il termine di
dieci anni».
Il terzo comma statuisce che «Se per il fatto addebitato e’
iniziato procedimento penale, il decorso della prescrizione e’
sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza penale».
Il quarto comma prevede che «L’esecuzione della condanna alla
sanzione disciplinare si prescriva nel termine di cinque anni dal
giorno in cui il provvedimento e’ divenuto definitivo».
I primi due commi sono censurati dalla Corte rimettente, la quale
ritiene che il legislatore delegato sia incorso in un eccesso di
delega, con conseguente violazione dell’art. 76 Cost., sia per aver
portato da quattro a cinque anni il termine di prescrizione
dell’illecito disciplinare del notaio (comma 1), sia per avere
introdotto l’istituto dell’interruzione del corso della prescrizione
(comma 2).
L’art. 146 della legge n. 89 del 1913, nel testo anteriore alla
riforma, disponeva che «L’azione disciplinare contro i notai per le
infrazioni da loro commesse alle disposizioni della presente legge,
punibili con l’avvertimento, la censura e l’ammenda, la sospensione e
la destituzione, si prescrive in quattro anni dal giorno della
commessa infrazione, ancorche’ vi siano stati atti di procedura. La
condanna ad una delle dette pene si prescrive nel termine di cinque
anni compiuti dal giorno in cui fu pronunciata».
Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il
controllo della conformita’ della norma delegata alla norma delegante
richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici
paralleli: l’uno relativo alla disposizione che determina l’oggetto,
i principi e i criteri direttivi della delega; l’altro concernente la
norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con
questi ultimi (ex plurimis, sentenze n. 230 del 2010, n. 112 e n. 98
del 2008, n. 140 del 2007).
Relativamente al primo di essi, il contenuto della delega deve
essere identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo
nel quale si inseriscono la legge delega ed i relativi principi e
criteri direttivi, nonche’ delle finalita’ che lo ispirano,
verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico
tema, che le scelte del legislatore delegato non siano in contrasto
con gli indirizzi generali della medesima (ex plurimis, sentenze n.
341 del 2007, n. 426 e n. 285 del 2006).
I principi posti dal legislatore delegante costituiscono, poi,
non soltanto base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti
per l’interpretazione della loro portata; e tali disposizioni devono
essere lette, finche’ sia possibile, nel significato compatibile con
tali principi, i quali a loro volta vanno interpretati alla luce
della ratio della legge delega, per verificare se la norma delegata
sia con questa coerente (ex plurimis, sentenze n. 237 del 2013, n.
119 del 2013, n. 272 del 2012 e n. 98 del 2008). Infatti, l’art. 76
Cost. non osta all’emanazione di norme che rappresentino un coerente
sviluppo e, nella specie, come in precedenza posto in rilievo, un
completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante,
poiche’ deve escludersi che la funzione del legislatore delegato sia
limitata ad una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite
dal primo; dunque, nell’attuazione della delega e’ possibile valutare
le situazioni giuridiche da regolamentare ed effettuare le
conseguenti scelte, nella fisiologica attivita’ di riempimento che
lega i due livelli normativi (sentenze n. 98 del 2008 e n. 163 del
2000).
Nel caso de quo, alla luce dei suddetti principi, deve escludersi
che l’aver portato da quattro a cinque anni il termine di
prescrizione dell’illecito disciplinare del notaio e l’avere
introdotto l’istituto dell’interruzione del corso della prescrizione
abbia violato il menzionato parametro costituzionale, trattandosi di
scelte del legislatore delegato coerenti con gli indirizzi generali
della delega e compatibili con la ratio di questa.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dell’art. 146, primo e secondo comma, della legge 16 febbraio 1913,
n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come
sostituito dall’art. 29 del decreto legislativo 1° agosto 2006, n.
249 (Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei
notai, in attuazione dell’articolo 7, comma 1, lettera e, della legge
28 novembre 2005, n. 246), sollevate, in riferimento all’art. 76
della Costituzione, dalla Corte di cassazione con le tre ordinanze
indicate in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2014.

F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *