Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4380 Opposizione all’esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.E. propose opposizione ex art. 615 c.p.c., avverso l’atto di precetto notificatogli il 26 ottobre 2005 ad istanza di L.M., nonchè di Gi.Ro., Ma. e Pa., tutti quali eredi di Gi.An., basato sulla sentenza del Tribunale di Genova n. 906 del 23 marzo 1990, con la quale la ditta Fratelli Ghironi era stata condannata al rimborso di somme pagate da Gi.An. per la riparazione di un escavatore ed ai danni conseguenti. Dedusse l’opponente che il credito per il quale l’azione esecutiva era minacciata era prescritto, considerata la data della sentenza azionata, e che comunque egli non aveva mai rivestito la qualità di socio della ditta Fratelli Ghironi, condannata con detta sentenza. Gli opposti si costituirono ed eccepirono che la prescrizione era stata interrotta con la procedura esecutiva intrapresa nei confronti di G. A., conclusasi con l’ordinanza di assegnazione del 9 novembre 2004, e che tali atti interruttivi valevano, ex art. 1294 c.c., anche nei confronti del socio di fatto, tale dovendosi considerare l’opponente.

Il Tribunale di Genova, con sentenza depositata il 18 ottobre 2006, ha rigettato l’opposizione ed ha condannato l’opponente a rifondere alle controparti le spese di causa.

Avverso questa sentenza G.E. propone ricorso straordinario per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. Si difendono con controricorso gli intimati M. e G..

Motivi della decisione

1.- Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dai resistenti, per essere la sentenza impugnata relativa a giudizio introdotto con atto del 4 novembre 2005, cui non sarebbe applicabile il regime di non impugnabilità dell’art. 616 c.p.c., ultimo inciso.

Allo scopo è sufficiente richiamare i precedenti di questa Corte che hanno reiteratamente affermato che le sentenze conclusive in primo grado dei giudizi di opposizione all’esecuzione pubblicate tra il 1 marzo 2006 ed il 4 luglio 2009 non sono impugnabili in ragione di quanto disposto dall’art. 616 c.p.c., ult. inc., nel testo introdotto dalla L. n. 52 del 2006, art. 14, (abrogato con la L. n. 69 del 2009, art. 49, comma 2), quindi sono soltanto ricorribili per Cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 20392/09, n. 2043/10, ord. n. 20324/10, nonchè, a contrario, Cass. n. 20414/06 ed, ancora, anche per il rigetto di eccezioni di incostituzionalità, Cass. n. 976/08 e Cass. n. 3688/11). Ed, invero, contrariamente a quanto sostenuto dai resistenti, al fine di individuare il regime di impugnazione di una sentenza non rileva la data di introduzione del giudizio che con quella sentenza si è concluso, ma la data di pubblicazione della sentenza della cui impugnazione si tratta (cfr. Corte Cost. 13 marzo 2008 n. 53).

Pertanto, l’art. 616 c.p.c., ult. inc., così come introdotto dalla L. n. 52 del 2006, art. 14, trova applicazione nel caso di specie in guanto la sentenza è stata pubblicata (18 ottobre 2006) dopo il 1 marzo 2006 e prima del 4 luglio 2009.

Giova aggiungere che dopo la modifica dell’art. 616 c.p.c., ad opera della L. n. 52 del 2006, art. 14, si pose un problema di coordinamento di tale norma – destinata, in sè e per sè, a disciplinare soltanto le opposizioni introdotte dopo l’inizio dell’esecuzione e, quindi, coerentemente, anche soltanto le sentenze conclusive di tali giudizi – con la norma del precedente art. 615 c.p.c., comma 1: all’interpretazione strettamente letterale, sostenuta da una parte degli interpreti, per la quale la sentenza conclusiva dell’opposizione preventiva continuava ad essere appellabile anche se pubblicata dopo il 1 marzo 2006 (data di entrata in vigore della L. n. 52 del 2006), mentre era divenuta non impugnabile soltanto la sentenza conclusiva dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., comma 2, (perchè, a sua volta, disciplinata dall’art. 616 c.p.c.); si contrappose l’interpretazione che sosteneva l’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione, non quindi dell’appello, anche per le sentenze conclusive dei giudizi ex art. 615, comma primo, quale è quello di specie, così accedendo ad una lettura costituzionalmente orientata funzionale ad evitare disparità di trattamento tra sentenze di norma destinate a risolvere controversie di analoga portata. Quest’ultimo orientamento è stato seguito da questa Corte Suprema, in precedenti analoghi al presente, oramai numerosi, rispetto ai quali il principio è stato affermato esplicitamente (cfr. Cass. n. 14179/08, Cass. ord. n. 9591/11) ovvero comunque presupposto (cfr., tra le tante, Cass. ord. n. 3688/11); non vi sono ragioni per discostarsi dall’interpretazione ritenuta più conforme a Costituzione, che qui si intende ribadire.

2.- Col primo motivo del ricorso si denuncia il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 99 dello stesso codice, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4. Deduce il ricorrente che, tenuto conto dei motivi di opposizione all’esecuzione, il presupposto dell’esistenza di una società di fatto (contestato dall’opponente al fine di escludere che la sentenza formatasi nei confronti della ditta Fratelli Ghironi potesse valere come titolo esecutivo contro G. E., che non era titolare della relativa ditta individuale) avrebbe dovuto essere "provato da chi aveva interesse a rilevarne la ricorrenza" e cioè dagli opposti "mediante domanda riconvenzionale di accertamento"; assume che, non essendo stata tale domanda formulata dagli opposti, il Tribunale di Genova non avrebbe potuto accertare l’esistenza di detta società di fatto e quindi la qualità di socio di fatto dell’opponente G.E. onde addivenire al rigetto dell’opposizione; così decidendo, secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe violato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, incorrendo nell’error in procedendo come sopra dedotto.

2.1.- Col secondo motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 2969 cod. civ., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Deduce il ricorrente che nel caso di specie i convenuti opposti, nel costituirsi in cancelleria con comparsa di risposta, avrebbero dovuto proporre la domanda riconvenzionale di accertamento della società di fatto della Ditta Fratelli Ghironi;

non avendo, invece, proposto siffatta domanda, il giudice avrebbe dovuto ritenerne la decadenza e non pronunciare sull’esistenza della società di fatto.

I motivi, in quanto evidentemente connessi, vanno trattati congiuntamente, conseguendo all’infondatezza del primo, anche quella del secondo, per le ragioni di cui appresso.

3.- Vanno qui ribaditi i principi più volte espressi da questa Corte riguardo al processo di opposizione all’esecuzione, secondo cui questo è un ordinario processo di cognizione, nel quale la domanda giudiziale va identificata, nell’aspetto oggettivo, con i suoi elementi costitutivi, del petitum, consistente nella richiesta di un provvedimento giurisdizionale che dichiari l’inesistenza del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, e della causa petendi, che consiste nella specifica situazione giuridica sostanziale dedotta dalla parte istante a fondamento della assunta inesistenza del diritto di procedere in executivis (cfr. già Cass. n. 2911/1980, nonchè Cass. n. 17630/2002; n. 8219/2004; n. 24047/2009); dal punto di vista soggettivo, l’opponente, vale a dire il soggetto esecutato (o precettato), ha veste sostanziale e processuale di attore. Pertanto, le eventuali "eccezioni" sollevate dall’opponente per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi della domanda proposta con l’atto introduttivo dell’opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda (cfr. Cass. n. 3477/2003; ord. n. 1328/2011; n. 16541/2011); spetta all’opponente contestare il diritto della controparte di procedere ad esecuzione forzata, dando prova dei fatti allegati (che, di norma, in sè considerati, sono fatti estintivi, impeditivi o modificativi dell’obbligazione ovvero, come nel caso di specie, fatti comportanti l’inadeguatezza del titolo posto a base del precetto a supportare l’esecuzione forzata nei confronti dell’ingiunto) e degli elementi di diritto costituenti i motivi di opposizione.

3.1.- L’opposto (vale a dire il creditore procedente) ha la posizione del convenuto (cfr. Cass. n. 14554/2000 ed altre) e può contrastare le deduzioni dell’opponente, sia avvalendosi di eccezioni in senso tecnico (peraltro poco frequenti in un giudizio oppositivo quale è quello de quo), sia mediante mere difese, volte a contestare l’esistenza dei fatti che l’opponente assume a fondamento dell’opposizione ovvero le conseguenze che da tali fatti l’opponente vuole trarre.

Soltanto nel caso in cui l’opposto intenda munirsi di un titolo esecutivo che si aggiunga o si sostituisca a quello oggetto di opposizione ha facoltà di proporre domanda riconvenzionale, nel rispetto delle preclusioni previste per la relativa proposizione (cfr. già Cass. n. 3849/88 e n. 11097/96, nonchè Cass. n. 7225/06 e n. 9494/07).

3.2.- Nel caso di specie, gli opposti, che hanno intimato il precetto nei confronti di G.E. nel presupposto – dichiarato in precetto – della sua qualità di socio di fatto della ditta Fratelli Ghironi, hanno contestato le deduzioni dell’opponente sulla validità ed efficacia esecutiva del titolo nei suoi confronti, così svolgendo delle difese; hanno quindi chiesto di provare (e provato, come si dirà) i fatti posti a fondamento delle loro difese (nel rispetto dell’onere della prova, per il quale, con riguardo all’ipotesi della società di fatto, cfr. Cass. n.29885/08), per resistere alle prove che la controparte G.E. ha offerto al fine di dimostrare che egli sarebbe stato semplice collaboratore e non socio della ditta Fratelli Ghironi (in specie, le risultanze della camera di commercio): nessuna domanda riconvenzionale avrebbero dovuto proporre gli eredi Gi. poichè le loro deduzioni attengono alla verifica della portata soggettiva del titolo esecutivo e non ampliano l’oggetto della cognizione del giudice a questioni che questi non avrebbe dovuto valutare se non fossero state dedotte dalla parte convenuta, in quanto insite nelle ragioni poste a fondamento della stessa opposizione.

Vanno perciò rigettati i primi due motivi di opposizione.

4.- Col terzo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., ed, ancora, vizio di motivazione e violazione dell’art. 101 c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Deduce il ricorrente che le ragioni poste a fondamento della ritenuta esistenza di una società di fatto tra i fratelli Gh. relativamente alla ditta Fratelli Ghironi (in specie, l’avere G.E., nell’arco temporale di sei mesi, girato per l’incasso degli assegni di conto corrente emessi in favore della ditta F.lli Ghironi, in modo che si sarebbe avuta un’esteriorizzazione del rapporto sociale, al di là della formale iscrizione alla camera di commercio della ditta F.lli Ghironi come ditta individuale) darebbero luogo ad una motivazione incongrua, insufficiente e contraddittoria per le seguenti ragioni:

– il giudice è pervenuto alla soluzione di rigetto dell’opposizione in base alle stesse ragioni che, al contrario, avevano indotto il giudice dell’esecuzione a sospendere il processo esecutivo con ordinanza del 7 aprile 2006;

– il giudice non avrebbe considerato il rapporto di parentela del ricorrente col fratello A., titolare della ditta individuale F.lli Ghironi;

– il giudice non avrebbe considerato che "l’episodio delle girate era stato un avvenimento unico ed isolato circoscritto ai protagonisti dell’operazione (beneficiario-girante)" e che la negoziazione degli assegni era avvenuta in una sola occasione in un arco di tempo piuttosto contenuto;

– il giudice avrebbe fatto un raffronto -idoneo a dar luogo al vizio denunciato – tra affectio societatis e vincolo lavorativo, senza considerare che il raffronto avrebbe dovuto essere fatto tra affectio societatis ed affectio familiaris.

Secondo il ricorrente, operando come sopra, il giudice avrebbe violato le norme sulla prova presuntiva (specificamente l’art. 2729 c.c.) ed inoltre avrebbe omesso l’indagine decisiva volta ad accertare se l’operazione delle girate non rientrasse piuttosto nello schema dell’affectio familiaris e se tale operazione non fosse da ricondurre alle mansioni di collaboratore che il ricorrente svolgeva nell’impresa del fratello e se per tale vincolo parentale non avesse avuto, come effettivamente aveva, una delega per portare gli assegni all’incasso.

4.1.- Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio più volte espresso da questa Corte, e che qui si ribadisce, per il quale la mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una società di fatto o irregolare (non richiesta dalla legge ai fini della sua validità) non impedisce al giudice del merito l’accertamento aliunde, mediante ogni mezzo di prova previsto dall’ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell’esistenza di una struttura societaria; dovendosi, peraltro, ritenere necessaria, quanto ai rapporti tra i soci, una rigorosa valutazione del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attività imprenditoriale (quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all’esercizio congiunto di un’attività economica, l’alea comune dei guadagni e delle perdite e l’affectio societatis, cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi);

essendo, per contro, sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell’art. 2297 c.c., l’esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l’idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza della società. Tali accertamenti, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non sono censurabili in sede di legittimità, se sorretti da motivazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici (così Cass. n. 5961/10, nonchè già Cass. n. 10695/97 e n. 8043/98).

4.2.- La sentenza impugnata contiene una motivazione congrua e logica, poichè valorizza non soltanto l’elemento fattuale più volte menzionato dal ricorrente (vale a dire la girata di assegni emessi in favore della ditta F.llo Ghironi da parte di G.E.), ma anche ulteriori circostanze (taciute invece in ricorso), quali l’essersi trattato di sette assegni emessi dalla ditta "La Pegliese" (cioè il soggetto, dante causa degli odierni resìstenti, a favore del quale era stata emessa la sentenza azionata) e l’essere stati cinque di questi assegni corrisposti quale acconto per il lavoro oggetto del processo concluso con tale sentenza; ed, ancora, l’essere stata la firma di G.E. apposta sotto il timbro "Autofficina Fratelli Ghironi" e l’essere stata la denominazione della ditta appunto quella di "Fratelli Ghironi". Ha altresì considerato il rapporto di collaborazione formalmente risultante dal certificato della camera di commercio per concludere nel senso della prevalenza dell’affectio societatis rispetto al vincolo lavorativo proprio in ragione di detti elementi. La motivazione non presenta passaggi illogici nè giuridicamente errati; non si riscontrano lacune tali da farla risultare insufficiente o contraddittoria.

Quanto alla pretesa insufficienza, il ricorrente non indica quale elemento fattuale eventualmente trascurato dal giudice a quo, sarebbe stato tale da condurre con certezza ad un apprezzamento di segno diverso: mentre nulla è detto sulla prova dell’asserita delega di mansioni (dal titolare G.A. al "collaboratore" G. E.), non può certo reputarsi decisivo, nel senso preteso dal ricorrente, il rapporto di parentela.

Quanto alla asserita contraddittorietà con l’ordinanza adottata dal giudice dell’esecuzione, è sufficiente rilevare che trattasi di provvedimento, a natura cautelare, del tutto estraneo al giudizio di cognizione concluso con la sentenza impugnata, quindi tale da non potere, di per sè, rilevare ai fini del giudizio di congruità di quest’ultima e da non essere nemmeno idoneo ad un giudicato potenzialmente contrastante.

In conclusione, le censure contenute nel terzo motivo si risolvono nel richiedere a questa Corte un nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie ed, essendo la motivazione della sentenza immune dai vizi denunciati, rendono inammissibile il motivo in esame (cfr., tra le altre, Cass. n. 7972/07, nel senso che nel giudizio di cassazione, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito).

5.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del presente giudizio, che liquida complessivamente in Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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