Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-09-2011) 12-10-2011, n. 36781

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, sezione per i minorenni, confermava la sentenza di condanna ad anni 11 di reclusione pronunciata nei confronti di P.F. per il sequestro di persona, l’omicidio aggravato dalla premeditazione e dai rutili motivi, e per l’occultamento del cadavere di D.S. J., rinvenuto semisepolto in una località marina poco frequentata.

Osservava che la vicenda aveva avuto ad oggetto una strana amicizia tra F.F., falegname sessantenne, con persone molto più giovani di lui, quali l’imputato e C.L. nonchè con una ragazza minorenne S.S., con la quale aveva avuto una relazione che aveva costituito il movente del fatto delittuoso.

F. infatti aveva dovuto interrompere la relazione a causa della denuncia della ragazza ed era roso dalla gelosia nei confronti di chiunque intrattenesse anche solo un rapporto di amicizia con la giovane; il D.S., infatti, ai suoi occhi era colpevole di essersi intrattenuto a parlare con lei.

Il giorno del fatto tutti costoro erano stati tutto il pomeriggio nella falegnameria del F. e verso sera si erano allontanati in auto verso una località marina molto isolata, dove D.S. era stato fatto scendere, era stato legato e colpito con circa 15 martellate al capo. Le prime indagini attivate a seguito della denuncia del padre della vittima che aveva riferito di una telefonata ricevuta dal figlio proprio dal F., si era riscontrato che nell’abitazione di F., e nelle auto a sua disposizione, era stata rinvenuta della sabbia dello stesso genere di quella in cui era stato sepolto il corpo di D.S.. Il proprietario di una di queste auto, D.P., genero di F., aveva riferito che la sera della scomparsa F., C., P. e la vittima si erano allontanati a bordo della sua auto e che la mattina dopo, alle 5,20, quando la aveva riutilizzata, si era accorto che il motore era ancora caldo e che la benzina era stata consumata per metà serbatoio, inoltre era scomparso dal portabagagli un rotolo di ferro con guaina bianca da lui usato per la sua attività di carpentiere, lo stesso che era stato utilizzato per legare la vittima. Il figlio di F., G., aveva dichiarato che il pomeriggio del fatto il padre si era intrattenuto nella falegnameria con D.S., C. e P. e che la sera si erano aftontanati insieme; aveva poi aggiunto che il padre era rientrato alle 3,00 di mattina e gli aveva chiesto di non riferire a nessuno che D.S. era con loro la sera prima; pochi giorni dopo gli aveva confessato di avere ucciso D.S. insieme a C. e P.; in una successiva dichiarazione aveva ricordato che proprio il P. il pomeriggio del fatto, dopo che lui aveva salutato cordialmente D.S., lo aveva avvicinato dicendogli " lascialo stare che non dura fino a sera".

P., interrogato, aveva finito per ammettere la sua presenza sul luogo del delitto, ma aveva cercato di sminuire la sua partecipazione, negando di aver saputo che quella sera si doveva uccidere D.S. e attribuendo la responsabilità diretta a F. e C., riferendo di aver solo prestato aiuto per il seppellimento del cadavere. C. da parte sua aveva riferito l’esatto contrario, osservando che era stato proprio P. a tenere ferma la vittima mentre F. lo colpiva. In presenza di tale quadro probatorio la corte osservava che vi erano evidenti prove della piena responsabilità dell’imputato per tutti i reati contestati. Importanti erano le dichiarazioni di F.G. sulla frase pronunciata da P. nel laboratorio il pomeriggio, chiara espressione della consapevolezza di ciò che sarebbe accaduto alla vittima e comunque prova della programmazione dell’azione delittuosa; osservava in proposito che le sue dichiarazioni erano pienamente utilizzabili visto che fin dal primo esame era stato avvertito ai sensi dell’art. 199 c.p.p. della facoltà di astenersi dal rispondere, potendo il padre essere coinvolto nella vicenda, ed avendo egli risposto che intendeva rispondere. Lo stesso imputato aveva poi ammesso la sua partecipazione al viaggio ed aveva riferito di aver saputo da C. e F. che scopo dello stesso era quello di "far vomitare D.S." dal che se ne ricavava la ulteriore piena consapevolezza del progetto delittuoso. Irrilevante era considerata la circostanza che vi era stata una sosta lungo la strada verso la località marina, durante la quale la vittima era stata costretta ad effettuare una telefonata alla ragazza pronunciando parole sotto dettatura, in quanto non vi era stata alcuna possibilità per la vittima di sfuggire ai suoi sequestratoti.

La scelta del luogo isolato dove condurre la vittima, la predisposizione dei mezzi, quali il filo per legarla e il martello, costituivano ulteriori prove della volontà omicida che aveva animato il F. e i suoi sodali, la cui presenza era indispensabile per l’esecuzione del progetto criminoso, vista la differenza di corporatura tra F. e D.S. e la necessità di vincere la sua resistenza; F. doveva per forza aver informato i due giovani del suo proposito, tenuto conto che non aveva armi da fuoco e che la vittima doveva essere uccisa con mezzi che presupponevano il corpo a corpo, quali il martello, per cui non poteva correre il rischio di una opposizione di costoro nella fase esecutiva. Per altro P., che pur avrebbe potuto manifestare la propria contrarietà sia durante la prima sosta sia nel corso dell’esecuzione dell’efferato delitto, non lo aveva mai fatto. Proprio per tutti tali elementi non vi era spazio per configurare la fattispecie del concorso anomalo di cui all’art. 116 c.p. che presupponeva la non conoscenza dello scopo dell’azione posta in essere dall’autore principale; in questo caso vi erano ampi elementi di prova del contrario, quale in primo luogo la frase pronunciata al figlio del F. sulla imminente fine della vittima. Sussisteva l’aggravante della premeditazione per la prova della risalenza e della persistenza nel tempo della decisione, nonchè nella scelta del luogo isolato e nella velocità di esecuzione del delitto che durò circa 15 minuti una volta arrivati nella località isolata. Sussisteva anche l’aggravante del motivo futile costituito dalla gelosia del F. che lo aveva determinato ad eliminare chi si era reso colpevole di aver parlato con la ragazza minore con la quale aveva avuto una relazione. Sussistevano prove anche del delitto di sequestro di persona, visto che quantomeno dal momento in cui la vittima era stata costretta a telefonare alla ragazza e a pronunciare frasi sotto dettatura, era stata privata della sua libertà di movimento. Il trattamento punitivo infinto all’imputato era del tutto adeguato alla gravita del fatto, non potendo concedersi le attenuanti generiche per il comportamento reticente tenuto nel corso del processo, comportamento che il giudice ben poteva valutare una volta che l’imputato aveva deciso di rendere dichiarazioni; giudizio negativo fondato anche sulla gravità del fatto e sul rilevante apporto prestato all’esecuzione materiale del delitto. Avverso la decisione presentava ricorso l’imputato e deduceva:

– Violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione all’art. 199 c.p.p. in quanto l’utilizzabilità delle dichiarazioni di F.G. era stata affermata sostenendosi che una volta dati gli avvisi di cui all’art. 199 c.p.p. questi non dovevano essere ripetuti ogni volta che venivano rese dichiarazioni, mentre invece la lettera della legge richiedeva la reiterazione dell’avvertimento;

– Insufficiente e contraddittoria motivazione sulla attendibilità del teste F.G. che non si fondava solo su alcune imprecisioni nel racconto, ma anche sul fatto che aveva reso a distanza di tempo tre dichiarazioni diverse e solo nell’ultima aveva riferito la frase pronunciata da P. sull’imminente fine di D. S.; la corte sì era limitata ad affermare che le imprecisioni erano irrilevanti e potevano essere superate con il principio della frazionabilità del narrato;

– Insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione sulla piena consapevolezza dell’imputato dello scopo della trasferta serale, fondata dalla corte territoriale sulle dichiarazioni del teste F.G. e sulle dichiarazioni dello stesso imputato che aveva riferito di aver saputo da F. e C. che quella sera dovevano far vomitare la vittima; in realtà, premessa l’inutilizzabilità e l’inattendibilità delle dichiarazioni di F., i restanti elementi al massimo potevano essere utilizzati per provare la partecipazione dell’imputato ad una spedizione punitiva; di grande rilievo infatti era la circostanza che durante il viaggio era stata fatta una deviazione in un centro abitato per effettuare una telefonata, dal che se ne deduceva che la meta del viaggio non era stata predeterminata e che invece era stata frutto di una scelta successiva alla sosta. Lo stesso contenuto della telefonata fatta alla ragazza non aveva attinenza con lo scopo della spedizione punitiva perchè in nessun modo avrebbe potuto far cambiare idea al F. se avesse avuto l’esclusivo intento di uccidere. In realtà la sosta per la telefonata testimoniava un cambiamento di programma, per cui il trasferimento al mare era frutto di una determinazione successiva alla telefonata. La necessaria presenza di correi per portare a termine il supposto proposito omicida era frutto di argomentazioni illogiche, in quanto il mezzo utilizzato era di per se idoneo a consentire ad una sola persona di agire, trattandosi di un martello; la presenza di altri non era necessaria, neppure per portare D.S. in luogo isolato visto che aveva con F. un rapporto di amicizia ed era salito in auto da solo e spontaneamente. Non corrispondeva al vero neppure che l’azione fosse stata rapida, visto che si era svolta in alcune ore dal momento della partenza dalla falegnameria a quella del seppellimento. Inoltre l’azione violenta era stata preceduta da una richiesta di informazioni rivolta da F. alla vittima, alla quale costei non aveva dato risposta, dal che se ne poteva anche dedurre che si fosse trattato di un’azione d’impeto. Non poteva neppure addebitarsi a P. il mancato recesso dal proposito criminoso che lo aveva colto alla sprovvista senza dargli possibilità di reazione, anche per il ruolo succube rispetto al F.. Non potevano essere ritenute sufficienti le dichiarazioni di C. a ritagliare in capo a P. un ruolo di partecipe attivo in mancanza di ulteriori riscontri oggettivi. Non si era data alcuna considerazione alla circostanza che quel pomeriggio P. si trovava alla falegnameria per puro caso, visto che doveva recarsi ad una appuntamento con una ragazza, per cui certamente non aveva partecipato ad una programmazione del delitto. L’imputato aveva chiarito che l’unico sviluppo da lui previsto della trasferta al mare era quello di fare uno scherzo all’amico, quale ad esempio quello di lasciarlo al mare. Per gli stessi motivi non poteva essere riconosciuta la premeditazione, fondata solo sulle dichiarazioni inutilizzabili di F.G., senza le quali doveva tenersi conto del fatto che l’intera ricostruzione deponeva per una decisione estemporanea, frutto della mancata risposta alle richieste di chiarimento avanzate da F.. Non vi era poi alcuna prova del movente della gelosia, visto il rapporto di amicizia tra tutti i correi e la vittima e la mancanza di ogni prova del fatto che D. S. avesse iniziato un rapporto sentimentale con la ragazza; vi erano invece elementi dai quali dedurre che F. voleva avere dalla vittima delle informazioni che costui non gli voleva dare, movente del tutto privato e non estensibile ai correi;

– Mancanza di motivazione sulla sussistenza del delitto di sequestro di persona, privo di qualunque riscontro fattuale, essendo anzi certo che la vittima aveva seguito gli imputati volontariamente e aveva avuto la possibilità di fuggire durante la sosta per la telefonata;

– Inosservanza della legge penale in relazione all’invocato stato di necessità come scriminante per il delitto di occultamento di cadavere, tenuto conto della condotta furiosa del F. e del’influenza che esercitava sul minore;

– Violazione di legge e difetto di motivazione per l’omessa concessione delle attenuanti generiche richieste, non in quanto minore, ma per la fragilità della sua personalità come descritta nella relazione dell’equipe che lo aveva in cura;

– Violazione di legge sulla quantificazione della pena, essendosi utilizzate formule di stile, e non avendo fornita alcuna risposta sull’aumento di pena per i reati satelliti;

– Mancanza di motivazione sulla richiesta di rinnovazione istruttoria volta ad ottenere l’audizione della giovane che quel pomeriggio aveva un appuntamento con l’imputato.

La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato in quanto propone ricostruzioni alternative o spiegazioni alternative dei fatti accertati, operazioni non consentite in sede di legittimità. L’unica questione processuale sollevata sull’art. 199 c.p.p. è infondata non solo perchè gli avvertimenti erano stati dati al teste F. G., ma anche perchè la scelta del rito abbreviato determina comunque l’utilizzabilitè delle dichiarazioni rese dal prossimo congiunto dell’imputato (Sez. 2, 5 maggio 2009 n. 34521, rv. 245228), e infine perchè la facoltà di astenersi dal deporre non riguarda i coimputati del prossimo congiunto (Sez. 6, 27 maggio 2008 n. 27060, rv. 240977). Quanto alla attendibilità intrinseca ed estrinseca del testimone la corte ha congruamente rilevato come la versione da lui fornita, seppur in tre fasi successive, non è mai mutata nel suo nocciolo essenziale, si era semplicemente arricchita di particolari quali quello rilevante della frase pronunciata dal minore che testimoniava la sua consapevolezza dell’intento omicida del gruppo.

Deve in proposito osservarsi che il tenore della frase riferita dal teste è molto singolare "lascialo stare che non arriva a sera" e per la sua indeterminatezza ben poteva essere dimenticata e poi rivalutata alla luce degli eventi successivi. Tutti i motivi volti a contestare la prova della consapevolezza in capo all’imputato dello scopo della trasferta al mare sono infondati, non solo perchè partono dal presupposto della inutizzabilità di tale dichiarazione, che invece è pienamente utilizzabile, ma anche perchè cercano di interpretare i fatti accertati in modo diverso da quanto fatto dai giudici di merito. In realtà lo stesso imputato aveva ammesso di aver ricevuto dai correi l’indicazione che quella sera dovevano andare al mare per far vomitare la vittima in un gergo che ben faceva intendere lo scopo dell’azione, che era stata decisa e programmata per tempo. Se effettivamente scopo dell’azione fosse stata quella di avere delle spiegazioni non vi sarebbe stato alcun motivo per allontanarsi dalla falegnameria di proprietà del F., luogo dal quale ben poteva essere fatta la telefonata alla giovane e chiesto ogni chiarimento all’amico, e certamente alcuna logica spiegazione aveva il recarsi in un luogo di mare isolato. La deviazione per la telefonata non costituiva alcun elemento di interruzione del proposito criminoso, visto che nella mente del F., era solo uno strumento di intimidazione della giovane, attuato tramite l’induzione della vittima a pronunciare al telefono parole da lui dettate. Logica appare poi l’interpretazione dei fatti successivi, come effettuata dai giudici di merito che hanno dato una chiara valenza alla circostanza che una volta giunti in spiaggia l’aggressione era stata immediata e condotta a termine in pochi minuti quasi senza bisogno di parlarsi, come se tutto fosse stato in precedenza pattuito. Non vi è poi alcun dubbio che per portare a termine una azione omicida con un martello si debba programmare una azione congiunta di più persone visto che presuppone la condizione di inoffensività della vittima, trattandosi di un corpo a corpo tra soggetti di diversa prestanza fisica. La circostanza che P. quel pomeriggio si fosse trovato per caso nella falegnameria del F. non incide sulla ritenuta premeditazione, visto che vi era stato comunque tutto il tempo per conoscere il proposito criminoso, meditarlo e conservarlo fino alla sera tardi, per cui diveniva del tutto irrilevante ascoltare la giovane con la quale aveva un appuntamento, visto che detto impegno non vi era stato. Tutti i dubbi sollevati su una attiva partecipazione dell’imputato all’azione criminosa appaiono irrilevanti, visto che la sua sola presenza certamente aveva avuto lo scopo di rafforzare il proposito criminoso;

comunque proprio il fatto che i due correi si erano preoccupati di far scomparire le sue scarpe, perchè potevano essersi sporcate col sangue della vittima, depone per una sua attiva partecipazione. La versione tentata dall’imputato secondo la quale egli pensava che lo scopo della gita al mare fosse quello di fare uno scherzo alla vittima, è priva di ogni attendibilità alla luce dello svolgimento dei fatti e delle frasi da lui pronunciate. Congrua appare poi la motivazione sull’aggravante della premeditazione e dei futili motivi, vista la piena consapevolezza dello scopo della spedizione e dei motivi che l’avevano determinata. Il movente della gelosia che, secondo la giurisprudenza di legittimità non è di per se idoneo a configurare un rutile motivo nel caso di specie lo diventa in quanto il sentimento che aveva animato F. era basato, non su una passione seppur morbosa, ma su un sentimento di possesso del tutto arbitrario avendo alla base una relazione, intrattenuta tra un sessantenne e una minorenne, finita per la denuncia presentata da costei. Dell’esistenza di tale movente l’imputato era del tutto consapevole visto che in precedenza il F. si era reso responsabile di altro episodio di intimidazione nei confronti di un giovane che si era avvicinato alla minore nei confronti del quale era stata pronunciata la minaccia di spezzargli le gambe. Deve ritenersi provato anche il delitto di sequestro di persona visto che, dopo l’iniziale volontarietà della partecipazione della vittima alla gita, sia la telefonata che il resto dell’azione sono stati oggetto di costrizione fino alla aggressione finale, ritenendosi sufficiente a configurare tale costrizione la contemporanea presenza di tre persone coalizzate tra loro contro l’unica vittima. Indimostrato è l’invocato stato di necessità per l’aiuto prestato all’occultamento del cadavere, vista l’ampia prova raggiunta di una piena partecipazione dell’imputato all’intero episodio criminoso. La motivazione sul trattamento punitivo appare del tutto completa, avendo la corte spiegato i motivi per i quali l’imputato non era meritevole delle attenuanti generiche, prescindendo dalla minore età oggetto di una attenuante specifica e basandosi sul comportamento processuale e sulla condotta effettivamente tenuta dal giovane.

Quanto alla quantificazione della pena ritenuta equa nella soglia di 24 anni per il reato base, nessuna ulteriore motivazione doveva essere fornita in relazione all’aumento in continuazione per i due reati satellite di mesi 3 ciascuno, stante l’esiguità di detto aumento, la gravità dei due reati concorrenti e l’aspecificità del motivo di appello sul punto limitata alla richiesta generica di un più mite aumento. Trattandosi di imputato minore non deve essere pronunciata alcuna condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *