Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4381 Vendita di immobili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V.G. iscritto all’albo degli agenti di mediazione, ha intentato un giudizio nell’aprile del 1995 davanti al Tribunale di Milano esponendo di aver avuto incarico da N.C., amministratore unico della s.r.l. Niki Hotel, per la vendita dell’albergo per il prezzo di L. 4.400.000.000; di aver messo in contatto la società con R.G., vedova Ro., e con suo fratello R.G.; che questi ultimi si erano accordati per l’acquisto dell’albergo per il prezzo richiesto; che la vendita si era positivamente conclusa , a sua insaputa, nel novembre 1994 con R.G., vedova Ro., per cui egli aveva diritto al pagamento della provvigione, concordata nella misura del 3% del prezzo.

Il giudizio si è concluso con sentenza n. 9975/98, passata in giudicato, con la quale il Tribunale di Milano ha riconosciuto al V., a seguito di modifica della originaria domanda di pagamento della provvigione, la somma di lire dieci milioni a titolo di spese sostenute per l’attività di mediazione.

Successivamente il V., deducendo di aver appreso da una visura presso la CCIAA che le quote sociali della società Niki Hotel erano state trasferite dai soci della stessa a parenti di R. G., ha nuovamente citato in giudizio nel maggio 1998 davanti al Tribunale di Milano la società Niki Hotel per ottenere la provvigione per l’attività di mediazione.

Nel costituirsi in giudizio la s.r.l. Niki Hotel ha chiesto il rigetto della domanda eccependo la prescrizione breve del diritto, il giudicato formatosi con la sentenza n. 9975/78 del Tribunale di Milano sulla non spettanza della provvigione al V. perchè l’affare non si era concluso e, nel merito ,che l’Hotel era stato venduto il 30-1-97 per la somma di L. 2.500.000.000 attraverso la cessione delle quote aziendali ai signori R.O., V. M., R.S., R.R. e R.S., che non avevano avuto alcun contatto con il V..

Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda per essere intervenuta precedente transazione fra le parti recepita dalla sentenza n. 9975/98. A seguito di impugnazione di V.G., la Corte di appello di Milano a modifica della sentenza di primo grado, ha condannato la s.r.l. Niki Hotel al pagamento della somma di Euro 43.282,38, quale mediazione per l’attività svolta da V. G.. La Corte di appello ha ritenuto che la sentenza n. 9975/98 aveva riguardato solo le spese per l’attività di mediazione e non il diritto alla provvigione; che l’eccezione di prescrizione era inammissibile perchè proposta tardivamente che l’eccezione di carenza di legittimazione passiva era infondata, in quanto l’affare può ritenersi positivamente concluso anche quando la parte sostituisca altri a sè nella stipulazione finale, sempre che vi sia continuità fra il soggetto che partecipa alla trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale e l’affare sia collegabile al contatto determinato dal mediatore; che l’entità della mediazione doveva calcolarsi sul reale valore dell’affare.

Propone ricorso per cassazione la s.r.l. Albergo Niki con tre motivi illustrati da memoria.

Resiste con controricorso V.G..

Motivi della decisione

1.Con il primo motivo si denunzia violazione dell’art. 1755 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Sostiene la società ricorrente che erroneamente era stata rigettata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, sul rilievo che la vendita dell’albergo si era realizzata attraverso la cessione delle quote sociali da parte dei soci N.C., N. U. e T.I. ai signori O., S., R. e R.S. e V.M., cessione a cui la società era rimasta estranea.

Di conseguenza,erano i soci N.C., N.U. e T.I. da un lato, e gli acquirenti R. e V. dall’altro, coloro che avevano partecipato alla conclusione dell’affare avvalendosi dell’attività di mediazione del V., mentre la società Albergo Niki era stata solo l’oggetto dello stesso.

2.Il motivo è infondato.

L’art. 1755 cod. civ., prevede che il diritto alla provvigione sorge quando l’affare è concluso per effetto dell’intervento del mediatore.

Il concetto di "conclusione dell’affare" è stato oggetto di intensa opera interpretativa da parte della dottrina e della giurisprudenza al fine di delimitare con maggiore puntualità i confini dell’espressione usata dal legislatore, che è propria più nel linguaggio economico che di quello giuridico.

La giurisprudenza nel tempo si è consolidata nei ritenere che la nozione di "affare" va intesa come una operazione di natura economica, che si risolva in un’utilità patrimoniale, suscettibile, peraltro, di conseguenze giuridiche.

In sostanza, al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso ogni volta che, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia conclusa una "operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti", "di un atto in virtù del quale si sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno" (cass. 19 ottobre 2007, n. 22000; Cass. 9 aprile 1984, n. 2277; Cass. 18 maggio 1977, n. 2030).

Il diritto alla provvigione è riconosciuto al mediatore in relazione alla conclusione dell’affare fra le parti che il mediatore ha messo in contatto, e non già in relazione alla stipulazione del relativo negozio fra le stesse parti o fra soggetti diversi (Cass. 25 maggio 1967 n. 1767; 30 giugno 1959 n. 2049; 10 agosto 1966 n. 2184; 9 ottobre 1978 n. 4494; 27 maggio 1987 n. 4734).

Nella prima delle decisioni sopra richiamate la Corte ha affermato che il diritto alla provvigione è indipendente dalla disciplina giuridica che le parti abbiano inteso dettare per la concreta attuazione dell’affare sul piano giuridico, nonchè dalla sorte del contratto; e pertanto la provvigione è dovuta anche se le parti dell’affare sostituiscano altri a sè stesse nella stipulazione del negozio di vendita (Cass. 7 giugno 1990, n. 5457; Cass. 27 maggio 1987, n. 4734; Cass. 6 settembre 2001, n. 11467; Cass. 9 aprile 2009, n. 8676).

3.Il Giudice di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi nella valutazione dell’efficacia causale dell’attività del V. nella conclusione dell’affare fra le parti da lui messe in contatto.

Il riferimento costante della giurisprudenza di legittimità all’individuazione della nozione di conclusione dell’affare in senso economico, con riferimento all’interesse concreto voluto dalle parti, e non in relazione alla natura giuridica dello strumento giuridico da esse messo in atto per realizzarlo, porta ad affermare la sussistenza dell’identità dell’affare fra l’incarico affidato al V., di vendita dell’albergo Niki Hotel, e la cessione da parte dei soci di tutte le quote della società stessa, perchè l’interesse economico voluto dalle partitale a dire il trasferimento dell’albergo, si è concretamente realizzato anche con l’utilizzo di tale strumento giuridico.

Questa Corte, anche conoscendo decisioni di senso contrario, ritiene di aderire alla giurisprudenza di legittimità che in passato ha più volte affermato il diritto del mediatore alla provvigione quando il trasferimento avvenga non con la vendita, ma mediante la cessione delle azioni o delle quote sociali di una società (Cass. 15 luglio 1942 n. 2022; Cass. 23 ottobre 1976 n. 3820; Cass. 25 ottobre 1991 n. 11384).

Non è contestato che l’incarico venne conferito al V. dalla società NiKi Hotel, per il tramite dell’amministratore unico N.C., e che il V. mise in contatto la Niki Hotel con la famiglia R., che, a seguito di un’articolata trattativa protrattasi nel tempo, giunse all’acquisizione di tutte le quote della società.

La circostanza che l’affare sia stato poi concluso dai soci della società non esclude l’identità dell’affare dal punto di vista soggettivo, che permane anche quando la parte sostituisca altri a sè nella stipulazione conclusiva, come affermato dai giudici di appello, sempre che vi sia continuità tra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale" (Cass. n. 11467 del 2001; n. 20549 del 2004).

Tale principio è il naturale corollario della formulazione adottata dal legislatore per disegnare la disciplina della mediazione, dove la norma assume come parametro per il sorgere del diritto alla provvigione non le categorie giuridiche del contratto o nel negozio giuridico, ma la nozione giuridico-economica di conclusione dell’affare.

Di conseguenza l’identità dell’affare, anche dal punto di vista soggettivo, deve valutarsi non in relazione alla nozione giuridica di parte, ma ad una nozione più ampia, che individua come parte il soggetto che ha beneficiato dell’efficacia causale dell’attività del mediatore con la realizzazione del concreto interesse economico perseguito, anche se l’affare si concluda con soggetti diversi da colui che inizialmente ha conferito l’incarico, ma a lui legati da rapporto di continuità e da identità dell’interesse economico da realizzare.

Indubbiamente si è realizzato l’interesse economico per cui la società Niki Hotel ha conferito l’incarico di mediazione al Vassalli ed i soci cessionari della quote, fra cui lo stesso N. C., che quale amministratore unico della s.r.l Niki Hotel ha conferito l’iniziale incarico al V., devono considerarsi legati da un rapporto di continuità con la società stessa.

4. Come secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 166, 343 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene la ricorrente di aver riproposto ritualmente l’eccezione di prescrizione nella comparsa di costituzione e risposta in appello e di non essere tenuta a proporre appello incidentale essendo stata la domanda del V. respinta in primo grado.

5. Il motivo è infondato.

Il giudice di appello ha ritenuto inammissibile la censura formulata dalla Niki Hotel nella comparsa di costituzione con cui è stato dedotto che il diritto alla provvigione vantato dal V. doveva considerarsi prescritto, perchè la costituzione dell’appellato era tardiva in violazione del disposto di cu agli artt. 343 e 166 c.p.c..

Come ripetutamente affermato da questa Corte, la parte vittoriosa in primo grado, che abbia visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi difensivi, ha l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre la domanda od eccezioni respinte, onde superare la presunzione di rinuncia, e quindi la decadenza, di cui all’art. 346 c.p.c..

Poichè gli appellati si sono costituiti tardivamente, l’eccezione di prescrizione non può ritenersi ritualmente formulata in grado di appello e pertanto correttamente la Corte di merito ha dichiarato inammissibile il motivo.

6. Con il terzo motivo si denunzia omessa motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, su un fatto decisivo, consistente nella individuazione della base di calcolo della misura della provvigione.

Sostiene la ricorrente che la Corte di appello ha preso come base di calcolo il valore dell’immobile e dell’avviamento commerciale, e non il valore delle quote societarie.

7. Il motivo è infondato.

La Corte di appello ha fatto riferimento alla consulenza tecnica svoltasi nel giudizio intentato dal V. nei confronti dei cessionari delle quote della Niki Hotel s.r.l. in relazione al medesimo affare, conclusosi con sentenza passata in giudicato, con la quale i predetti convenuti sono stati condannati a pagare per il diritto di provvigione la somma di L. 84.000.000. 8. Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Qualora il giudice del merito si sia basato sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinchè sia denunciabile in cassazione il vizio di omessa insufficiente motivazione della sentenza, è necessario che eventuali errori e lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si sostanzino in carenze o deficienze tecniche, o in affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già in semplici difformità, come denunziato dal ricorrente, tra il metodo utilizzato nella valutazione dal consulente per accertare il valore dell’affare ed il diverso metodo di indagine asseritamene idoneo ad accertare un valore diverso più favorevole alla parte ricorrente.

In considerazione della difformità delle decisioni di primo e secondo grado, e della natura delle questioni giuridiche trattate, si compensano le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *