Corte Costituzionale sentenza n. 232 SENTENZA 24 settembre – 10 ottobre 2014

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SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a
seguito della delibera della Giunta della Regione Veneto 11 febbraio
2013, n. 179, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 20
del 26 febbraio 2013, avente per oggetto «Procedure operative per la
gestione delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati
all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.», promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il
26 aprile 2013, depositato in cancelleria il 30 aprile 2013 ed
iscritto al n. 5 del registro conflitti tra enti 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 23 settembre 2014 il Giudice
relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Manzi per la Regione
Veneto.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso, notificato alla Regione Veneto il 26 aprile 2013
(iscritto al reg. confl. enti n. 5 del 2013) e depositato il
successivo 30 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso conflitto di attribuzione in relazione alla delibera della
Giunta regionale del Veneto 11 febbraio 2013, n. 179, pubblicata nel
Bollettino ufficiale della Regione n. 20 del 26 febbraio 2013, avente
ad oggetto «Procedure operative per la gestione delle terre e rocce
da scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del
d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.», per violazione degli artt. 117,
secondo comma, lettera s), e 118, primo comma, della Costituzione.
2.- La delibera 11 febbraio 2013, n. 179, ha approvato le
procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo
prodotte nel corso di attivita’ e interventi provenienti da cantieri
di piccole dimensioni, la cui produzione non superi i 6000 metri cubi
per singolo cantiere. Le procedure in questione sono contenute
nell’Allegato A alla delibera.
3.- A parere del Presidente del Consiglio dei ministri il
provvedimento in esame, seppur di apparente natura meramente
provvedimentale, risulterebbe avere un contenuto sostanzialmente
regolamentare, in quanto contiene disposizioni valevoli in linea
generale ed astratta per i destinatari delle stesse. Rileva
l’Avvocatura generale dello Stato che la delibera in oggetto appare
invasiva della competenza legislativa esclusiva in materia di «tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema» attribuita al legislatore statale
dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Il ricorrente ricorda che il legislatore statale ha disciplinato
le procedure operative per la gestione delle suindicate terre e rocce
da scavo con il decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante
la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo),
adottato ai sensi dell’art. 184-bis del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). In particolare l’art. 8,
comma 1, (recte: art. 3, comma 1) renderebbe evidente che l’ambito di
applicazione del d.m. n. 161 del 2012 comprende l’intera gestione
delle terre e rocce da scavo, senza prevedere alcuna distinzione tra
quantitativi di terra e rocce superiori o inferiori ai seimila metri
cubi di volume per singolo cantiere.
Emergerebbe dunque in maniera indiscutibile la lesione, da parte
della delibera regionale impugnata, della competenza statale in
materia di ambiente, che comprende anche la disciplina dei rifiuti,
come riaffermato da una consolidata giurisprudenza costituzionale. Il
provvedimento in questione, ponendo regole e procedure di gestione di
quei rifiuti, valevoli territorialmente solo per il territorio
regionale, avrebbe ecceduto dalle competenze della Regione, invadendo
l’ambito di competenza esclusiva dello Stato.
3.1.- Aggiunge l’Avvocatura generale dello Stato che, per le
medesime ragioni, il provvedimento lede altresi’ l’art. 118, primo
comma, Cost. in quanto interferisce con una funzione che, in virtu’
di quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, la legge riserva
espressamente allo Stato, allo scopo di stabilire una disciplina
unitaria ed omogenea sul territorio nazionale. Invero, l’art. 266,
comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 (menzionato anche
nell’intestazione del provvedimento impugnato), riconoscerebbe alla
competenza esclusiva del Ministero dell’ambiente la possibilita’ di
fornire una disciplina semplificativa con riguardo alle procedure
relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo,
provenienti da cantieri di piccole dimensioni e la cui produzione non
superi i seimila metri cubi di materiale.
In conclusione, la difesa statale chiede che sia dichiarato che
non spetta alla Regione Veneto, e per essa alla Giunta regionale,
adottare una delibera con la quale vengano approvate le «Procedure
operative per la gestione delle terre e rocce da scavo per i
quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del
2006 e s.m.i.» e che, pertanto, essa sia annullata.
4.- Si e’ costituita in giudizio la Regione Veneto concludendo
per la inammissibilita’ del ricorso ovvero per il suo rigetto,
chiedendo che sia dichiarata la competenza della Giunta regionale del
Veneto all’esercizio delle funzioni amministrative oggetto dell’atto
impugnato.
4.1.- La resistente eccepisce l’inammissibilita’ del ricorso
anzitutto sostenendo che il ricorrente ha impugnato un provvedimento,
erroneamente reputato di valenza normativa, ma in realta’ dotato di
forma e sostanza amministrativa, invocando la violazione di parametri
di costituzionalita’ riguardanti la potesta’ legislativa esclusiva
statale.
La Regione Veneto inoltre dubita dell’effettivita’ del conflitto,
in quanto la delibera impugnata si occuperebbe di un settore – quello
dei cantieri di piccole dimensioni – che sarebbe rimasto del tutto
sprovvisto di adeguata disciplina a seguito dell’approvazione del
d.m. n. 161 del 2012 il quale, mentre tratta esaustivamente della
gestione delle terre e rocce da scavo, lascia pero’ scoperto il
settore oggetto del provvedimento regionale, ovvero i cantieri con
produzione di materiali da scavo inferiore a seimila metri cubi.
Pertanto, il provvedimento regionale impugnato non lederebbe alcuna
competenza statale, ma si sarebbe reso necessario per colmare un
vuoto amministrativo e funzionale.
Un ulteriore profilo di inammissibilita’ deriverebbe dal fatto
che l’atto impugnato avrebbe natura meramente confermativa o
consequenziale rispetto a precedenti analoghi.
In conclusione, la difesa regionale nota che la delibera non
conforme alla disciplina statale avrebbe dovuto essere sottoposta al
vaglio del giudice amministrativo, anziche’ di questa Corte.
4.2.- Nel merito, la difesa regionale sostiene che l’atto
impugnato sia carente di contenuto regolatorio, limitandosi a
introdurre un livello di disciplina, in materia di piccoli cantieri,
non riconducibile alla normativa dettata dal decreto invocato dalla
difesa erariale, semplicemente perche’ attinente a profili dallo
stesso non considerati ed al medesimo non ascrivibili.
La difesa regionale sostiene che non risulterebbe affatto
dimostrata la relazione idonea a connettere il provvedimento
amministrativo regionale alle attribuzioni in materia ambientale
riconosciute allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost. Poiche’ tutti i provvedimenti regionali antecedenti a quello
impugnato sarebbero stati ancorati alla disciplina statale e
avrebbero potuto pacificamente dispiegare gli effetti loro propri,
non si coglierebbero i profili di illegittimita’ dell’operato
regionale contestati dal Governo.
In conclusione, la difesa ribadisce che la delibera regionale
avrebbe natura meramente provvedimentale, con oggetto dichiaratamente
procedurale e semplificatorio, e che non presenterebbe alcun profilo
qualificabile come espressione di potesta’ regolamentare. A conferma
dell’assenza dei presupposti per il ricorso starebbe l’efficacia
dichiaratamente cedevole dei contenuti dell’atto impugnato, destinati
ad essere caducati per effetto dell’eventuale emanazione della
normativa statale. Nella denegata ipotesi che fosse affermata la
ritenuta valenza parzialmente suppletiva dell’atto regionale
impugnato, la resistente ribadisce che, con il provvedimento
impugnato, la Regione Veneto ha unicamente inteso perseguire la
semplificazione dei procedimenti amministrativi di propria
competenza, materia oggetto di competenza residuale regionale. Del
resto, a parere della difesa regionale, la tipologia dei cantieri
considerata nell’atto afferisce anche all’esecuzione di opere
pubbliche di competenza regionale e all’esecuzione di lavori di
edilizia residenziale pubblica, tutte materie di attribuzione
esclusiva regionale.

Considerato in diritto

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso
conflitto di attribuzione in relazione alla delibera della Giunta
regionale del Veneto 11 febbraio 2013, n. 179, pubblicata nel
Bollettino ufficiale della Regione n. 20 del 26 febbraio 2013,
recante «Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da
scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del d.lgs.
n. 152 del 2006 e s.m.i.», per violazione degli artt. 117, secondo
comma, lett. s), e 118, primo comma, della Costituzione.
2.- La Regione Veneto, costituitasi in giudizio, ha
preliminarmente eccepito l’inammissibilita’ del ricorso, in quanto il
Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe impugnato un
provvedimento di forma e sostanza amministrativa, inidoneo a produrre
gli effetti normativi, e quindi lesivi, lamentati. Inoltre, la
Regione ritiene, diversamente da quanto affermato dalla difesa
statale, che la delibera regionale impugnata non si occupi di un
settore gia’ regolato da un atto normativo statale – nella specie il
decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare 10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina
dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo) – ma riguardi un
ambito, quello dei cantieri di piccole dimensioni, da esso non
interessato. Infine, la Regione rileva che il provvedimento impugnato
sarebbe un atto di natura meramente confermativa o consequenziale
rispetto a precedenti di analogo contenuto, mai impugnati dalla
difesa statale.
I rilievi della Regione in punto di inammissibilita’ sono
destituiti di fondamento.
Secondo una giurisprudenza costante di questa Corte, e’ idoneo a
innescare un conflitto intersoggettivo di attribuzione qualsiasi
atto, dotato di efficacia e rilevanza esterna, diretto a esprimere in
modo chiaro e inequivoco la pretesa di esercitare una competenza, il
cui svolgimento possa determinare una invasione, o una menomazione,
della altrui sfera di attribuzioni (ex plurimis, sentenze n. 122 del
2013 e n. 332 del 2011). Nel caso di specie, sono pacifiche
l’efficacia e la rilevanza esterna della delibera impugnata, che
detta le procedure da seguire per lo smaltimento delle rocce e terre
da scavo prodotte nei cantieri di piccole dimensioni. Tale delibera
e’ censurata in quanto invasiva della materia della «tutela
dell’ambiente», annoverata dall’art. 117, comma secondo, lettera s),
Cost., tra le competenze esclusive dello Stato, e in quanto lesiva
dell’art. 118, primo comma, Cost., per la sovrapposizione che essa
determina con le funzioni amministrative che lo Stato ha riservato ad
atti ministeriali. Quale che sia la natura dell’atto impugnato,
nessun dubbio sussiste circa la sua idoneita’ a causare la lamentata
lesione delle competenze statali in materia di ambiente.
Neppure e’ fondato il rilievo che l’atto impugnato avrebbe
carattere meramente confermativo o consequenziale rispetto a delibere
adottate in precedenza dalla medesima Giunta regionale del Veneto in
tema di procedure per la gestione delle terre e rocce da scavo e
aventi analogo contenuto. Invero, questa Corte ha ripetutamente
affermato che il conflitto di attribuzione e’ inammissibile se
proposto contro atti meramente consequenziali (confermativi,
riproduttivi, esplicativi, esecutivi ecc.) rispetto ad atti
anteriori, non impugnati (ex plurimis, sentenze n. 130 del 2014, n.
144 del 2013, n. 207 del 2012), qualora l’atto impugnato «ripeta
identicamente il contenuto o […] costituisca una mera e necessaria
esecuzione di un altro atto, che ne costituisca il precedente logico
e giuridico» (sentenza n. 369 del 2010, nonche’ sentenze n. 472 del
1975, n. 32 del 1958 e n. 18 del 1956). Nel caso in discussione,
pero’, la delibera impugnata non si configura come atto meramente
confermativo o consequenziale. La difesa regionale fa riferimento a
precedenti delibere riguardanti le procedure operative per la
gestione delle terre e rocce da scavo, emanate ai sensi dell’art. 186
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale), d’ora in avanti «codice dell’ambiente», in base, cioe’,
a una disposizione abrogata in seguito all’entrata in vigore del d.m.
n. 161 del 2012, al quale, invece, si riferisce la delibera impugnata
con l’intendimento di rimediare transitoriamente al vuoto normativo
da esso generato. Pertanto, la delibera 11 febbraio 2013, n. 179, si
distingue dalle precedenti sotto vari profili: per l’oggetto,
limitato alla semplificazione delle procedure per le terre e rocce da
scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni; per il
fondamento legislativo, da individuarsi non nell’abrogato art. 186,
bensi’ nell’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006; per lo
scopo che essa persegue, di rimediare, in parte qua, proprio al venir
meno della norma statale su cui le delibere anteriori si fondavano.
Tali circostanze escludono che l’atto impugnato possa considerarsi
meramente riproduttivo, confermativo o esecutivo dei precedenti.
3.- Ancora in via preliminare, occorre chiarire gli effetti della
delibera 11 febbraio 2013, n. 179, dal punto di vista temporale, dato
che nelle more del giudizio il legislatore statale ha approvato
l’attesa disciplina che semplifica il regime delle terre e rocce da
scavo provenienti da piccoli cantieri. La disciplina semplificata e’
stata infatti adottata con l’art. 41-bis del decreto-legge 21 giugno
2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia),
inserito dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98.
In particolare la novella legislativa prevede che i materiali da
scavo, anziche’ essere gestiti come rifiuti, siano soggetti al regime
dei sottoprodotti di cui all’art. 184-bis del codice dell’ambiente,
purche’ siano rispettate determinate condizioni. Occorre, in
particolare, che il produttore dimostri: «a) che e’ certa la
destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o piu’ siti o cicli
produttivi determinati; b) che, in caso di destinazione a recuperi,
ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi
sul suolo, non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di
contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1
dell’allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del
2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e
alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione e i
materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o
indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo
naturale; c) che, in caso di destinazione ad un successivo ciclo di
produzione, l’utilizzo non determina rischi per la salute ne’
variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al
normale utilizzo delle materie prime; d) che ai fini di cui alle
lettere b) e c) non e’ necessario sottoporre i materiali da scavo ad
alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche
industriali e di cantiere».
L’esigenza di semplificazione del regime dei materiali da scavo
di piccoli cantieri, di cui la Giunta della Regione Veneto ha
ritenuto di farsi carico con la delibera impugnata, e’ stata dunque
soddisfatta dagli interventi legislativi statali sopra ricordati.
Poiche’ la Giunta si proponeva «di fornire indirizzi per la corretta
gestione delle terre e rocce da scavo nelle more dell’emanazione del
decreto di cui all’art. 266, comma 7, per quei quantitativi di
materiale di risulta prodotto dagli scavi fino ad un massimo di
seimila metri cubi per cantiere», la delibera 11 febbraio 2013, n.
179 e’ da considerarsi "cedevole" rispetto alla disciplina statale.
Essendo ora sopravvenuta la legislazione statale, si deve dunque
ritenere che l’atto regionale abbia esaurito i suoi effetti.
Cio’ nondimeno, il ricorso deve essere esaminato nel merito, sia
perche’ la delibera sottoposta all’esame di questa Corte e’ rimasta
in vigore per alcuni mesi e si deve presumere che durante quel
periodo abbia avuto applicazione, sia perche’ le censure prospettate
dal Presidente del Consiglio dei ministri si appuntano sull’adozione
da parte della Giunta regionale di una normativa "ponte", destinata a
cedere il passo alla normativa statale, in una materia di competenza
esclusiva dello Stato.
Del resto, va ricordato che questa Corte ha gia’ avuto modo di
affermare l’irrilevanza delle sopravvenienze di fatto, come
l’esaurimento degli effetti dell’atto impugnato, ai fini del
persistere dell’interesse alla decisione dei conflitti di
attribuzione (ex plurimis, sentenze n. 9 del 2013, n. 328 del 2010,
n. 222 del 2006, nn. 287 e 263 del 2005 e n. 289 del 1993).
4.- Nel merito, il ricorso e’ fondato.
La delibera della Giunta regionale del Veneto 11 febbraio 2013,
n. 179, che disciplina le procedure per lo smaltimento dei materiali
da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni, e’ censurata
in quanto interviene nell’ambito della «tutela dell’ambiente»,
riservata allo Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, in due recenti
decisioni (sentenze n. 70 del 2014 e n. 300 del 2013), che la
disciplina delle procedure per lo smaltimento delle rocce e terre da
scavo attiene al trattamento dei residui di produzione ed e’ percio’
da ascriversi alla «tutela dell’ambiente», affidata in via esclusiva
alle competenze dello Stato, affinche’ siano garantiti livelli di
tutela uniformi su tutto il territorio nazionale.
Nelle medesime decisioni, la Corte ha altresi’ chiarito che in
materia di smaltimento delle rocce e terre da scavo non residua
alcuna competenza – neppure di carattere suppletivo e cedevole – in
capo alle Regioni e alle Province autonome in vista della
semplificazione delle procedure da applicarsi ai cantieri di piccole
dimensioni.
A questo proposito occorre ricordare che l’art. 266, comma 7, del
codice dell’ambiente riserva allo Stato, e per esso ad un apposito
decreto ministeriale, la competenza a dettare «la disciplina per la
semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali,
ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di
piccole dimensioni», senza lasciare alcuno spazio a competenze delle
Regioni e delle Province autonome. A sua volta l’art. 184-bis del
codice dell’ambiente, relativo al trattamento dei sottoprodotti – a
cui il sopravvenuto art. 41-bis del d.l. n. 69 del 2013 riconduce il
regime delle terre e delle rocce da scavo – prevede che sia un
decreto ministeriale ad adottare i criteri qualitativi o quantitativi
da soddisfare affinche’ specifiche tipologie di sostanze o oggetti
siano considerati sottoprodotti e non rifiuti.
La materia e’ dunque interamente attratta nell’ambito delle
competenze dello Stato. Di conseguenza, l’impugnata delibera della
Giunta regionale del Veneto, che detta una disciplina semplificata da
applicarsi allo smaltimento dei residui di produzione dei cantieri di
piccole dimensioni, anche se valevole in via suppletiva in attesa
dell’intervento statale, ha invaso le competenze dello Stato in
materia di tutela dell’ambiente e deve essere annullata.
Restano assorbiti gli altri motivi di censura.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara che non spettava alla Giunta regionale del Veneto
deliberare in materia di procedure operative per la gestione delle
terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni,
come definiti dall’art. 266, comma 7, del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);
2) annulla, di conseguenza, la delibera della Giunta regionale
del Veneto 11 febbraio 2013, n. 179, recante «Procedure operative per
la gestione delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati
all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.».
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2014.

F.to:
Giuseppe TESAURO, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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