Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4392 Inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. M.A. e A.G., nella veste di locatori, con citazione del 11 maggio 1993, dinanzi al Pretore di Bari, hanno intimato sfratto per morosità alla s.n.c. SIR ANTONY, morosa per i canoni di locazione dal maggio 1992 al maggio 1993, in relazione allo affitto di un villino da destinare a ristorante. Si costituiva la società SIR Antony opponendosi alla convalida, deducendo che i locatori erano a loro volta inadempienti, avendo locato un immobile non idoneo ad essere utilizzato come ristorante, sicchè era legittima la sospensione del pagamento dei canoni. Il Pretore, con ordinanza 21 ottobre 1993 ordinava il rilascio, che avveniva il 23 novembre 1993, rimettendo le parti dinanzi al Tribunale di Bari.

2. Con atto notificato il 15 novembre 1993 i locatori riassumevano il giudizio dinanzi al tribunale di Bari chiedendo la risoluzione del contratto; la società chiedeva a sua volta la risoluzione per colpa dei locatori e che si accertasse che i canoni non erano dovuti in relazione alla inutilizzabilità dei locali per l’uso convenuto.

3. Con autonoma citazione del 3 luglio 1993 la società conveniva dinanzi al Tribunale di Bari i locatori chiedendo il risarcimento dei danni per 30 milioni di lire e la riduzione dei canoni a 30 milioni annui, con la condanna dei locatori a restituire le somme indebitamente riscosse. Resistevano i locatori e in via riconvenzionale chiedevano la condanna dei conduttori al pagamento dei canoni maturati dalla morosità sino al rilascio avvenuto il 23 novembre 1993. Le due cause venivano riunite.

4. Con sentenza del 6 aprile 2006 il Tribunale di Bari rigettava la domanda di risoluzione proposta dai locatori ed accoglieva quella proposta dai conduttori in relazione al mutamento della destinazione;

condannava i locatori a rifondere alla società la somma di Euro 108.528,88 con interesso legali ed al pagamento di ulteriore somma di Euro 82.392,95 da rivalutare, oltre interessi.

5. Contro la decisione proponevano appello i locatori, chiedendone la riforma: resisteva la società e proponeva appello incidentale in punto di risarcimento.

Con ordinanza era accolta la istanza di sospensione della efficacia sospensiva della sentenza.

6. La Corte di appello di Bari, con sentenza 11 marzo 2010, ha rigettato l’appello principale dei locatori e l’appello incidentale, confermando integralmente la sentenza impugnata ed ha condannato gli appellanti principali alla rifusione delle spese del grado.

7. Contro la decisione hanno proposto ricorso principale M. e A. deducendo otto motivi dì ricorso, cui resiste la controparte con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi. Le parti hanno prodotto memorie.

Motivi della decisione

8. I ricorsi principale e incidentale, riuniti per ragioni di connessione, non meritano accoglimento. Per chiarezza espositiva se ne offre dapprima una sintesi.

8.1. SINTESI DEI MOTIVI DEL RICORRENTE PRINCIPALE. Nel primo motivo si deduce una duplice censura: a. per error in procedendo per la violazione degli artt. 178, 184 e 189 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 51 del 1950, relativamente alla ritenuta tardività della eccezione di inammissibilità della prova testimoniale articolata dalla difesa della società Sir Antony; b. per vizio della motivazione insufficiente e contraddittoria sulla pretesa tardività della eccezione sopradetta.

Nel secondo motivo si deduce ancora una duplice censura: a. per error in iudicando in relazione alla violazione degli artt. 2723 e 2729 c.c., con riferimento alla qualificazione del patto verbale di sospensione del pagamento del canone ed alla ritenuta ammissibilità della prova orale; b. per vizio della motivazione, contraddittoria e incongrua sulla ammissibilità di detta prova.

Nel terzo motivo le censure sono tre, una prima attiene all’error in iudicando sulla valutazione della denunciata inattendibilità delle deposizione testimoniale, una seconda attiene alla violazione dello art. 116 c.p.c., in relazione alla attendibilità delle deposizioni dei testi in ordine alla esistenza del patto di sospensione; una terza in ordine alla contraddittorietà della motivazione su detto punto decisivo.

Nel quarto motivo si deducono due censure: una prima, di ultrapetizione, per avere il giudice di merito pronunciato la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento dei locatori all’obbligo della buona fede in contratto, con la pretesa fatta valere dai conduttori; una seconda, per error in iudicando per la violazione degli artt. 1337, 1366, 1375 c.c., norme riferite agli obblighi di buona fede sia nelle fase delle trattative che in quelle della stipula ed esecuzione del rapporto.

Nel quinto motivo di deducono tre censure: una prima per error in iudicando con violazione dell’art. 1578 c.c., in relazione alla esistenza di vizi della cosa locata non conosciuti ovvero conoscibili dal locatore che legittimassero la esecuzione del contratto; una seconda in relazione ad error in iudicando sulla interpretazione del contratto di locazione de quo; una terza dove si deduce il vizio della motivazione sui due punti che precedono.

Nel sesto motivo si deduce error in iudicando per violazione dell’art. 1578 c.c., comma 2, artt. 1453 e 1223 c.c., nella parte in cui la sentenza ha liquidato in favore della società conduttrice il risarcimento del danno.

Nel settimo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultra petizione ed il vizio della motivazione sul punto, sostenendosi che nello atto di citazione del 3 luglio 1993 la locatrice aveva richiesto la riduzione dei canoni.

Nell’ottavo motivo si deduce una duplice censura: di error in iudicando in relazione alla interpretazione della clausola 15 del contratto, relativa al potere del conduttore di apportare modificazioni ed accessioni indispensabili per renderlo idoneo ed utilizzabile quale ristorante; una seconda censura dedotta come vizio della motivazione in punto della spettanza del rimborso di tali spese per addizioni e migliorie.

A pg. 81 del ricorso alla lettera C della parte conclusiva vengono indicati da 1 a 24 altri documenti, senza alcuna precisazione in ordine alla produzione e deposito nelle fasi del merito.

8.2. SINTESI DEI MOTIVI DEL RICORSO INCIDENTALE. Nel primo motivo si deduce una duplice censura: a. error in iudicando per violazione e falsa applicazione degli artt. 1223.2697 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione allo asserito esercizio della attività di ristorazione per il periodo successivo al 23 aprile 1991, data di ottenimento della autorizzazione amministrativa, e ritenuta prova dello stesso; b. error in motivando per contraddittorietà e incongruità su tale punto.

Nel secondo motivo si deduce una triplice censura: una prima per error in iudicando per la omessa liquidazione del danno da lucro cessante in relazione alla asserita mancanza di prova. Tale danno attiene all’omesso esercizio della attività di ristorazione dal febbraio 1990 al 23 aprile 1991; una seconda censura attiene alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento alla valutazione delle prove e della CTU erroneamente operata dal giudice;

una finale censura attiene alla motivazione incongrua e contraddittoria sui punti soprarichiamati,sostenendosi che ben era possibile una liquidazione equitativa.

9. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. 9.1. DEL RICORSO PRINCIPALE. Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutti i motivi dedotti, premettendosi che dovendosi, ratione temporis, applicare la ultima novellazione la quale ha abolito i quesiti, resta in chiara evidenza che i singoli motivi del ricorso debbano essere tra di loro autonomi, autosufficienti e dotati di specificità e di decisività, onde il c.d. cumulo all’interno del medesimo motivo ne determina la inammissibilità ove non consenta la evidente comprensione delle ragioni della censura. Cfr. tra le decisioni di rilievo sistematico:

Cass. 21 novembre 2009 n. 22287, 19 giugno 2009 n. 14445, Cass. 26 giugno 2007 n. 14744 e la recente Cass. 27 gennaio 2012 n. 1193 in parte motiva par. 1.1. sull’onere della specifica indicazione dello atto processuale su cui si fonda il motivo.

Tanto premesso, in ordine ai singoli motivi dedotti, si osserva quanto segue:

il primo motivo, nella sua complessità di censura per error in procedendo ed error in motivando, difetta di autosufficienza e di decisività ed inoltre prospetta per la prima volta in questa sede la pretesa violazione di norme procedurali in ordine alla ammissione delle prove testimoniali, che, riguardando il giudizio di primo grado doveva essere alla evidenza essere fatta oggetto di appello e quindi prospetta ora una nuova questione di diritto o un nuovo tema di contestazione,che resta precluso in questa sede (vedi Cass. 15 marzo 2006 n. 5520). Non senza rilevare che la prova testimoniale, diretta e contraria, si è svolta nel contraddittorio delle parti, onde era consentito al giudice di valutarla per il suo contributo alla ricostruzione delle condotte leali o sleali della parti.

Il motivo risulta per le ragioni dette in parte inammissibile ed è inoltre infondato in quanto non decisivo in relazione alla valutazione complessiva del raccolto probatorio.

Il secondo motivo, nella sua complessa formulazione di error in iudicando e vizio della motivazione, risulta inammissibile atteso che spetta al giudice di merito di valutare l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 2723 c.c., per la deroga al divieto della prova testimoniale e tale valutazione è stata compiuta ed adeguatamente motivata e conduce alla verifica della esistenza di un patto di sospensione da ritenersi valido e giuridicamente efficace tra le parti. Non senza rilevare che la qualificazione giuridica di detto accordo non è stata oggetto di impugnazione da parte dei ricorrenti.

Il terzo motivo, nella complessa formulazione, è inammissibile sul rilievo che la valutazione delle prove testimoniali che hanno confermato la esistenza di un accordo di sospensione del pagamento del canone, giustificato peraltro dal principio di esecuzione in buona fede in relazione alla mancanza di autorizzazioni amministrative, spetta al giudice del merito, così come il giudizio sulla attendibilità dei testimoni e ne è precluso l’esame in sede di legittimità, risultando evidente il prudente apprezzamento compiuto dai giudici del merito.

Il quarto motivo, che deduce congiuntamente error in procedendo ed error in iudicando per la asserita ultrapetizione in ordine alla risoluzione del contratto di locazione per lo inadempimento dei locatori, la cui gravità è stata considerata sulla base di un complesso di elementi, intrinseci e comportamentali, rispetto ai principi di buona fede che integrano gli obblighi contrattuali, è manifestamente infondato, posto che il decisum corrisponde esattamente al petitum, risoluzione per inadempimento e nessun vizio di ultrapetizione risulta configurabile (Vedi, tra le significative, il dictum di Cass. 3^ sez. civile 22 marzo 2006 n. 6945 sulla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in ordine ad una fattispecie circostanziata e complessa come è quella in esame).

Il quinto motivo, nella sua complessità di error in iudicando, di errore di interpretazione contrattuale e di motivazione insufficiente e contraddittoria sulla conoscenza dei vizi della cosa locata e del preteso contegno fraudolento dei locatori, che avrebbero taciuto la esistenza di tali vizi, è inammissibile nella parte in cui censura la interpretazione contrattuale, che invece è stata fatta tenendo conto delle ragioni dello affare e cioè del contenuto del contratto e della sua esecuzione secondo buona fede, accompagnata dal valido patto di sospensione, ed è parimenti inammissibile quanto al vizio della motivazione che propone una rappresentazione di un fatto controverso ben diverso da quello accertato anche in via di prova orale. Viene dunque in rilievo, nella chiara ratio decidendi espressa dalla corte di appello a ff 9 e 10 della analitica motivazione, la gravità obbiettiva dello inadempimento come causa risolutiva del rapporto per fatto imputabile ai locatori.

Inammissibile, per la sua genericità è il sesto motivo che contesta la liquidazione delle due voci di danno per rimborso spese e per la restituzione dei canoni di locazione dal 9 febbraio 1990 al 21 febbraio 1001, oltre rivalutazione ed interessi.

Vedi sul punto la chiara ratio decidendi espressa dalla Corte di appello a ff 10 della sentenza, che non risulta specificamente censurata.

Inammissibile il settimo motivo,che riproduce la seconda censura del sesto in ordine alla condanna alla restituzione dei canoni, ma che non censura la chiara ratio decidendi espressa dalla Corte di appello che esclude il denunciato vizio di ultrapetizione, in relazione alla considerazione della domanda risarcitoria che è stata formulata in tutte le sue componenti.

Manifestamente infondato l’ottavo motivo, in quanto la interpretazione della clausola contrattuale, nel suo tenore letterale, fatta dal giudice di appello appare logica, atteso che sono state liquidate a titolo di danno emergente le spese delle opere inutilmente eseguire nell’immobile liquidato ed in relazione ad una situazione di inadempimento imputabile al locatore, onde il richiamo alla clausola contrattuale appare inconferente.

In conclusione il ricorso, in parte inammissibile ed in parte alla evidenza infondato, deve essere rigettato. Non possono peraltro essere utilizzati i documenti allegati al ricorso, senza la indicazione del tempo e del luogo dei depositi e delle produzioni, come da Cass. SU 3 novembre 2011 n. 22726. 9.2. CONFUTAZIONE DEL RICORSO INCIDENTALE. Il ricorso incidentale non merita accoglimento:

quanto al primo motivo, per manifesta infondatezza, sul rilievo che la Corte di appello non ha liquidato il c.d. danno emergente, per il periodo successivo al 23 aprile 1991, data della concessione del mutamento di destinazione, sul rilievo della mancanza di deduzione di elementi di prova idonei. Si tratta dunque di un prudente apprezzamento delle prove.

Il secondo motivo, che prospetta nella sua complessità error in iudicando e vizio della motivazione censurando la valutazione delle prove e della CTU, è infondato in quanto si risolve in una richiesta di rivalutazione del merito, che è stata invece effettuata con motivazione congrua ed adeguata a ff. 12 della motivazione.

10. Sussistono giusti motivi in relazione alla reciproca soccombenza per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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