Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4393 Cosa in custodia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- A.M.C. citò innanzi al Tribunale di Modena, Sezione distaccata di Pavullo nel Frignano, B.E. esponendo che la convenuta, con contratto del 28/08/2000 aveva locato un immobile (OMISSIS), al proprio coniuge P.M. e che nell’immobile locato, abitava anche l’attrice dal 8/8/2001; che in data (OMISSIS) l’attrice era scivolata da una scala esterna del fabbricato che era bagnata, pavimentata con gres scivoloso; che a seguito della caduta aveva riportato lesioni con postumi permanenti di cui chiedeva ristoro. Si costituì la B. ed eccepì la sua carenza di legittimazione passiva in quanto l’immobile, dal 1/01/2001 era stato concesso in locazione al P., che aveva quindi assunto la qualità di custode del bene, quale conduttore; peraltro, la presenza di liquido sulle scale non poteva che essere ricondotta a fatto del conduttore o della moglie; nè poteva invocarsi la presenza di un pericolo occulto (cd. insidia o trabocchetto), perchè l’attrice conosceva le caratteristiche della scala ed il fatto si era verificato in piena luce diurna. Chiedeva di chiamare in causa il P., in qualità di conduttore, e la S.p.A. UNIPOL per essere da questi manlevata. Il P. si costituiva formulando argomentazioni analoghe a quelle svolte dalla moglie. Si costituiva, altresì, la S.p.A. UNIPOL, svolgendo difese analoghe a quelle della convenuta e chiedendo il rigetto della domanda.

1.1.- Il Tribunale rigettò la domanda.

Propose appello l’ A. e dedusse: 1) la violazione di legge ex art. 112 c.p.c. per erroneo e/o omesso esame da parte del Tribunale, di circostanze decisive, perchè dalla consulenza di parte si evinceva che la scala poteva presentare situazioni di pericolo occulto, dovuti alla tipologia della pavimentazione in gres con lini tura liscia dei pianerottoli al posto di un pavimento in gres con finiture lavorate e antiscivolo; 2) violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., perchè la relazione tecnica di parte della convenuta era inidonea e non poteva costituire fonte di prova da porre a sostegno della decisione impugnata; 3) che il primo giudice aveva escluso che la scala de qua presentasse il carattere dell’insidia nonostante questa costituisse un pericolo occulto; 4) che mai l’attrice aveva dedotto rischi connessi allo spandimento di acqua incorrendo così il Tribunale in vizio logico di motivazione allorquando aveva ipotizzato un’eventuale legittimazione passiva del P., quale conduttore dell’immobile: 5) erronea condanna dell’attrice al rimborso delle spese processuali, a favore della terza chiamata UNIPOL Spa, che era stata evocata dalla convenuta e non dalla A.. Chiese, sul piano istruttorio, una CTU sulle caratteristiche della scala e l’ammissione di prove orali. Con separato ed autonomo atto, proponeva appello anche il P.M. deducendo: 1) che il primo giudice aveva omesso di motivare in ordine alla domanda di nullità dell’atto di citazione per la sua chiamata in causa, in quanto l’atto di chiamata non conteneva mandato specifico rilasciato ai difensori. Nel merito, l’appellante dedusse argomentazioni analoghe a quelle della A.; a fronte dei due autonomi appelli principali, si costituivano B.E. e la Unipol, concludendo per il rigetto delle impugnazioni.

2.- Previa riunione delle impugnazioni, la Corte di Appello di Bologna, con la sentenza depositata il 12 novembre 2009 ha respinto entrambi gli appelli.

2.1.- Ha ritenuto infondato il primo motivo di appello dell’ A. perchè la perizia giurata del geom. F. descriveva una situazione di preteso pericolo occulto in relazione alle caratteristiche della pavimentazione della scala che non aveva alcuna valenza probatoria, risolvendosi in una mera difesa tecnica;

peraltro secondo lo stesso tecnico di parte, tale pericolo sarebbe sussistito solo nel periodo autunno – inverno nell’ambito del quale non poteva certo comprendersi il (OMISSIS), in cui avvenne il sinistro, caratterizzato da sole battente e da luce diurna; nè si poteva sottovalutare la dichiarazione della stessa A. in data 12/01/2002, mai dalla stessa disconosciuta, in cui l’incidente veniva descritto come causato da una banale scivolata spontanea, cioè da un errore di camminata con conseguente perdita di appoggio dal piede; il che aveva il valore di confessione ed escludeva, in radice, ogni nesso di causalità tra le caratteristiche della scala, peraltro ben conosciuta dalla A. che da tempo abitava l’immobile, e l’evento di danno.

2.2.- Ha considerato infondato anche il secondo motivo di appello, non comprendendosi perchè la perizia di parte per l’attrice avrebbe dovuto costituire costituire fonte di prova, mentre il giudice non avrebbe potuto attingere elementi utili al suo convincimento da quella della parte avversa.

2.3.- Ha detto infondati anche il terzo ed il quarto motivo, essendo stata proprio l’attrice nella citazione (p. 4. righe 1 e 2) a dedurre che la scala era "bagnata": di qui l’eventuale legittimazione passiva del P., quale conduttore; inoltre, visto che l’incidente avvenne in pieno sole, a bagnare la scala non avrebbe potuto essere stato che il conduttore o la stessa A. o altro loro familiare, non certo la B. che abitava altrove; anche tale circostanza, dedotta dall’attrice e poi negata in appello evidenziava la contraddittorietà delle argomentazioni della parte istante sulla possibile causa dell’incidente; comunque, era certo che era inapplicabile nella specie l’art. 2051 c.c., perchè, attesa l’esistenza ed il tenore del contratto di locazione tra la locatrice B. ed il conduttore P., la custodia l’aveva esclusivamente, il conduttore, non la B.; peraltro, non v’era prova, come innanzi affermato, del nesso causale tra le condizioni della scala e l’evento di danno. Nè poteva ricorrere l’insidia ex art. 2043 c.c., perchè l’incidente avvenne il (OMISSIS) in piena luce diurna. in un immobile perfettamente conosciuto dalla A. che da tempo vi abitava; difettavano, invero, nella specie, il requisito oggettivo della invisibilità e quello soggettivo della imprevedibilità del preteso pericolo occulto.

2.4.- Anche il quinto motivo di appello è stato ritenuto privo di pregio; la chiamata in causa dell’Unipol da parte della convenuta B., per essere da questa manlevata, era stata provocata dalla pretesa attorca. dimostratasi, palesemente infondata. Sicchè correttamente l’attrice era stata gravata delle spese processuali a favore della terza chiamata.

2.5.- Le richieste di C.T.U. sulle caratteristiche della scala e di ammissione di prove orali andavano secondo la corte territoriale disattese, in quanto inutili e defatigatorie.

2.6.- Pure il primo motivo di appello del P. è stato ritenuto infondato: nella procura alle liti, contenuta nella comparsa di risposta in primo grado, la B., tra l’altro ebbe a conferire mandato ai suoi legali per chiamare terzi in causa; non occorreva, quindi, un mandato ad hoc per la chiamata in causa del P., in quanto contro di lui non fu esperita alcuna azione fondata su di un titolo autonomo, ma un’azione chiaramente riconducibile e connessa con l’oggetto originario della vertenza.

Nel merito, il P. aveva riproposto gli stessi motivi già dedotti dalla A., rigettati dalla Corte territoriale con le motivazioni sopra esposte.

3.- Ricorrono per cassazione il P., sulla base di sette motivi e l’ A. sulla base di nove; rispetto a ciascuno dei due ricorsi resistono con distinti controricorsi la B. e la sua assicuratrice UNIPOL, ciascuno dei quali ha prodotto anche memoria ex art. 378 c.p.c..

La pronuncia riguarda i ricorsi riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza.

Vanno esaminate per prime le censure contenute nel ricorso principale del P., che è il primo dei due.

Sono mosse le censure qui di seguito esposte.

3.1.- NULLITA’ DELLA SENTENZA EX ART. 360 c.p.c., n. 4 VIZIO DI OMESSA PRONUNCIA, ex art. 112 c.p.c. SU UNA DOMANDA FORMULATA ESPRESSAMENTE DAL PREDETTO NEL PRIMO MOTIVO DI APPELLO, con il quale chiese alla Corte d’Appello di dichiarare che la sentenza emessa all’esito del giudizio di primo grado era "nulla", in quanto il Giudice di prime cure aveva omesso "totalmente" di pronunziarsi e decidere sulla domanda che il medesimo aveva formulato, in via principale, nell’ambito del primo grado del giudizio – di "nullità" dell’atto con il quale era stato chiamato in causa da B.E., per mancanza di "procura ad litem" da questa conferita ai propri difensori. La Corte, invece, con la sentenza impugnata, ha, a sua volta, "omesso" "totalmente" di pronunziarsi e decidere in ordine all’innanzi specificato "1^ motivo d’appellò ed alla domanda ad esso conseguente formulata dal P., in via principale, nell’ambito del giudizio di secondo grado – concretando una "grave" violazione del principio del "giusto processo" sancito dall’art. 111 Cost. che implica, necessariamente, il rispetto da parte de Giudice della legge e del principio della "corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato", in ragione del quale, secondo quanto stabilito dall’art. 112 c.p.c., "il Giudice deve pronunciare su tutta la domanda …". 3.2.- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE, ex art. 360 c.p.c., n. 3 DEI PRINCIPI CHE REGOLANO I POTERI DEL DIFENSORE AD LITEM, ex art. 84 c.p.c., NELL’IPOTESI IN CUI QUESTI, RICEVUTO MANDATO DA UN SOGGETTO CONTRO IL QUALE STATA PROMOSSA UN’AZIONE ex art. 2043 c.c., INTENDA CHIAMARE IN CAUSA UN THRZO CONTRO IL QUALE PROMUOVERE AZIONE ex art. 2051 c.c.. ALLA LUCE DELLA "DIVERSITA’" DEGLI ELEMENTI COSTITUTIV DI CIASCUNA DI TALE AZIONE. La B. – citata dalla A. innanzi al Tribunale di Modena – chiamò, a sua volta, in causa, il P. perchè fosse invece dichiarata la responsabilità di quest’ultimo, ex art. 2051 c.c..

Il P., rilevato che: a. l’"atto di citazione per la chiamata in causa di terzo" notificatagli dalla B. non conteneva la procura ad lilem da questa conferita ai propri difensori; b. la procura rilasciata dalla B. per la causa N. 56821C102 R. G. del Tribunale di Modena promossa dalla A. e avente per "oggetto" il "risarcimento dei danni" (da questa patiti a causa di una caduta nell’utilizzo di scala di immobile di proprietà della B. caratterizzata da vizi e difetti) e come "causa petendi" la "responsabilità ex art. 2043 c.c. fu conferita – come risulta dal suo testo che di seguito si trascrive per la parte che qui interessa perchè fosse "rappresentata e difesa … nel … procedimento …" specificato nella prima pagina della "comparsa di costituzione … " al cui margine fu apposta la delega e, quindi, "solo" ed "esclusivamente" per la predetta causa, caratterizzata dal " petitum" e dalla "causa petendi" azionata dal l’attrice, non per "altra" e "diversa" causa da promuovere contro "terzo" e per "altra" domanda e "diverso" titolo; c. la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte ha significato che "il difensore munito di procura per una determinata controversia "non può in base ad essa effettuare la chiamata in causa di un terzo, "ove ciò implichi l’introduzione di un rapporto diverso "rispetto alla causa principale", ne eccepì la "nullità". Il Tribunale, tuttavia, omise di pronunziarsi su tale domanda di "nullità" dell’"Atto di citazione per la chiamata in causa di terzo", cosicchè il P. fu costretto a proporre appello, onde denunzi are, con apposito motivo, detta omissione. La Corte d’Appello, invece, ha statuito che il primo motivo d’appello del P. era infondato in quanto, nella procura alle liti, contenuta nella comparsa di risposta in primo grado, la B., tra l’altro, ebbe a conferire mandato ai suoi legali per chiamare i terzi in causa; non occorreva, quindi, un mandato ad hoc per la chiamata in causa del P., in quanto contro di lui "non fu esperita alcuna azione fondata su di un titolo autonomo". La Corte territoriale avrebbe così violato: a. il principio del "giusto processo" sancito dall’art. 111 Cost., in quanto questo deve essere instaurato tra le "parti giuste" individuate in ragione della domanda proposta (petitum) e della relativa causa petendi. rappresentate e difese da esercente la professione forense munito di procura inerente al rispettivo giudizio individuato dalle parti originarie, dal "petitum" originario e dalla "causa petendi" relativa, cosicchè la procura inerente a detto giudizio non poteva ritenersi estesa ad "altro giudizio" anche connesso promosso tra "altre" parti, concernente un "diverso" petitum ed una "diversa" causa petendi; b. i principi che disciplinano i poteri del difensore che, ricevuto "mandato ad litem" da un soggetto contro il quale è stata promossa un’azione ex art. 2043 c.c., intenda, in nome ed interesse di quel medesimo soggetto, citare o chiamare in causa un terzo per proporre contro questi un’azione ex art. 2051 c.c. alla luce della diversità degli elementi costitutivi di ciascuna di tali azioni; c. decidendo, la relativa questione di diritto, in modo difforme dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha risolto la questione statuendo che "l’azione di cui all’art. 2051 c.c. (responsabilità da cose in custodia) … è stata ritenuta domanda nuova "rispetto a quella proposta ex art. 2043 c.c., per essere diversa "la causa petendi (Cass. 07/08/2001 n. 10893; 16.01.2006, n. 726) e. in ragione di tale consolidata giurisprudenza, ha altresì affermato che la procura conferita per resistere alla domanda attrice … non abilita il difensore del convenuto a chiamare in causa un terzo anche per esperire contro detto terzo azioni fondate su un titolo "autonomo e distinto, implicando un’estensione dell’ambito della lite" (Cass. 17.05.1986 N. 3274: conf.. 14.04.1984 N. 2415; 31.01.1983 N. 849;

26.07.2005 n. 15619; 07.04.2000 N. 4356; 07.02.1995 N. 1393).

3.2.1.- I primi due motivi proposti nel ricorso del P. – che possono trattarsi congiuntamente avendo ad oggetto, sia pure sotto profili diversi, la medesima questione – si rivelano privi di pregio.

Il primo motivo di appello del P. è stato ritenuto infondato dalla Corte territoriale perchè nella procura alle liti contenuta nella comparsa di risposta in primo grado la B., tra l’altro, ebbe a conferire mandato ai suoi legali per chiamare terzi in causa;

non occorreva, quindi. un mandato ad hoc per la chiamata in causa del P., in quanto contro di lui non fu esperita alcuna azione fondata su di un titolo autonomo, ma un’azione chiaramente riconducibile e connessa con l’oggetto originario della vertenza.

Sulla scorta di tale motivazione, è da escludere che sussista la nullità dedotta nel primo motivo del ricorso per cassazione, dato che anche se non si è esplicitamente pronunciata sul primo motivo di appello, la Corte territoriale ha implicitamente deciso in ordine all’asserita nullità dell’originario atto di chiamata in causa del P., per mancanza di idonea procura da parte della B..

Infatti, nel risolvere nel senso della validità del mandato la questione giuridica, la Corte ha – sia pure non espressamente – respinto la relativa questione processuale concernente l’asserita nullità dell’atto di chiamata cui l’indicata procura accedeva. Del resto, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile – come nella specie – con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia sul punto (Cass. n. 16788/2006; 5351 e 10696/2007; 20311/2011).

3.2.2.- Anche il secondo motivo non può essere accolto. Esso nonostante l’analitica trattazione, risulta formulato in violazione dei canoni di autosufficienza del ricorso per cassazione, perchè non sono riportati in esso – rispetto ad una censura proposta solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, non già del n. 4 dello stesso articolo, che avrebbe consentito a questa Corte l’esame diretto degli atti – nè il contenuto delle pertinenti richieste (comparsa di risposta con istanza di autorizzazione alla chiamata, decisione del giudice e relative verbalizzazioni; atto di chiamata) della B., nè il tenore della procura originariamente rilasciata da questa al proprio patrono, non potendosi ritenere sufficiente il brano dell’atto di chiamata del terzo in causa riportato a pag. 28 del ricorso. Senza contare che, di fronte alla riportata statuizione della Corte territoriale, il P. non avrebbe dovuto limitarsi a riproporre le tesi disattese in appello, ma avrebbe dovuto specificamente impugnare le argomentazioni relative alla legittimità dell’originario mandato della B., ove si tenga presente che, secondo consolidati principi per la chiamata in causa di un terzo a titolo di garanzia impropria non è necessaria una nuova procura, in calce o a margine della citazione in chiamata, se dall’atto contenente la procura originaria risulti la chiara espressione di volontà della parte di autorizzare il difensore alla chiamata in garanzia impropria, come quando, essendo manifestata tale volontà nella comparsa di risposta, a margine o in calce della quale sia apposta la procura, deve considerarsi implicitamente conferita al difensore la procura per chiamare il terzo in giudizio a titolo di garanzia impropria (Cass. 20825/2009; 10501/2009; 12241/2007; nonchè 12672/2001, secondo cui la procura alle liti conferisce al difensore il potere di proporre tutte le domande che non eccedano l’ambito della lite originaria, con la conseguenza che è nella facoltà del procuratore del convenuto di chiamare in causa un terzo, quale esclusivo o quantomeno concorrente responsabile di quanto dedotto dall’attore, onde sollevare il convenuto stesso dall’eventuale soccombenza nei confronti di parte attrice).

3.3.- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE. EX ART. 360 c.p.c., n. 3, DEI PRINCIPI CHE INDIVIDUANO E REGOLANO GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA COSA GIUDICATA, ex art. 324 c.p.c..

La B., nel corso del giudizio di primo grado, con "Atto di citazione per la chiamata in causa dei terzi" notificato il 18.02.2003, citò in giudizio il P. in qualità di "terzo" – onde far accertare che doveva essere applicata nei confronti di quest’ultimo la norma di cui all’art. 2051 c.c. e sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni che l’ A. aveva, invece, richiesto esclusivamente alla predetta B., in applicazione della norma di cui all’art. 2043 c.c., a causa di una caduta riportata per vizi e difetti occulti presenti sovra alla scala d’accesso dell’abitazione di proprietà della medesima B..

Il Tribunale – contrariamente a quanto richiesto dalla B. – statuì che neppure poteva, concorrentemente od alternativamente parlarsi di situazione tale da comportare l’applicazione dell’art. 2051 c.c. (sentenza di 1^ grado pag. 2, righi nn. 31 e 32). Il P. nell’atto di appello chiese espressamente di "confermare il capo della sentenza in cui veniva dichiarato che nel caso di specie non poteva essere applicato l’art. 2051 c.c." (pag. 14, righi n. 21 – 22, atto di appello) e, d’altro canto, la B. omise di proporre specifico appello incidentale avverso questo capo della sentenza, cosicchè su di esso venne a "formarsi il giudicato" (p. 7-9 comparsa costituzione e risposta B.). La Corte d’Appello, invece, ha riesaminato il predetto capo della sentenza – coperto ormai da giudicato – violando palesemente i principi che regolamentano la formazione del "giudicato interno" ex art. 324 c.p.c., decidendo, conseguentemente, la questione di diritto sopra enunciata in modo difforme dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha risolto la questione statuendo che il giudicato interno può formarsi solo su un capo non impugnato della decisione, capace di comportare una parziale soccombenza della parte con conseguente necessità della relativa impugnazione; che costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolva una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, si da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente". Fermo questo principio, va osservato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte … l’azione di cui all’art. 2051 c.c. (responsabilità di cose da custodia) … è stata ritenuta domanda nuova rispetto a quella proposta ex art. 2043 c.c. per essere diversa la causa petendi (Cass. 07/08/2001, n. 10893, richiamata da Cass. n. 726/2006).

3.4.- NULLITA’ DELLA SENTENZA ex art. 360 c.p.c., n. 4, PER VIZIO DI EXTRAPETIZIONE. Premessa la stessa vicenda processuale che è alla base del precedente terzo motivo del presente ricorso, il P. lamenta che il giudice di appello, stante il mancato appello della B. sul punto, avrebbe "illegittimamente" riesaminato la questione inerente l’accertamento della propria responsabilità ex art. 2051 c.c., violando i principi regolatori del giusto processo, sancito dall’art. 111 Cost., che implica, necessariamente, il rispetto da parte del Giudice della legge e de principio della "corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato", in ragione del quale, secondo quanto previsto dall’art. 112 c.p.c., "il Giudice deve pronunciare su … la domanda e non oltre i limiti di essa". 3.4.1.- Anche il terzo ed il quarto motivo – che possono trattarsi congiuntamente data l’intima connessione, avendo ad oggetto, sotto diverso profilo, la medesima questione – si rivelano privi di pregio.

Invero, sull’asserito rigetto in primo grado dell’istanza della B., di riconoscimento della responsabilità del P. ex art. 2051 c.c. (a prescindere dalla mancata autosufficienza del ricorso per cassazione sul punto, non essendo riportata integralmente la decisione del Tribunale al riguardo, nè i rilevanti atti difensivi della B.) non può ritenersi formato il giudicato in quanto, anche ove il medesimo dovesse essere considerato una statuizione autonoma, comunque non vi sarebbe stata per la B., parte vittoriosa, l’onere di specifica riproposizione con appello incidentale (in argomento, v., tra le altre. Cass. n. 13082/2007;

18169/2004). Ne deriva, per quanto concerne il quarto motivo, che non sarebbe incorsa in violazione del divieto di corrispondenza tra il chiesto ed pronuncialo la Corte territoriale ove si fosse pronunziata (ma anche in relazione a tale censura il ricorso non è autosufficiente) sull’indicata questione.

3.5.- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ex art 360 c.p.c., n. 3 DEL PRINCIPIO DELLA SOCCOMBENZA DI CUI all’art. 91 c.p.c..

La Corte territoriale – pur argomentando diversamente dal Giudice di prime cure – ha similmente statuito che "nella fattispecie è inapplicabile l’art. 2051 c.c." – per il quale "unico" ed "esclusivo" motivo era stato chiamato in causa, in qualità di terzo, dalla B. – e nonostante che, in conseguenza di ciò, aveva implicitamente rigettato totalmente la domanda spiegata dalla stessa nei confronti del P. – con conseguente vittoria di quest’ultimo in ordine alla domanda contro di lui spiegata dalla predetta B. – lo ha condannato in solido alla A. a rifondere a B.E. e alla Unipol, le spese processuali di secondo grado violando, così, palesemente i principi che regolano il carico delle spese processuali per il caso della soccombenza ex art. 91 c.p.c. ed i principi individuati ed affermati, in materia, da questa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata, che ha statuito che lo scrutinio della soccombenza va compiuto in considerazione del risultato finale della lite globalmente considerato e non all’esito riferito a ciascun eventuale capo di domanda, precisando che "in materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con particolare diretto riferimento all’esito finale della lite, sicchè è totalmente vittoriosa la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta a nulla rilevando che siano state disattese eccezioni di carattere processuale giacche in tale ipotesi il comportamento processuale … non può far ritenere soccombente chi esce vittorioso dalla lite" CASS., 05.04.2003 N. 5373; Conf. 26.06.1981 N. 4148; 08.01.2001 N. 197. Non essendo stata accolta l’unica domanda formulata dalla B. nei confronti del P. (per responsabilità ex art. 2051 c.c.), questi non avrebbe potuto essere condannato al pagamento delle spese di lite avversarie.

3.5.1.- La censura è infondata.

Premesso che nel rapporto tra la B. ed il P., la valutazione della soccombenza deve essere effettuata tenendo conto che, nell’ambito dello stesso, è stata ritenuta infondata la tesi dell’invalidità della procura per la chiamata in causa del P. stesso e, circa il merito della pretesa, che la custodia del bene, tenuto conto delle clausole contrattuali, l’aveva esclusivamente il conduttore P., si può affermare che la Corte territoriale non ha. con la condanna del P. alle spese nei confronti della B., perpetrato la violazione del principio del carico delle spese processuali secondo il criterio della soccombenza. Sulla base delle indicate circostanze, infatti, va escluso che la chiamata in garanzia in questione potesse considerarsi palesemente infondata ed arbitraria (Cass. n. 8363/2010; 5027/2008; 12301/2005).

3.6.- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE, ex art. 360 cp.c., n. 3, DEL PRINCIPIO DELLA SOCCOMBENZA, ex art. 91 c.p.c., NELL’IPOTESI DI CAUSE RIUNITE. Il P. propose specifico appello avverso la sentenza di primo grado, formulando i propri motivi d’appello "esclusivamente" nei confronti della B., alla quale "unicamente" notificò il proprio "atto di appello". In seguito a quanto detto innanzi, nel ruolo generale degli affari civili contenziosi della Corte d’Appello di Bologna al n. 1280105 R.G. fu iscritto l’appello proposto dal P. contro la B., questa, con " comparsa di costituzione e risposta .. ", si costituì nella predetta causa N. 1280105 R.G. Corte Appello Bologna richiedendo a questa ed ottenendo: a. ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti della A. e della UNIPOL; b. la riunione della predetta causa a quella N. 1279105 R. G. della medesima Corte, che era stata, medio tempore, promossa dalla A. contro la B. UNIPOL e lo stesso P., avverso la stessa sentenza di primo grado, con motivi d’appello, però, "diversi" e "distinti" da quelli proposti dal P. con il proprio "atto di … appello .". La Corte territoriale, all’esito delle cause riunite, avrebbe "illegittimamente" condannato il P. a rifondere alla Unipol "le spese processuali del … grado, dal momento che lo stesso, come specificato innanzi, non aveva proposto alcun motivo d’impugnazione contro la UNIPOL, ma era "venuto in contatto" con quest’ultima: a. in ragione di specifica istanza della B.; b. in quanto la causa N. 1280105 R.G. della Corte d’Appello di Bologna, – promossa dal P. "esclusivamente" contro la B. – era stata, ad istanza di questa, riunita alla causa N. 1279105 R.G. della stessa Corte, promossa dalla A. contro la B., UNIPOL e lo stesso P.. La Corte d’Appello, pertanto, con la statuizione di cui innanzi, avrebbe violato i principi che regolano la soccombenza, ex art. 91 c.p.c., nell’ipotesi di cause riunite, decidendo la questione di diritto sopra enunciata in modo difforme dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha risolto la questione statuendo che: "il provvedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi, e non pregiudica la sorte delle singole azioni; pertanto, la loro congiunta trattazione lascia integra la loro identità, tanto che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise; conseguentemente la liquidazione "delle spese giudiziali va operata in relazione ad ogni singolo giudizio, posto che solo in riferimento alle singole domande è possibile accertare la soccombenza, non potendo essere coinvolte in quest’ultima soggetti che non sono parti in causa" CASS. 12.06.2001. N. 7908. Conf.:

13.07.2006, N. 15954; 08.01.2001, N. 1971. 3.6.1.- Anche questa censura non merita di essere accolta. Non sussiste, infatti, violazione del principio della soccombenza neanche nel rapporto processuale tra il P. e l’Unipol. Il primo – sia in primo grado che in appello – ha espressamente sostenuto le domande e le ragioni dell’ A., assumendo un’attiva posizione di contrasto nei confronti della B.. Così decidendo, la Corte territoriale ha fatto buon governo del principio secondo cui è soccombente rispetto alla parte vincitrice e può perciò essere condannata al rimborso delle spese del processo, non solo la parte che propone domande, ma anche quella che interviene nel processo per sostenere le ragioni di una parte o che, chiamata nel processo da una delle parti, ne sostiene- come nella specie – le ragioni contro l’altra (Cass. n. 4213/2007; 6889/1997, in motivazione; v. anche Cass. n. 4430/1999 e n. 5408/1999. in motivazione). Senza contare che, nella specie, non può essere applicato il pur corretto principio dell’autonomia dei processi riuniti anche rispetto alla pronuncia sulle spese, in quanto la partecipazione dell’Unipol al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale (Cass. n. 5027/2008). In ogni caso, anche nel suo autonomo appello il P. ha dato luogo – con le proprie richieste rivelatesi infondate – al giudizio nel quale è stato legittimamente coinvolta l’Unipol: egli ha esplicitamente dedotto l’esclusiva responsabilità della B., così concorrendo con l’ A. ad indurre la B. medesima a riproporre in appello la domanda di manleva nei confronti della Unipol.

3.7.- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DELL’"UNICITA’" DEL COMPENSO DEL DIFENSORE CHE ASSISTE E DIFENDE PIU’ PARTI AVENTI LA STESSA POSIZIONE PROCESSUALE SECONDO QUANTO STABILITO D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 5.

La B. e la UNIPOL si sono costituite nel giudizio innanzi a alla Corte d’Appello di Bologna con il ministero dello stesso difensore ossia lo STUDIO LEGALE ASSOCIATO TREVISI – BORSARI – LEARDINI – pur se "apparentemente" gli atti appaiono sottoscritti da Avvocati "diversi", questi risultano, invero, essere i titolari del predetto medesimo STUDIO ASSOCIATO – che per entrambe le parti ha spiegato l’identica difesa. Quanto specificato innanzi risulta: 1. dalla mera lettura di tutti gli atti difensivi redatti per entrambe le parti depositati nel giudizio d’appello dal predetto STUDIO: 2. dai timbri apposti sia sugli atti predisposti per la B. che per quelli predisposti per UNIPOL, dai quali si rileva che originano tutti testualmente – dallo stesso "STUDIO LEGALE ASSOCIATO TRAVISI BORSARI LEARDINI"; 3) dal rapporto di trasmissione impresso sia sugli atti predisposti per la B. che su quelli predisposti per UNIPOL e trasmessi, via fax Nonostante ciò, la Corte d’Appello ha condannato l’ A. a rifondere al difensore di B.E. … nonchè al difensore della Unipol le spese processuali del … grado … liquidate con due "distinte" note ovvero nella misura di Euro 4.440,00 per la B. … e nella misura di Euro 3.920,00 per la Compagnia. La Corte territoriale ha, pertanto, palesemente violato il D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 5 che prevede che spetta un compenso unico per il difensore che assiste e difende nello stesso giudizio più parti aventi la stessa posizione processuale, formulando per tutte una stessa identica difesa, decidendo, pertanto, la questione di diritto sopra enunciata in modo difforme dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha risolto la questione, statuendo che: l’art. 5 della tariffa forense … prevede, in favore del professionista "che abbia assistito e difeso più parti con la medesima posizione "processuale, un’unica parcella, aumentabile del venti per cento "per ogni parte (fino a sei) … gli stessi criteri debbono presiedere "alla liquidazione, a carico del soccombente, del compenso spettante al difensore di più parti vittoriose con identica situazione processuale, in base al principio generate "secondo il quale il soccombente medesimo non può essere tenuto a rimborsare alla parte vittoriosa più di quanto questa debba al difensore, in relazione all’attività "concretamente svolta" (Cass. 07.12.1976, N. 4563); nonchè n. 2961/83: 17354/023. 3.7.1.- Questa censura – così come quella identica proposta dall’ A. nel nono motivo del proprio ricorso – non merita di essere accolta. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, la fattispecie non riguarda il caso di un unico avvocato che difenda più parti, contemplata dall’art. 5, D.M. citato, bensì quello di avvocati diversi che difendono parti diverse, sia pure con comunanza di argomenti, trattandosi del preteso responsabile e della sua compagnia d’assicurazione. L’appartenenza dei due diversi difensori delle due parti ad un medesimo studio legale associato non può integrare l’ipotesi, individuata da detta norma, dell’unicità della difesa di più parti ad opera di un medesimo difensore, dovendosi ribadire che, nel caso di associazione professionale, vertendosi in materia di professioni cosiddette "protette", caratterizzate dalla natura strettamente personale della prestazione offerta e fornita dal professionista. non è possibile presumere o ritenere che il mandato conferito dal cliente al singolo professionista si estenda a tutti i professionisti dello studio associato, alla stregua di un mandato conferito agli stessi impersonalmente e collettivamente (Cass. n. 11922/2000). Il carattere personale della prestazione e del relativo rapporto induce ad escludere la configurabilità dell’unicità della difesa. Senza contare che la posizione processuale della B. non era pienamente corrispondente a quella dell’Unipol. dovendosi anche difendere dall’eccezione di nullità della chiamata in causa per invalidità della procura; la coincidenza di buona parte delle argomentazioni articolate dai difensori diversi non assume rilievo secondo l’art. 5, D.M. citato, nè può essere invocato come motivo di contenimento della parcella dell’uno o dell’altro difensore.

4.- Vanno ora presi in esame i motivi formulati nel ricorso incidentale dell’ A. come di seguito dedotti.

4.1.- VIZIO DI OMESSA E/O INSUFFICIENTE E/O CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE ex art. 360 c.p.c., n. 5, PER OMESSA LETTURA, ESAME E VALUTAZIONE DELLA "RELAZIONE DI CONSULENZA TECNICA" GIURATA DAL GEOM. F.F. IN DATA 26.11.2001. NONCHE’ OMESSA VISIONE, ESAME E VALUTAZIONE DELLE FOTOGRAFIE ALLEGATEALLA PREDETTA "RELAZIONE".

L’ A. ebbe a promuovere contro la B. apposita azione onde ottenere da questa il risarcimento di tutti i danni che aveva patito a causa di una caduta occorsale sulla scala che serviva per accedere all’immobile di proprietà di detta B.E. a causa ed in ragione di asseriti vizi e difetti sussistenti su tale scala, costituita da una doppia rampa, inframmezzata da un pianerottolo.

Ella corredò la domanda dai documenti che fornivano la prova dei predetti vizi e difetti, producendo tra gli altri anche la "RELAZIONE DI CONSULENZA TECNICA" giurata dal Geom. F.F. in data 26.11.2001 e N. 4 fotografie alla stessa allegate – riproducesti la scala – tutte documentanti, in maniera precisa ed inequivocabile, che: A) la scala sulla quale era scivolata presentava i seguenti vizi e difetti: A.1. il pianerottolo era costituito da pavimento in gres con finitura "liscia" e "scivolosa" a differenza delle pedate degli scalini, che erano, invece, costituite da pavimento in cemento prefabbricato con finitura martellinata ed "antiscivolo"; A.2. la predetta differenza di finitura del materiale costituente le pedate degli scalini (con finitura martellinata ed "antiscivolo") e del materiale costituente il pianerottolo costituito da pavimento in gres con finitura "liscia" e " scivolosa" non era percepibile ad occhio nudo anche in presenza di illuminazione ed in piena luce del sole in quanto entrambi i materiali erano dello "stesso colore" e non lasciavano, pertanto, assolutamente intuire che fossero "differenti" quanto ad "aderenza" e "scivolosità"; A.3. in prossimità del pianerottolo – ossia ali1 altezza del penultimo scalino – il corrimano si interrompeva improvvisamente; A.4. nel passaggio dal pianerottolo alle successive pedate degli scalini insistenti sull’ultima rampa della scala, l’inversione, cui si era tenuti per intraprenderla e percorrerla, induceva il piede d’appoggio a "scivolare – stante, appunto, la particolare "scivolosità" del pavimento del pianerottolo che inframmezzava le due rampe della scala – nè vi era la possibilità di appoggiarsi al corrimano, in quanto questo, come detto innanzi, si interrompeva all’altezza del penultimo gradino; B) i vizi e difetti di cui sub A erano "invisibili", in quanto: B.1. il colore della pavimentazione delle pedate degli scalini era uguale a quello della pavimentazione del pianerottolo e, pertanto non consentiva di percepire a occhio nudo e in piena luce del sole che la pavimentazione del pianerottolo era, in realtà, scivolosa, perchè costituita in grès con finitura liscia, a differenza della pavimentazione degli scalini che. invece, era antisdruciolo, perchè costituita in cemento prefabbricato con finitura antisdruciolo; B.2. il corrimano era visibile, in quanto mancandone soltanto un pezzettino, non era facilmente percepibile, anche alla luce del sole, nella visione d’insieme della scala stessa;

B.3. i vizi e difetti di cui innanzi sub A ed i "pericoli" a queste collegati erano "imprevedibili" in quanto: B.3.1. l’identico colore della pavimentazione degli scalini e del pianerottolo non consente di prevedere che quella del pianerottolo sia più scivolosa di quella degli scalini e che, conseguentemente, possa determinare cadute;

B.3.2. la pericolosità della mancanza del pezzettino di corrimano in prossimità del pianerottolo può essere appurata unicamente in caso di caduta ossia nel caso in cui si allunga la mano per prenderlo e sorreggersi e non lo si trova. La Corte d’Appello di Bologna, invece, dopo aver trattato e definito la fattispecie quale responsabilità aquiliana, facendo, tra l’altro, riferimento anche al concetto di insidia o trabocchetto ed ai requisiti della imprevedibilità e non visibilità del pericolo, valutati "inadeguatamente" e/o "omesso" totalmente e/o parzialmente l’esame di: a) " RELAZIONE DI CONSULENZA TECNICA giurata dal Geom. F.F., in quanto, a suo avviso, detta "perizia giurata … "non ha alcuna valenza probatoria, risolvendosi "in una mera difesa tecnica"; b) N. 4 fotografie allegate alla predetta relazione, in quanto a queste non ha dedicalo neppure una parola, sottendendo che non le ha neppure viste ed esaminate; c) un punto decisivo della controversia, il cui esame ed esatto accertamento avrebbe portalo ad una corretta soluzione della lite, in quanto l’esame e l’esatto accertamento ed un’adeguata valutazione dei documenti di cui innanzi sub a) e sub b) avrebbero fornito la prova della "sussistenza" di vizi e difetti sulla scala, nonchè la prova della "invisibilità" ed imprevedibilità di questi, al fine di determinare l’accoglimento della richiesta di risarcimento dell’ A. ha "erroneamente" ed "illegittimamente" dichiarato che "nella fattispecie … non può … ragionarsi di insidia ex art. 2043 c.c. … Difettando nella specie, il requisito oggettivo della invisibilità e quello soggettivo della I’mprevedibilità del preteso pericolo occulto". In realtà, qualora la Corte d’Appello non avesse valutato inadeguatamente e/o totalmente trascurato le risultanze della predetta relazione di consulenza tecnica e non avesse totalmente omesso l’esame di tutte le fotografie allegate alla stessa, sarebbe giunta ad una decisione diversa da quella cui, invece, è pervenuta, in quanto avrebbe sicuramente rilevato dai predetti documenti tutto quanto già specificato innanzi sub A), B) e C) ed accolto, conseguentemente, la richiesta di risarcimento. La sentenza impugnata contrasterebbe, pertanto, con i principi regolatori del giusto processo, ex art. 111 Cast., che implica, necessariamente, il rispetto della legge da parte del giudice e, nel caso di specie, in particolare del principio sancito dall’art. 116 c.p.c., in ragione del quale "il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti" e contrasta, altresì, con il diritto della parte di ottenere una sentenza correttamente motivata.

4.2.- OMESSA E/O INSUFFICIENTE E/O CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE. ex art. 360 c.p.c., n. 5, PER OMESSA E INADEGUATA VALUTAZIONE DEL DOCUMENTO N. 2, PRODOTTO DALLA UNIPOL IN CALCE ALLA COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA DEL 28.04.2003, E/O ATTRIBUZIONE A DETTO DOCUMENTO DI UN SIGNIFICATO DEL TUTTO INCONCILIABILE CON IL SUO EFFETTIVO CONTENUTO. L’ A. ebbe a promuovere l’indicata azione risarcitoria nei confronti della B., la quale, ritenuto che nel caso di specie sussistesse, tra l’altro, la "responsabilità della Compagnia Assicuratrice Unipol" – con la quale aveva sottoscritto una polizza denominata "Abitazione civile"- citò in giudizio, in qualità di "terza chiamata", anche detta Compagnia, onde essere manlevata da quanto eventualmente fosse stata costretta a risarcire alla A. per la caduta di cui innanzi. La UNIPOL, nel costituirsi, produsse, tra gli altri documenti, anche la dichiarazione che l’ A. rese, successivamente al sinistro, in data 12.01.2001. ad un proprio perito di fiducia, con la quale quest’ultima dichiarava i vizi e difetti della scala e la dinamica del sinistro, come descritti nel proprio atto di citazione: 1. nello scendere la scala, giunta "ove è presente il pianerottolo, per la inversione … era scivolata con il piede di appoggio"; 2. al momento della caduta "non aveva potuto tenere "la mano sulla ringhiera in quanto questa era terminata "per il giro"; 3. "abitava da pochi giorni con .. suo marito nella casa ".. servita dalla scala de qua, di proprietà della B., cosicchè non conosceva bene lo stato dei luoghi; "i gradini della rampa sono grezzi … "il pianerottolo è (invece un normale pavimento di gres "monocottura liscio". La predetta dichiarazione, resa "serenamente" dalla A. il 12.01.2002 ad un perito di fiducia della UNIPOL, comprovava, pertanto, inequivocabilmente che: A) la scala sulla quale essa era scivolata presentava i vizi e difetti sotto indicati: il pianerottolo era costituito da pavimento in gres con finitura liscia scivolosa a differenza delle pedate degli scalini, che erano, invece, costituite da pavimento in cemento prefabbricato con finitura grezza antiscivolo; in prossimità del pianerottolo ossia all’altezza de penultimo scalino – il corrimano si interrompeva improvvisamente;

colui che scende gli scalini, insistenti sull’ultima rampa della scala, quando sopraggiunge al pianerottolo, che inframmezza l’altra rampa di scalini, per impegnare quest’altra rampa di scalini è costretto a fare un movimento disarmonico per il quale il pavimento in gres, con finitura "liscia" e "scivolosa" di tale pianerottolo,costituisce un’insidia e la mancanza di corrimano (che termina all’altezza del penultimo scalino),costituisce un’ulteriore insidia grave in quanto impedisce, al soggetto che scivola (sul pavimento del pianerottolo in gres con finitura liscia e scivolosa), di avere una presa, un appoggio, un sostegno, per evitare la caduta.

B) i vizi e difetti di cui innanzi sub A ed i "pericoli" a queste collegati erano "imprevedibili in quanto: 1) l’ A. si era trasferita da pochi giorni nell’abitazione perciò, non conosceva lo stato dei luoghi e, in particolare. In diversità di finitura del materiale che costituiva le pedate degli scalini con finitura "grezza" e "antiscivolo" e del materiale del pianerottolo costituito da gres con finitura "liscia" e, perciò, "scivolosa"; 2) la "pericolosità" della mancanza del pezzettino di corrimano in prossimità del pianerottolo poteva essere appurata unicamente in caso di caduta ossia nel caso in cui si allungasse la mano per prenderlo e sorreggersi e non lo si trovava. La Corte d’Appello, invece, dopo aver trattato e definito la fattispecie in esame quale responsabilità aquiliana, facendo, tra l’altro, riferimento anche al concetto di insidia o trabocchetto ed ai requisiti della imprevedibilità e non visibilità del pericolo, ha: asserito che non si poteva sottovalutare la dichiarazione della stessa A. in data 1210112002 … in cui l’incidente viene descritto "come causato, da una banale scivolata spontanea cioè da un errore di camminata, con conseguente perdita di appoggio del piede; il che esclude, in radice, ogni nesso di causalità tra le caratteristiche della scala, peraltro ben conosciuta dalla A. che da tempo abitava l’immobile "e l’evento, di danno", attribuendo alla dichiarazione un significato del tutto inconciliabile con il suo effettivo contenuto;

erroneamente interpretato un punto decisivo della controversia, atteso che l’attribuzione alla dichiarazione del suo esatto significato avrebbe determinato l’accoglimento della richiesta di danni. La sentenza impugnata, pertanto, contrasta con i principi regolatori dei giusto processo ossia con il diritto della parte di ottenere una sentenza correttamente motivata ex art. 111 Cost., comma 6. 4.3.- OMESSA E/O INSUFFICIENTE E/0 CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE ex art. 360 c.p.c., n. 5, PER TOTALE OMESSA VISIONE. LETTURA. ESAME, E VALUTAZIONE DEL DOCUMENTO N. 2 PRODOTTO DALLA A. IN PRIMO GRADO. L’ A. al momento della caduta avvenuta il (OMISSIS) non conosceva assolutamente lo stato dei luoghi e conseguentemente, le particolarità delle distinte parti della scala scalini (con elementi di cemento prefabbricati con finitura sulla superficie di calpestio delle pedate "martellinate" e "antisdruciolo"), pianerottolo (costituito da grès con "finitura liscia" e "scivolosa") e corrimano (non presente in corrispondenza del primo e dell’ultimo scalino delle rampe di scalini) sulla quale era caduta, essendosi trasferita, nell’abitazione servita dalla predetta scala, da appena cinque giorni ossia l'(OMISSIS). L’ A. documentò al giudice il giorno esatto in cui avvenne il trasferimento suo e del marito nell’immobile della B. (8.8.2001), producendo la fattura emessa dalla società di traslochi (doc. 2 indicato nell’atto introduttivo). La Corte territoriale avrebbe omesso totalmente di visionare, leggere, esaminare e, conseguentemente. valutare il predetto documento, poichè in sentenza, dopo aver trattato e definito la fattispecie in esame quale responsabilità aquiliana, facendo, tra l’ altro, riferimento anche al concetto di insidia o trabocchetto ed ai requisiti della imprevedibilità e non visibilità del pericolo, ha "erroneamente" ritenuto che le caratteristiche della scala fossero ben conosciute dall’ A. che da tempo abitava l’immobile e che non potesse "ragionarsi" d’insidia … perchè l’incidente avvenne il (OMISSIS) … in un immobile perfettamente conosciuto dalla predetta che da tempo vi abitava", escludendo, di fatto, il requisito soggettivo dell’imprevedibilità del danno sull’erronea supposizione – che l’istante si fosse ivi trasferita tanto tempo prima dell’accadimento del sinistro, anzichè considerare il contenuto della FATTURA di trasloco, che, invece, attesta inequivocabilmente che il trasferimento avvenne, in realtà, cinque giorni prima della caduta ovvero l'(OMISSIS). La Corte d’Appello ha concretato il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, poichè ha totalmente omesso di visionare, leggere, esaminare e valutare il documento in questione. Se lo avesse fatto, sarebbe pervenuta ad una decisione diversa, accertando che l’ A. si era trasferita da soli cinque giorni nell’abitazione della B., sicchè non poteva conoscere lo stato dei luoghi e le particolarità delle distinte parti della scala scalini (con elementi di cemento prefabbricati con finitura sulla superficie di calpestio delle pedate "martellinate" e "antisdruciolo"), pianerottolo (costituito da gres con "finitura liscia" e "scivolosa") e corrimano (non presente in corrispondenza del primo e dell’ultimo scalino delle rampe di scalini) e avrebbe accertato, conseguentemente che al momento della caduta di cui è causa sussisteva il requisito soggettivo dell1 imprevcdibilità dei vizi, difetti e pencoli di della scala, che avrebbe comportato l’accoglimento della richiesta di risarcimento dei danni (essendo il documento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo od estintivo del rapporto giuridico in contestazione, in modo da condurre a una pronunzia diversa. Sicchè, la Corte avrebbe concretato una "grave" violazione del principio del " giusto processo ", sancito dall’art. 111 della Cost., che implica che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti e contrasta altresì con il diritto della parte di ottenere una sentenza correttamente motivata.

4.4.- OMESSA E/O INSUFFICIENTE MOTIVAZIONE ex art. 360 c.p.c., n. 5 PER ILLOGICITA’ E DEFICIENZA DEL CRITERIO LOGICO UTILIZZATO DALLA CORTE TERRITORIALE SUL PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA RELATIVO AL REQUISITO DELL’IMPREVEDIBILITA’ DEL DANNO. Premessi il contenuto della documentazione, le circostanze di fatto e le argomentazioni di cui al precedente motivo, la ricorrente censura ulteriormente la statuizione relativa alla conoscenza dello stato dei luoghi attribuita all’ A., lamentando che nel ragionamento della Corte d’Appello si riscontra un’obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto quest’ultima al convincimento richiamato innanzi, in quanto detta Corte ha escluso, di fatto l’esistenza del requisito soggettivo dell’imprevedibilità del danno sul erronea supposizione che ristante si fosse "da tempo" trasferita nell’immobile e, pertanto, conoscesse le caratteristiche della scala.

Il ragionamento e le conclusioni della Corte territoriale contrasterebbero con quanto significato da questa Corte di Cassazione che, con giurisprudenza costante, ha affermato che "… la prevedibilità, da parte del danneggiato, "di un determinato pericolo deve essere fondata su circostanze "obiettive, ma non certo su una conoscenza – del tutto presunta – "dello stato dei luoghi … posti ad esempio nella zona di abitazione"del danneggiato" (Cass. 12.11.2009. N. 23939) e "la vicinanza tra il luogo di nascita e residenza"… ed il luogo dell’incidente costituisce un punto privo del requisito "della decisività in quanto non comporta necessariamente "che … il danneggiato al momento dell’incidente, "avesse recentemente "percorso quella strada centinaia di volte" "e dovesse quindi conoscere bene lo stato dei luoghi" (Cass., 30.09.2009. N. 20943). Nel caso di specie la Corte d’Appello: a) ha escluso l’esistenza del requisito della prevedibilità del pericolo, fondando il proprio convincimento non su circostanze obiettive, ma sulla presunzione di un’ipotetica conoscenza da parte della A. dello stato dei luoghi e delle caratteristiche della scala; b) ha escluso l’esistenza del requisito della prevedibilità del danno sul presupposto che la stessa si fosse "da tempo" trasferita nell’immobile e, pertanto, conoscesse le caratteristiche della scala, circostanza questa che costituisce un punto privo del requisito della decisività, in quanto – come specificato da codesta Suprema Corte – non significa che l’ A. avesse percorso quella scala "centinaia di volte" e dovesse, quindi, conoscere bene approfonditamente le caratteristiche; c) ha, comunque, omesso di considerare il contenuto del documento N. 2 prodotto dalla predetta, a corredo dell’ atto introduttivo attestante che ella non si era trasferita "da tempo" nell’immobile, ma soltanto cinque giorni prima della caduta. La sentenza impugnata ha concretato una "grave" violazione del principio del "giusto processo, sancito dall’art. 111 Cost., in quanto contrasta con il diritto della parte ad ottenere una sentenza correttamente e logicamente motivata.

4.4.1.- I primi quattro motivi del ricorso della A. possono essere trattati congiuntamente, proponendo tutti censure per vizi motivazionali relativi alla valutazione di risultanze processuali.

Essi si rivelano tutti privi di pregio, perchè le censure con essi svolte, considerate nel loro complesso, si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un’interpretazione dei documenti acquisiti e di una valutazione delle prove documentali diversa da quella operata dai giudici a qui bus con motivazione congrua e priva di errori logico-giuridici (Cass. n. 20140/2009).

La valutazione delle indicate risultanze rientra nell’attività istituzionalmente riservata al giudice di merito non sindacabile anch’essa in Cassazione, se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. n. 23286/2005;

6556/2004; 322/2003).

Invero, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati. Inoltre, le censure con cui una sentenza viene impugnata per vizio della motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze probatorio non possono essere intese a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e in particolare, non vi si può opporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5: in caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in un"inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di una nuova pronuncia sul fatto sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. n. 9233/2006).

Senza contare che: a. quanto al primo motivo, la C.T. di parte dell’ A. è stata considerata anche nei suoi contenuti, nella parte in cui la Corte territoriale si è riferita all’affermazione compresa nella stessa secondo cui il pericolo sarebbe sussistito solo nel periodo autunno – inverno, nel quale non poteva certo includersi il (OMISSIS), giorno in cui avvenne la caduta; b. il secondo motivo, essendo teso a censurare l’interpretazione della dichiarazione confessoria dell’ A., non tiene conto che l’interpretazione dell’atto unilaterale si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche (non indicate nella specie), sicchè non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della dichiarazione, operata dallo stesso giudice di merito, che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli elementi di latto già esaminati (Cass. n. 20168/2006; 8713/2004; 4147/2001); e. quanto al terzo ed al quarto motivo, il fatto controverso oggetto degli stessi manca del requisito della "decisività", perchè, come esattamente dedotto nei controricorsi, anche ove si volesse escludere il requisito della imprevedibilità dell’insidia (ritenendosi che l’ A. non potesse prevedere la pericolosità della scala, conoscendo solo da pochi giorni i luoghi) continuerebbe pur sempre a sussistere il requisito della visibilità dell’insidia medesima (sulla concorrente necessità dei due requisiti, Cass. n. 9092/2001:

21686 e 26997/2005), come correttamente accertato dalla Corte territoriale (ora di piena luce di un giorno d’estate) idoneo ad escludere la responsabilità della B. (e prescindendo anche dalla non attribuibilità a questa dello spargimento di acqua in loco). Per quanto concerne le censure riguardanti l’asserita violazione dell’art. 116 c.p.c. si rinvia a quanto verrà osservato in relazione al settimo motivo formulato dall’ A.; mentre, quanto alle assunte violazioni dell’art. 111 Cost., non risulta specificamente dedotta la carenza degli elementi caratterizzanti il diritto ad un giusto processo: contraddittorio, diritto di difesa, parità delle armi, imparzialità dell’organo giudicante, motivazione del provvedimento.

4.5.- FALSA APPLICAZIONE ex art. 360 c.p.c., n. 3, DEL PRINCIPIO DELLA RESPONSABILITA’ DEL PROPRIETARIO – LOCATORE, ex art. 2051 c.c., PER I DANNI CAGIONATI A TERZI DALLE STRUTTURA MURARIE DELL’IMMOBILE LOCATO, DELLE QUALI QUESTI CONSERVA LA DISPONIBILITA’ GIURIDICA E RESTA CUSTODE. Premessi il contenuto della documentazione (consulenza di parte attrice; dichiarazione dell’ A. all’Unipol e fattura impresa traslochi), le circostanze di fatto e le argomentazioni già riepilogate in ordine ai precedenti motivi, l’ A. deduce che fin dal primo grado addusse, tra l’altro, a conforto delle proprie ragioni, anche la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, che ha avuto modo di statuire che "il proprietario dell’immobile" locato, conservando la disponibilità giuridica, e quindi la custodia, "delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati … " su cui il conduttore non ha il potere – dovere di intervenire, "è responsabile, in via esclusiva … dei danni arrecati a terzi "da dette strutture ed impianti (Cass. S.U. 12019/1991). Il Giudice di prime cure ritenne infondata la domanda e l’interessata interpose appello: a) ribadendo che nel caso di specie sussisteva la responsabilità aquiliana della proprietaria – locatrice, B., in ragione del fatto che questa, come specificato dalla costante giurisprudenza di questa S.C., aveva mantenuto la disponibilità fisica e giuridica, totale ed esclusiva, della struttura muraria della scala, e doveva. pertanto, rispondere dei danni da questa cagionati a terzi, b) formulando, tra gli altri, specifico motivo d’appello (il 4. Per violazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 2043, reclius: art. 2051 c.c.) nell’ambito del quale addusse, a conforto di quanto specificato innanzi sub a), copiosa giurisprudenza di codesta Corte Ecc.ma, nonchè di merito, chiarificatrice della responsabilità del proprietario – locatore, avente la disponibilità fisica e giuridica, nonchè custode delle strutture murarie della scala esterna di accesso all’immobile locato per i danni da queste provocati a terzi. La Corte d’Appello, invece, con la sentenza impugnata, avrebbe erroneamente ed illegittimamente statuito che "è certo che, nella fattispecie è inapplicabile " l’art. 2051 c.c. perchè, attesa l’esistenza e il tenore del contratto "di locazione tra la B. locatrice ed il P. conduttore, "la custodia del bene l’aveva esclusivamente, il conduttore " P.M. e non la B.", così disattendendo e violando il principio della responsabilità, ex art. 2051 cod. civ., del proprietario – locatore per i danni cagionati a terzi: a) dalla scala esterna d’accesso ad un appartamento locato, la quale non rientra nella disponibilità fisica del conduttore, in quanto resta esterna all’appartamento stesso, e, conseguentemente, non comporta il dovere del conduttore di vigilarla e controllarla al fine di impedire che questa per il suo stato cagioni danni a terzi (Cass. 03.06.1976.

N. 1992); b) dalle strutture murarie dell’immobile locato, delle quali il locatore conserva la disponibilità fisica e giuridica e, pertanto, la responsabilità giuridica verso i terzi, che abbiano riportato dei danni a causa di queste, restandone "custode".

La Corte d’Appello avrebbe deciso la predetta questione di diritto in modo difforme dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha risolto la questione statuendo: a. che "in ipotesi di locazione di un appartamento "in un edificio, il conduttore ha … la disponibilità fisica "totale ed esclusiva, dell’appartamento a lui locato, "ma non anche quella della scala dell’edificio che da accesso "all’appartamento e che è esterna a questo. "Nella locazione è compreso il diritto di usare la scala esterna "per accedere all’appartamento locato; "ma si tratta di un diritto di uso "che non ha l’estensione e l’intensità del diritto di godimento "avente per oggetto l’appartamento, non investe la scala "totalmente e con carattere di esclusività. Diritto di uso, "dunque, che, non traducendosi in una disponibilità fisica totale "ed esclusiva da parte del conduttore, non comporta il dovere "di quest’ ultimo di vigilare e controllare la scala "al fine di impedire che questa, per il suo stato, cagioni danni "a terzi. "La custodia della scala, con il relativo dovere di vigilanza "e di controllo, spetta al locatore, il quale ha la disponibilità "fisica della scala medesima, limitata dal diritto di uso "spettante al conduttore; e perciò il locatore, e non già il "conduttore, è responsabile ex art. 2051 c.c. verso i terzi che "abbiano riportato danni a causa dello stato della scala" (Cass. n. 1992/1976); nonchè che "è giurisprudenza ormai costante di questa Corte "che ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. l’obbligo di custodia "e la relativa responsabilità verso i terzi danneggiati "non vengono meno per i proprietari degli immobili "concessi in locazione, essendo la temporanea sottrazione "di quei beni alla loro disponibilità affatto compatibile "con la permanenza in loro di un effettivo potere fisico "di controllo sull’ entità immobiliari, con conseguente obbligo "di vigilanza sullo stato di conservazione e sull1 efficienza "delle strutture edilizie e degli impianti … "Del resto, anche nella precedente giurisprudenza "si era avvertito che del danno derivato dalla cattiva "manutenzione di una scala esterna a un appartamento "d’abitazione e delle conseguenti lesioni riportate da una "persona caduta dalla scala stessa deve rispondere il locatore "dell’appartamento, quale titolare del potere di custodia "della scala stessa (Cass. n. 1992 del 1976, richiamata da Cass. n. 6407/1987; 1201/1991; 7578/1995; 4994 e 11321/1996; 2033/2004).

A tali insegnamenti giurisprudenziali si sarebbe dovuta uniformare la Corte d’Appello, atteso che la fattispecie oggetto del presente motivo sarebbe in tutto analoga a quella decisa da questa Corte nei precedenti sopra ricordati, con conseguente illegittimità delle contrarie statuizioni dell’impugnata sentenza.

4.5.1.- Anche questa censura non coglie nel segno. Essa, infatti. prescinde del tutto dall’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata. Assume, infatti, che questa avrebbe violato la disciplina della responsabilità del custode ( art. 2051 c.c.), senza considerare che la Corte territoriale ha escluso in radice la sussistenza di nesso causale tra la struttura dell’immobile della B. e l’evento dannoso dedotto dall’ A.. In particolare, il giudice di appello ha congruamente e correttamente escluso – una volta ritenuto l’evento attribuibile ad erronea "camminata" della danneggiata e la scivolosità dei gradini a cospargimento di acqua da parte della danneggiata stessa o di suoi familiari – l’applicabilità alla fattispecie sia dell’art. 2051 c.c., sia dell’art. 2043 c.c., con la conseguenza che la doglianza di cui al presente motivo non assume rilievo decisivo della controversia. Infatti, la responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c. entra in funzione solo ove la "cosa" in custodia presenti alterazioni o anomalie tali da poter di per sè giustificare il verificarsi di incidenti del genere di quello fatto valere dalla danneggiata. La prova dell’esistenza dell’alterazione o dell’anomalia è a carico del danneggiato, in quanto rappresenta la prova del nesso causale fra le condizioni del bene in custodia e l’evento (Cass. n. 26751/2009, in motivazione). Nella specie, come si è visto, è stata ritenuta l’assenza di nesso causale tra le condizioni del bene ed il danno, per fatto della stessa danneggiata, con conseguente irrilevanza della questione della responsabilità del preteso custode.

4.6.- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE, ex art. 360 c.p.c., n. 3, DEL PRINCIPIO DEL "NEMINEM LAEDERE" DI CUI ALL’art. 2043 c.c., INTERPRETATO E APPLICATO IN RAGIONE DI QUANTO SANCITO dall’art. 32 Cost., CUI E’ TENUTO IL LOCATORE NEI CONFRONTI DEL CONDUTTORE E DEI FAMILIARI DI QUESTO PER IL CASO DI LOCAZIONE DI IMMOBILE I CUI VIZI, SEBBENE CONOSCIUTI DAL CONDUTTORE ARRECHINO PREGIUDIZIO ALLA SALUTE DI QUEST’ULTIMO E DEI SUOI FAMILIARI. Premesso quanto illustrato nel precedente terzo motivo, la ricorrente lamenta che la Corte d’Appello ha statuito che "le caratteristiche della scala … erano ben conosciute "dall’ A. che da tempo abitava l’immobile .. e che non poteva ragionarsi di insidia … perchè l’ incidente "avvenne il (OMISSIS) … in un immobile che era "perfettamente conosciuto dall’ A. che da tempo vi abitava" e che, così facendo, detta Corte avrebbe anche, disapplicato il principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., interpretato e applicato in conformità a quanto sancito dall’art. 32 Cost., in ragione del quale il locatore è tenuto., nei confronti del conduttore e dei familiari di questo, a risarcire i danni da questi sofferti alla salute, da vizi dell’ immobile, sebbene tali vizi fossero eventualmente conosciuti o conoscibili da parte del conduttore. La Corte d’Appello avrebbe, pertanto, deciso la predetta questione in modo difforme dalla giurisprudenza di questa S.C.. la quale l’ha risolta statuendo che il locatore "è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore" e dai familiari di questo in conseguenza delle condizioni abitative "dell’immobile locato quand’anche tali condizioni fossero note "al conduttore al momento della conclusione del contratto, "in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto "interpretativo di esclusione o limitazione della responsabilità" (Cass. n. 915 del 1999) A tale insegnamento avrebbe dovuto uniformarsi la Corte territoriale, atteso che la fattispecie oggetto del presente motivo d’impugnazione è in tutto analoga a quella decisa da codesto Supremo Collegio nel precedente sopra ricordato.

4.6.1.- Questa censura si rivela inammissibile, non essendo stato dedotto se e come la relativa questione sia stata sottoposta ai giudici di merito, posto che dalla sentenza impugnata non si rileva che la Corte territoriale si sia pronunciata sulla stessa (nè è stata dedotta l’omessa pronuncia sul punto). Si deve, pertanto ribadire che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisimi della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (Cass. n. 4036/11, in motivazione; 14385 e 17125/2007:

3612/2004). Senza contare che la censura non è comunque, pertinente, posto che la Corte territoriale ha escluso il nesso causale tra la struttura dell’immobile e/o la condotta della B. e l’evento dannoso in lite, sicchè non vi è stata alcuna questione in ordine ai limiti del danno risarcibile, non essendosi accertata la sussistenza di questo difettando l’indicato nesso.

4.7.- CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE PER AVER IMPUTATO ALL’ A. DI NON AVER ASSOLTO L’ONERE PROBATORIO DI PROVARE I FATTI COSTITUTIVI DELLA DOMANDA ED AVER CONTESTUALMENTE RIGETTATO LA RICHIESTA DELLA PROVA OFFERTA DALLA MEDESIMA. A seguito del rigetto della domanda in primo grado, l’ A. aveva riproposto in appello le istanze istruttorie formulate in primo grado; la Corte territoriale le respingeva, ritenendole inutili e defatigatorie, così violando il principio del "giusto processo", dovendo il giudice porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, le quali hanno diritto ad una sentenza correttamente motivata; in particolare, la Corte territoriale avrebbe disatteso l’insegnamento di questa S.C., secondo cui il giudice del merito può incorrere in contraddizione quando, nel momento in cui imputi alla parte di non aver assolto all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, nega la prova offerta senza dimostrare le ragioni del diniego (Cass. n. 1355 del 2009).

4.7.1.- Anche questa censura è priva di pregio, non sussistendo la prospettata contraddizione: il rigetto della domanda dell’attrice è dipeso dalla motivata e globale considerazione delle risultanze processuali, sicchè non si può fondatamente affermare che il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sull’ A. sia ricollegabile al rigetto delle richieste istruttorie dalla stessa avanzate. Lo stesso sviluppo dei precedenti motivi dimostra la serie di elementi valutati dalla Corte territoriale: la ct. di parte attrice e, soprattutto, la dichiarazione di valore confessorio della stessa A., attestanti l’assenza di nesso eziologico tra la struttura della scala e la caduta e, comunque, la non riportabilità dell’evento lesivo a comportamenti attivi od omissivi della B.. Così facendo, la Corte territoriale, diversamente da quanto assume la ricorrente, non ha contraddittoriamente e illegittimamente denegato i mezzi istruttori da lei richiesti, ma ha congruamente e correttamente scelto le fonti del proprio convincimento, spettando soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, e all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, mentre a questa S.C. non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica le indicate valutazioni del giudice di merito, (Cass. S.U. n. 5802 del 11/06/1998; Cass. n. 14086 del 17/06/2009, in motivazione).

4.8.- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ex art. 360 c.p.c., n. 3, DEL PRINCIPIO, ex art. 91 c.p.c.. CHE LA RESPONSABILITA’ PER LE SPESE DI UNA FONDATA CHIAMATA DEL TERZO IN GARANZIA NON PUO’ FARSI RISALIRE ALL’ATTORE NELL’IPOTESI DI DIFETTO DEI PRESUPPOSTI DI TALE CHIAMATA PER RAGIONI CONCERNENTI IL RAPPORTO TRA CONVENUTO E CHIAMATO. In seguito alla chiamata in causa, ad opera della B., della UNIPOL ed alla costituzione in giudizio di questa, l’ A. chiese al Giudice di prime cure, nella memoria ex art. 183 c.p.c. di "dichiararla … esonerata dal pagamento delle spese giudiziali della … UNIPOL ASSICURAZIONI SPA … in quanto … citala esclusivamente da B.E. che, pertanto, avrebbe dovuto … sostenerne il relativo onere" . Il Giudice di prime cure, invece. "rigettò ogni domanda svolta dall’attrice, condannandola … a rifondere le spese di lite sostenute dalla convenuta … e le spese di lite sostenute da UNIPOL. L’ A. propose appello formulando, tra l’altro, anche il seguente motivo d’appello "5. VIOLAZIONE DEL GIUDICE DI PRIME CURE dell’art. 91 c.p.c.", deducendo che essa non poteva "sopportare le spese di lite "della UNIPOL ASSICURAZIONI SPA perchè questa era stata chiamata in causa da B.E. … per obblighi che … neanche sussistevano al momento della chiamata in ordine ai rischi assicurati danni involontari e agli obblighi dell’assicurato in caso di sinistro mancato rispetto dei termini per la comunicazione del sinistro L’ A. evidenziò che non sussistevano i presupposti per la chiamata in causa della COMPAGNIA, da parte della B., ossia NON sussisteva l’obbligo della UNIPOL di tenere indenne la B. da quanto questa avrebbe dovuto versarle a titolo di risarcimento, a causa della caduta, dal momento che: 1. la polizza assicurativa n. 24717341 del 29.10.1998. denominata "abitazione civile", copriva unicamente i danni involontariamente cagionati a terzi in conseguenza di un "fatto accidentale"; 2. l’assicurata B. non aveva segnalato, per iscritto, il sinistro, entro tre giorni dalla verifica dello stesso, avvenuto il (OMISSIS), come perentoriamente previsto dalla polizza, ma aveva inviato la relativa comunicazione soltanto con raccomandata del 12 novembre 2002. La Corte d’Appello, tuttavia, senza tenere conto delle contestazioni sollevate nei motivo d’appello, statuì che "la chiamata in causa della S.p.A. Unipol, "da parte della convenuta B. per essere da questa manlevata "era stata provocata dalla pretesa attorea, dimostratasi "palesemente infondata. Quindi, bene l’attrice era stata gravata delle spese processuali, a favore della terza chiamata", violando, così, espressamente il principio stabilito dall’art. 91 c.p.c., che la responsabilità delle spese di una fondata chiamata del terzo in garanzia, non può farsi risalire all’attore, nell’ipotesi di difetto dei presupposti di tale chiamata per ragioni concernenti il rapporto tra convenuto e chiamato. La Corte d’Appello avrebbe deciso la predetta questione di diritto in modo difforme dalla consolidata giurisprudenza di questa che ha risolto la questione statuendo che "se di una fondata chiamata in garanzia difettano "i presupposti per ragioni concernenti il rapporto tra convenuto "e chiamato, la responsabilità della chiamata in causa "non può farsi risalire all’attore che abbia proposto "una domanda infondata nei confronti del chiamante, "in quanto il chiamato è, in tal caso, illegittimamente coinvolto nel processo per assorbente responsabilità del convenuto, "da considerarsi soccombente nei suoi confronti ai fini della ripartizione dell’ onere delle spese processuali per gli effetti di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c." (Cass. 08.04.2010, n. 8363).

4.8.1.- La censura non coglie nel segno, perchè, nonostante la correttezza de principio giuridico invocato dalla ricorrente, non è stato censurato in questa sede l’error in procedendo eventualmente attribuibile alla Corte territoriale. Invero, merita di essere confermato l’orientamento di questa S.C., secondo cui in tema di spese processuali, la palese infondatezza della domanda di garanzia proposta dal convenuto nei confronti del terzo chiamato (o, comunque, la palese arbitrarietà della chiamata) comporta l’applicabilità del principio della soccombenza nel rapporto processuale instaurato tra convenuto e terzo chiamato, anche quando l’attore principale sia a sua volta soccombente nei confronti del convenuto, atteso che il convenuto chiamante sarebbe stato soccombente nei confronti del terzo anche in caso di esito diverso della causa principale (Cass. n. 8363/2010; 12301/2005; 6514/2004).

Nella fattispecie, la sentenza impugnata non ha affrontato la questione se il diritto dell’assicurata – convenuta nei confronti dell’assicuratore – terzo chiamato fosse palesemente infondato.

Tuttavia. l’odierna ricorrente non ha denunziato il relativo error in procedendo si deve, infatti ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, la denuncia di un "error in indicando". per violazione di norme di diritto sostanziale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, o per vizi della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, e consente alla parte di chiedere, ed al giudice di legittimità di effettuare, una verifica in ordine alla correttezza giuridica della decisione ed alla sufficienza e logicità della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata; tale censura non può pertanto riguardare l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad uno dei motivi dedotti nell’atto di appello, la quale postula la denuncia di un "error in procedendo", ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in riferimento al quale il giudice di legittimità può esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice anche del fatto, inteso in senso processuale (Cass. n. 3190 e 24856/2006; 1 196 e 12952/2007).

4.9.- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE, ex art. 360 c.p.c., n. 3 DEL PRINCIPIO DELL’ "UNICITA’" DEL COMPENSO, D.M. 8 aprile 2004, n. 127, ex art. 5 SPETTANTE AL DIFENSORE CHE ASSISTE E DIFENDE NELLO STESSO GIUDIZIO PIU’ PARTI AVENTI LA STESSA POSIZIONE PROCESSUALE, FORMULANDO PER TUTTE L’DENTICA DIFESA. 4.9.1.

La censura – sostanzialmente coincidente con quella formulata dal P. con il settimo motivo del proprio ricorso – non merita di essere accolta per le ragioni esposte al precedente punto 3.7.1. 5.- Ne deriva il rigetto dei ricorsi riuniti.

Nulla per le spese del presente giudizio, essendosi rivelati inesistenti i controricorso, notificati a mezzo posta, per mancato deposito dell’avviso di ricevimento (v. in termini, Cass. n. 4559/2001. espressione del principio poi accolto da Cass. S.U. n. 627/2008; 9453/2011).

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi riuniti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *