Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4378 Beni di interesse storico, artistico e ambientale proprietà privata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 13 novembre 2006 l’Associazione Circolo Artistico Politecnico di Napoli, debitrice esecutata nella procedura esecutiva immobiliare n. 2125/96 R.G.E. del Tribunale di Napoli, propose opposizione avverso il provvedimento di aggiudicazione dell’immobile subastato resa in data 24 ottobre 2006, avverso la comunicazione in data 6 novembre 2006 di mancato aumento di sesto, avverso il provvedimento in data 7 novembre 2006 con cui il giudice dell’esecuzione aveva preso atto che l’aggiudicazione era divenuta definitiva. L’opponente dedusse la violazione del D.L. n. 42 del 2004, artt. 56 e 57, per la mancanza di autorizzazione alla vendita ai sensi del primo articolo; la violazione dell’art. 490 cod. proc. civ., nel testo modificato dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lett. e), n. 4.1, convertito con modificazioni nella L. n. 80 del 2005; la mancata menzione in pubblicità dei vincoli esistenti sull’immobile; la differenza sostanziale tra il bene offerto in vendita ed il bene venduto; l’incongruità del prezzo.

Instaurato il contraddittorio anche nei confronti dell’aggiudicataria Nuova Edificatrice s.r.l. e del Ministero dei Beni Culturali, il Tribunale di Napoli, con sentenza depositata il 17 ottobre 2008, ha rigettato l’opposizione ed ha condannato l’opponente al pagamento delle spese processuali in favore dell’aggiudicataria, compensando invece le spese nei confronti di tutte le altre parti opposte.

Avverso la sentenza l’Associazione Circolo Artistico Politecnico di Napoli propone ricorso straordinario per cassazione a mezzo di quattro motivi, illustrati da memoria.

Si difendono con controricorso la Nuova Edificatrice s.r.l. ed il Condominio (OMISSIS); la prima ha depositato memoria. Alla discussione orale ha partecipato anche l’INAIL. L’avvocato della ricorrente ha presentato in udienza osservazioni per iscritto ai sensi dell’art. 379 cod. proc. civ., u.c..

Motivi della decisione

1.-Va detto, in primo luogo, dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata, in via preliminare, dalla società resistente Nuova Edificatrice s.r.l. per avere controparte dedotto in sede di opposizione all’esecuzione vizi deducibili esclusivamente con autonoma azione di accertamento. Secondo la resistente si tratterebbe di questione assorbente, perchè i vizi dedotti con l’opposizione, qualificata come opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi, sarebbero deducibili soltanto nei confronti del creditore procedente e non anche dell’aggiudicataria; e ciò, in ragione del fatto, che, deducendo la nullità della vendita, l’opponente, odierna ricorrente, avrebbe di fatto equiparato il caso di specie a quello in cui sia stato aggiudicato un bene immobile impignorabile. La conseguenza sarebbe la riconducibilità dell’opposizione alla norma dell’art. 615 cod. proc. civ., comma 2, e quindi il difetto di legittimazione passiva dell’aggiudicatala, Nuova Edificatrice s.r.l., con conseguente inammissibilità del ricorso nei suoi confronti.

1.1.- L’eccezione va disattesa. Come si dirà trattando, in particolare, del primo e del terzo motivo di ricorso, la ricorrente non ha opposto l’impignorabilità nè dell’immobile, già vincolato ai sensi della L. n. 1089 del 1939, nè dei beni mobili gravati da vincolo nel corso della procedura esecutiva. Piuttosto, quanto al primo, ha dedotto che fosse l’unico oggetto del pignoramento e che la vendita avrebbe dovuto essere previamente autorizzata ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 56, comma 1, lett. b), denunciando il vizio di nullità della vendita per mancanza di tale presupposto di legge; ha quindi ritenuto quest’ultimo necessario anche per la vendita nell’ambito di procedura esecutiva immobiliare e tale che l’omissione della preventiva richiesta ne avrebbe comportato un vizio attinente alla procedura in concreto seguita, non anche il difetto del diritto di agire in executivis su tale bene, come è per il caso dell’impignorabilità. Quanto ai secondi, ne ha dedotto l’esclusione dal vincolo del pignoramento, così come imposto nel caso di specie, non anche l’impignorabilita in assoluto; anzi, ha sostenuto che il vincolo di cui al decreto della Soprintendenza n. 53 del 2002 nemmeno si configurerebbe come vincolo di indisponibilità, ma soltanto come vincolo di inscindibilità tra immobile e patrimonio storico- artistico e culturale ivi contenuto, tale cioè che non ne sarebbe consentita soltanto la vendita separata dall’immobile; la conseguenza, secondo la ricorrente, non sarebbe il venir meno del diritto del creditore procedente di agire in esecutivi sull’immobile, ma soltanto la necessità di stimare il valore di quest’ultimo, ai fini della vendita coattiva, tenendo conto dell’esistenza del vincolo. Si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di vizi relativi al quomodo della procedura esecutiva così come avviata e condotta, da dedursi con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi e comunque aventi effetto nei confronti dell’acquirente ex art. 2929 cod. civ., poichè riguardanti la vendita in quanto tale e gli atti esecutivi a questa propedeutici (cfr., da ultimo, Cass. n. 13824/10).

Giova aggiungere che analoghe considerazioni potrebbero svolgersi anche riguardo al motivo di opposizione, e quindi di ricorso, concernente l’incongruità del prezzo ex art. 586 cod. proc. civ., sia se riferito all’immobile come unico oggetto del pignoramento (nonchè oggetto unico dell’aggiudicazione e del decreto di trasferimento), sia, a maggior ragione, se riferito anche i beni mobili, ove ritenuti compresi nell’espropriazione, quali pertinenze del cespite pignorato.

2.- Va detto a questo punto anche di altre due eccezioni preliminari di inammissibilità che la stessa resistente riferisce, in termini analoghi, sia al primo che al secondo ed al terzo motivo di ricorso.

Denuncia, in particolare, la duplice violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis (essendo stata la sentenza impugnata pubblicata il 17 ottobre 2008) per avere la ricorrente formulato nel medesimo motivo censure aventi ad oggetto violazioni di legge e censure aventi ad oggetto vizi della motivazione (questi ultimi celati sotto il denunciato vizio di violazione di legge per essere la motivazione apparente) e quindi per non aver ottemperato all’onere della chiarezza nella formulazione del quesito di diritto per il caso di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nonchè nell’indicazione del fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria per il diverso caso di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. 2.1.- Le eccezioni vanno respinte con riferimento ai primi due motivi e parzialmente accolte con riferimento al terzo.

Va in primo luogo evidenziato che non risulta che la ricorrente abbia inteso denunciare il vizio di omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, avendo invece fatto riferimento, in tutti e tre i motivi, al vizio di motivazione "apparente" che la giurisprudenza di questa Corte (formatasi peraltro prima della sostituzione dell’art. 360 cod. proc. civ., ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2: cfr., per tutte, già Cass. S.U. n. 319/99 e molte successive, tra cui, da ultimo Cass. n. 26426/08), ritiene denunciabile come vizio di violazione di legge: ciò evidentemente comporta la delibazione della censura, così come articolata con riferimento a ciascuno dei motivi di ricorso, al solo fine di verificare se effettivamente vi sia totale carenza di motivazione o sussistenza di argomentazioni del tutto inidonee a manifestare la ratio decidendi sulle singole questioni, tale da rendere la motivazione solo apparente, e potendosi concludere nel senso dell’inammissibilità del motivo ove invece il vizio non sussista come denunciato e sia riconducibile alla previsione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5.

Ne segue che, con riferimento alla denuncia per violazione di legge, è applicabile soltanto la prima parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., vale a dire che, per ciascuna delle censure contenute nei motivi di ricorso, occorre verificare se sia stato formulato adeguato quesito di diritto.

Non coglie pertanto nel segno l’eccezione della resistente che fa leva sulla asserita mancata osservanza da parte della ricorrente del secondo inciso della disposizione, che impone chiarezza nell’indicazione del fatto controverso rispetto a cui la motivazione si assume omessa o contraddittoria ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, poichè trattasi di norma non applicabile al presente ricorso.

Peraltro, anche ove si volesse diversamente qualificare la censura, ritenendola proposta effettivamente per vizio di motivazione, dovrebbe trovare applicazione, secondo il collegio, il principio per il quale è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (cfr. Cass. n. 7770/09).

2.2.- Quanto all’eccezione relativa alla formulazione di quesiti di diritto c.d. multipli, deve trovare applicazione il principio in forza del quale, in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la ratio dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione (cfr. Cass. S.U. n. 5624/09); ed, ancora, l’ulteriore principio per il quale la formulazione di distinti e plurimi quesiti di diritto, in esito all’illustrazione di un unico motivo di ricorso per cassazione, non può ritenersi contrastante, di per sè con la disposizione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., per il solo fatto che questa esige che il motivo si concluda, a pena di inammissibilità, con "un quesito"; potendo, infatti, il motivo di ricorso essere articolato con riferimento a diverse e concorrenti violazioni di legge, il quesito deve rispecchiare ciascuna di tali articolazioni, sicchè può ben assumere una forma, anche dal punto di vista grafico, separata (cfr. Cass. n. 13868/10).

Orbene, nel caso di specie, il primo ed il secondo motivo risultano corredati:

il primo, da due quesiti di diritto, di cui uno relativo alla violazione di legge con riguardo alle norme delle quali risulta denunciata la violazione e l’altro relativo alla violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per motivazione apparente;

il secondo, da due quesiti di diritto per la censura sub A e da due quesiti di diritto per la censura sub B, a loro volta distinti secondo il medesimo criterio seguito per il primo motivo.

Trattasi di tecnica redazionale che, a parere del collegio, ed in applicazione dei principi richiamati, rende il ricorso conforme alla previsione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., quanto ai primi due motivi (oltre che al quarto, cui non sono riferite le critiche della resistente).

Il terzo motivo di ricorso è invece corredato da quesiti di diritto conformi a legge, oltre che esposti in coerenza con i principi di cui sopra (essendo espressi tre quesiti, relativi ciascuno alla violazione del combinato disposto di diverse norme, e tra loro concatenati, in modo da rispettare anche l’ordine logico-giuridico delle questioni poste all’esame della Corte), con riferimento a tutte le violazioni di legge denunciate, tranne che per la violazione degli artt. 112, 116 cod. proc. civ., art. 132 cod. proc. civ., n. 4), sicchè la relativa censura, che non trova riscontro nei tre quesiti prospettati, va reputata inammissibile.

3.- Passando al merito, si rileva che col primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 1 e 56, dell’art. 112 cod. proc. civ. e art. 132 cod. proc. civ., n. 4, nonchè dell’art. 12 preleggi, in relazione all’art. 111 Cost. ed all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3. La ricorrente assume che, nel caso di specie, essendo il cespite pignorato vincolato quale immobile di interesse storico e artistico ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, la vendita forzata avrebbe dovuto essere preceduta dalla preventiva richiesta di autorizzazione di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 56, comma 1, lett. b). Secondo la ricorrente, la richiesta di autorizzazione sarebbe necessaria anche nell’ipotesi di vendita da eseguirsi a seguito di pignoramento immobiliare, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata. Questa, infatti, ha rigettato il corrispondente motivo di opposizione agli atti esecutivi, ritenendo non applicabile alla vendita forzata la normativa richiamata dall’opponente.

Secondo la ricorrente, invece, il legislatore avrebbe adoperato l’ampio termine di "alienazione", al fine di comprendere tutte le fattispecie di trasferimento della titolarità e/o di modifica del soggetto titolare di un bene culturale, e non soltanto quella della "vendita" intesa come contratto tipico di compravendita o comunque atto traslativo fondato sul consenso.

3.1.- Ritiene il collegio che la ricorrente, nella sua qualità di soggetto esecutato, proprietario del bene vincolato, non avesse legittimazione a proporre il motivo di opposizione in esame ed, oggi, non sia legittimata ad impugnare la sentenza che tale motivo abbia rigettato.

Giova precisare che, anche in ragione di quanto si dirà trattando del vincolo apposto con decreto della Soprintendenza n. 53 del 2002, il vincolo rilevante ai fini della censura non è quest’ultimo, imposto ai sensi del D.Lgs. n. 490 del 1999 (nè, peraltro, a tale ultimo vincolo mostra di riferirsi l’illustrazione del motivo di ricorso; essendo citato il patrimonio mobiliare culturale soltanto nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ.); si tratta, piuttosto, del vincolo gravante sul bene immobile quale bene di interesse storico e artistico ai sensi della L. n. 1089 del 1939.

L’art. 56, comma 1, lett. b), nonchè comma 4 bis, sono le norme applicabili, in via preventiva, alle alienazioni dei beni culturali appartenenti a persone giuridiche private senza fini di lucro, in quanto richiedono che queste siano preventivamente autorizzate da parte del Ministero e che l’autorizzazione possa essere rilasciata "a condizione che dalla alienazione non derivi danno alla conservazione e alla pubblica fruizione dei beni medesimi".

In proposito, ritiene il collegio di dover dare continuità all’indirizzo interpretativo, affermato già in tempi non recenti (cfr. Cass. n. 1429/1967 e S.U. n. 1440/71, nonchè Cass. S.U. n. 5070/89) e ribadito in diverse successive occasioni (cfr. Cass. n. 5688/90, n. 4559/91, n. 10083/98r nonchè di recente Cass. n. 10920/05 e n. 5773/09), con riferimento all’art. 61 della legge n. 1089 del 1939, per il quale la nullità sancita da tale ultima norma ha carattere relativo, in quanto prevista nel solo interesse dello Stato e pertanto non può essere fatta valere nei rapporti fra altri soggetti o essere rilevata d’ufficio dal giudice. La norma di chiusura dell’art. 164, comma 1, del codice dei beni culturali di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004 ("le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo 1^ della Parte seconda, o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli"), che trova applicazione con riferimento all’obbligo di preventiva autorizzazione ex art. 56, risponde al medesimo interesse statale e pertanto consente di riferire anche alla disposizione di più recente introduzione il principio già espresso con riguardo alla norma corrispondente della legge del 1939, della quale riproduce il tenore letterale. Quindi, unico legittimato a far valere la nullità della vendita di bene culturale perchè compiuta in difetto dell’autorizzazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 56 è il Ministero competente al rilascio.

Nel caso di specie, non solo la nullità risulta eccepita da soggetto non legittimato, ma vi è anche che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali è stato parte del giudizio di merito ed ha chiesto il rigetto dell’opposizione, finendo così per contrastare la stessa eccezione di nullità.

Il primo motivo del ricorso non è pertanto meritevole di accoglimento.

4.- Col secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 490, come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lett. e), n. 4.1, convertito con modificazioni nella L. n. 80 del 2005, e dello stesso art. 490 cod. proc. civ. nella versione preesistente alla novella, nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 cod. proc. civ., n. 4, in relazione all’art. 111 Cost. ed all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3.

Il motivo è articolato in due distinte censure, assistite da due adeguati quesiti di diritto, cui si accompagna per ciascuna il quesito di diritto relativo alla denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e art. 132 cod. proc. civ., n. 4, per motivazione apparente.

4.1.- Con la censura sub A, la ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non applicabile al caso di specie la norma riformata perchè l’incanto in questione, essendo successivo ad una serie di incanti già fissati in data precedente l’1 marzo 2006, è soggetto alla normativa anteriore.

Secondo la ricorrente tale motivazione, oltre ad essere apparente, sarebbe viziata in diritto perchè la norma si applicherebbe nel testo riformato in quanto la procedura esecutiva nei confronti dell’Associazione era pendente alla data di entrata in vigore della nuova legge.

Il motivo, per tale profilo, è del tutto infondato in quanto non tiene conto della disciplina transitoria di cui al D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3 sexies, come sostituito dalla L. n. 263 del 2005, art. 1, comma 6 e successivamente modificato dal D.L. n. 273 del 2005, art. 39 quater, convertito con modificazioni nella L. n. 51 del 2006. Questa norma prevede che le disposizioni introdotte dal citato D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005, entrano in vigore il 1 marzo 2006 e si applicano alle procedure esecutive pendenti alla data di entrata in vigore; tuttavia, quando "è già stata ordinata la vendita, la stessa ha luogo con l’osservanza delle norme precedentemente in vigore". Quest’ultima eccezione risulta operante nel caso di specie, in cui la sentenza impugnata da atto dell’emissione dell’ordinanza di delega in data precedente il 1 marzo 2006 – tanto è vero che l’incanto concluso con l’aggiudicazione opposta, tenuto il 24 ottobre 2006, era seguito a numerosi altri andati deserti- e la ricorrente nemmeno deduce che detta ordinanza sia stata revocata e sostituita con altra successiva all’entrata in vigore delle nuove norme; ed, anzi, nell’illustrare la seconda censura riferibile allo stesso motivo riporta, sub B, l’ordinanza di delega del 6 febbraio 2001, mostrando di ritenerne la permanente efficacia. Avendo il giudice a quo correttamente applicato la norma transitoria richiamata ed adeguatamente motivato al riguardo, sono da escludere i vizi della sentenza denunciati sub A. 4.2.- Con la censura sub B. la ricorrente deduce -con riguardo all’art. 490 cod. proc. civ., nel testo vigente prima delle modifiche di cui sopra- la mancata pubblicità dell’incanto del 24 ottobre 2006 nelle forme previste dal provvedimento di delega del giudice dell’esecuzione al notaio delegato, sostenendo che non sarebbe riscontrato e riconosciuto il rispetto degli adempimenti richiesti al punto A.2. del provvedimento di delega ("…omissis… redigere l’avviso di vendita, ai sensi dell’art. 570 c.p.c., curando la pubblicità legale (art. 490 c.p.c.) a spese del creditore, e disponendo che il creditore istante provveda a sua cura e spese, nel termine di almeno dieci giorni prima della data fissata per gli incanti, alla pubblicazione dell’avviso, per estratto, sull’edizione domenicale del quotidiano il Mattino, oppure La Repubblica, nonchè alle notificazioni ai creditori iscritti non intervenuti (art. 498 c.p.c.); dell’avviso di vendita darà comunicazione alle parti del processo e invierà copia in cancelleria").

La censura è inammissibile.

Non risulta dal ricorso per cassazione nè dalla sentenza impugnata che l’Associazione abbia, già in sede di merito, avanzato un motivo di opposizione agli atti esecutivi concernente la censura in parola;

questa pertanto risulta essere stata proposta per la prima volta in sede di legittimità ed è, quindi, come detto, inammissibile.

Siffatta conclusione trova riscontro nel testo del ricorso proposto in primo grado, riprodotto nella memoria depositata dalla ricorrente ex art. 378 cod. proc. civ. (nota n. 1).

5.- Col terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 492, 556 e 568 c.p.c., degli artt. 817, 818 e 819 c.p.c., degli artt. 555 e 586 c.p.c., nonchè violazione degli artt. 112, 116 c.p.c. e art. 132 cod. proc. civ., n. 4, in relazione all’art. 111 Cost. ed all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3.

La ricorrente premette che, nel corso del processo esecutivo, la Soprintendenza Regionale della Campania ha provveduto, con decreto n. 53 del 18 luglio 2002, a vietare lo smembramento tra l’immobile pignorato e le opere d’arte, pittoriche, scultoree e il patrimonio librario nella sua totalità di proprietà dei Soci del Circolo, in esso attualmente allocate, costituenti "immobili per destinazione in quanto raccolta di beni inscindibilmente legati per valori storici, artistici e culturali a quei locali già individuati". Deduce, pertanto, che i beni mobili non costituirebbero oggetto della vendita forzata e dunque della vicenda traslativa che interesserebbe il solo immobile ed, in forza del vincolo apposto, sarebbero comunque destinati a rimanere e a non essere rimossi dall’immobile; che questo nuovo vincolo, in aggiunta a quelli preesistenti, avrebbe determinato una situazione di differenza sostanziale tra il bene pignorato offerto in vendita e quello poi aggiudicato all’esito dell’incanto, con notevoli conseguenze anche sulla congruità del prezzo; che, inoltre, i soggetti interessati all’acquisto di un immobile vuoto non coinciderebbero con i soggetti interessati all’acquisto dell’immobile unitamente alle collezioni storico-artistiche e culturali ivi allocate e viceversa; che la mancata menzione del vincolo nell’atto di avviso (ove effettivamente effettuato) avrebbe comunque posto in essere una divergenza tra il bene offerto in vendita ed il bene effettivamente acquistabile. Aggiunge che non opererebbe nel caso di specie l’inopponibilità del nuovo vincolo ai sensi dell’art. 2915 cod. civ., perchè questa riguarderebbe i creditori e non i partecipanti all’incanto e l’aggiudicatario del bene e perchè non si tratterebbe di un vincolo di indisponibilità dell’immobile, quali sono invece quelli contemplati dalla norma; che, in particolare, si ratta di vincolo di "inscindibilità" e non di vincolo di "inalienabilità" e che i beni mobili non sarebbero stati comunque assoggettati all’espropriazione, come poi affermato anche col decreto di trasferimento; che infatti non si tratterebbe di pertinenze di bene pignorato, assoggettabili al pignoramento ex art. 2912 cod. civ., per come desumibile dalla tipologia di eni, dal loro numero e dal loro valore.

Precisa la ricorrente che il motivo di opposizione era volto a far rilevare la intervenuta modifica del bene pignorato, non perchè anche i beni mobili avrebbero costituito oggetto della vendita, ma perchè l’immobile anzichè essere venduto come vuoto, sarebbe stato venduto dovendo tenere inscindibilmente al suo interno i beni contemplati nel provvedimento di vincolo (che però sarebbero rimasti nella proprietà dell’Associazione); pertanto, ne sarebbe risultata l’incongruità del prezzo di stima, e di conseguenza del prezzo di vendita, dal momento che la stima dell’immobile era stata fatta prima dell’imposizione del vincolo e senza tenere conto delle collezioni ivi custodite.

5.1.- Esplicitato come sopra il principale motivo di opposizione, la ricorrente passa a criticare la sentenza impugnata.

Questa, per quanto rileva ai fini del terzo motivo di ricorso, ritiene la congruità del prezzo di aggiudicazione di Euro 3.450.000,00 "in relazione a tutti i vincoli gravanti sul bene, e tenuto conto dei numerosi incanti andati deserti, e tenuto conto, altresì, delle precarie condizioni statiche del fabbricato, come risulta dal contenuto della C.T.U. …omissis…", nonchè in relazione all’esistenza del vincolo derivante dal decreto n. 53/2002, reputato dal giudice quale "ulteriore disincentivo alla partecipazione all’incanto" ed in relazione all’idoneità del prezzo alla completa soddisfazione di tutti i creditori ed alla durata della procedura esecutiva (iniziata nel 1996).

Quanto alla "dedotta differenza sostanziale fra il bene offerto e il bene venduto", il giudice osserva che esattamente sarebbe stato venduto l’immobile pignorato "con accessori e pertinenze, intendendosi come tali sicuramente anche le opere d’arte e il patrimonio librario, inscindibilmente legati all’immobile pignorato e venduto all’asta"; aggiunge che il debitore esecutato non avrebbe interesse a far valere la predetta differenza sostanziale, essendo al contrario interesse soltanto dell’aggiudicatario evitare di acquistare aliud pro alio.

5.2.- Deduce la ricorrente che il prezzo base d’asta sarebbe stato relativo esclusivamente "all’immobile nudo, ossia privo delle collezioni ivi custodite" ed aggiunge:

– quanto all’affermazione del giudice secondo cui sarebbero stati venduti con l’immobile anche le opere d’arte e il patrimonio librario, che questi non erano stati indicati nell’atto di pignoramento; che, non essendo legati all’immobile da vincolo pertinenziale, il creditore li avrebbe potuti colpire separatamente ai sensi dell’art. 513 cod. proc. civ. oppure li avrebbe potuti pignorare ai sensi dell’art. 556 cod. proc. civ.;

– quanto all’affermazione del giudice della natura di pertinenze dei beni mobili, che il decreto impositivo del vincolo non potrebbe essere inteso quale atto di destinazione ai sensi dell’art. 817 cod. proc. civ., e, mancando un atto di destinazione, mancherebbe il vincolo pertinenziale, che non può dipendere solo dalla relazione di fatto o di servizio esistente in fatto tra due beni; che, nel caso di specie, non potrebbero comunque essere considerate pertinenze le opere d’arte contenute nell’immobile, proprio per le caratteristiche dei beni stessi, considerati "immobili per destinazione", di alto valore artistico e culturale, oltre che identificati, vincolati e poi connessi, quali universalità, all’immobile nel quale sono custoditi, avendo un valore in sè pari se non superiore all’immobile;

– quanto alla parte della sentenza che ritiene la congruità del prezzo, che questa finirebbe per apparire addirittura come un paradosso, ove si volessero ritenere venduti (peraltro contro quanto detto nel verbale di aggiudicazione e nel decreto di trasferimento) anche i beni mobili; che questi non erano stati considerati nella perizia di stima effettuata ai sensi dell’art. 568 cod. proc. civ.;

che, peraltro già la stima del solo immobile effettuata nel 2000, laddove l’aggiudicazione è del 2006, sarebbe di per sè incongrua;

– quanto all’affermazione del giudice concernente il difetto di interesse dell’esecutata a dedurre l’alludo pro alio, che, in questo caso, a volere ritenere compresi nella vendita anche i beni mobili, non potrebbe non sussistere l’interesse dell’esecutata a far valere i propri diritti rispetto ad un notevolissimo patrimonio storico artistico e culturale, che sarebbe stato venduto senza tenere conto del suo valore, essendo il prezzo corrispondente al solo valore dell’immobile (ed addirittura, come detto, ben inferiore anche a tale valore).

La ricorrente deduce quindi, con riferimento ai primi due rilievi, la violazione dell’art. 817 cod. civ. (per mancanza di vincolo pertinenziale) e art. 819 cod. civ. (per pregiudizio dei preesistenti diritti dei soci, quali terzi, sui beni mobili), oltre che la violazione degli artt. 492, 556 e 568 cod. proc. civ.; con riferimento al terzo, la violazione degli artt. 555 e 586 cod. proc. civ. (per mancato rispetto del principio del giusto prezzo rispetto al bene pignorato, anche ove si considerasse il solo immobile, ed a maggior ragione ove fossero compresi i mobili); con riferimento al quarto, ancora, la violazione dell’art. 819 cod. proc. civ., per avere determinato il prezzo di stima in pregiudizio dei diritti vantati dai Soci sui beni mobili, non essendo stati questi considerati ai fini della determinazione.

6.- Il terzo motivo è fondato per le ragioni e nei limiti di cui appresso.

In punto di fatto è incontroverso, e risulta dagli atti, che l’atto di pignoramento notificato il 25 novembre 1996 e trascritto il 14 dicembre 1996, che, ad istanza del creditore F.S., ha dato inizio alla procedura esecutiva nei confronti dell’Associazione Circolo Artistico Politecnico, avesse ad oggetto esclusivamente il cespite immobiliare costituito dalla porzione del fabbricato sito in (OMISSIS), e precisamente quella posta al quarto piano ed in parte del quinto, meglio identificata nello stesso atto di pignoramento; così come non è discussione che la perizia di stima da parte dell’esperto nominato dal giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 568 cod. proc. civ., abbia riguardato unicamente questo cespite e si sia conclusa con la stima del valore dell’immobile, considerato come immobile storico e artistico vincolato ai sensi della L. n. 1089 del 1939 e delle leggi successive; altro dato incontroverso è costituito dall’imposizione del vincolo di cui al decreto n. 53 della Soprintendenza Regionale della Campania del 18 luglio 2002, sopravvenuta, quindi, a procedura esecutiva in corso, e precisamente dopo che le operazioni di vendita erano state delegate al notaio dott. Aldo Guerra con ordinanza del 6 febbraio 2001.

Il vincolo risulta imposto ai sensi del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, artt. 2, 6 e 8 e consiste – per quanto rileva in questa sede- nella dichiarazione di interesse particolarmente importante, ai sensi dell’art. 2, e nella sottoposizione a tutte le disposizioni di tutela contenute in esso, del complesso costituito dagli immobili, come sopra individuati, "e dalle opere d’arte, pittoriche, scultoree, e dal patrimonio librario in essi attualmente allocate che costituiscono immobili per destinazione in quanto raccolta di beni inscindibilmente legati per valori storici, artistici e culturali a quei locali …omissis…"; nella dichiarazione di importante interesse del consolidato uso per ritrovo artistico, sociale e culturale degli ambienti attualmente sede dell’Associazione; nel divieto "di smembrare e/o alienare le collezioni, ivi custodite, separatamente dall’immobile, effettuare frazionamenti al cespite o porre in essere interventi che comportino un cambio di destinazione d’uso".

Per una migliore comprensione di quanto si dirà a proposito dell’oggetto del pignoramento e della sua estensione, è sufficiente evidenziare che i beni mobili di che trattasi consistono in collezioni d’arte figurativa, a loro volta già vincolate ai sensi della L. n. 1089 del 1939, art. 4; in ulteriori opere pittoriche ed arredi di pregio (quali lampadari, orologi, salottini, tavoli) e strumenti musicali (pianoforti); in altri beni fatti oggetto di esposizione museale; in una vasta biblioteca; in una collezione di fotografie antiche; tutto, secondo quanto esposto nel ricorso, che riporta gli atti e le note della Soprintendenza che li riguardano.

6.1.- Va, in primo luogo, affrontata la questione risolta dal giudice di merito nel senso dell’imposizione di un vincolo a natura pertinenziale dei beni mobili a vantaggio dell’immobile, con conseguente applicazione dell’art. 2912 cod. civ..

Quest’ultima norma individua l’oggetto del pignoramento facendo riferimento oltre che alla "cosa pignorata", da intendersi quindi come cosa principale, anche agli accessori, alle pertinenze ed ai frutti. Coerentemente con l’intitolazione, la norma è interpretata nel senso che beni accessori (in questi comprese le accessioni verificatesi ex art. 934 cod. civ.: cfr. Cass. n. 26841/11, n. 6661/05, n. 7922/04, n. 3453/82) e pertinenze (cfr. Cass. ord. n. 3359/11; Cass. n. 14863/00r n. 5002/93, n. 3242/86) si debbano intendere assoggettati all’espropriazione anche quando non menzionati nè specificamente identificati nell’atto di pignoramento.

Peraltro, perchè operi l’estensione ex lege è necessario, con riguardo in particolare alle pertinenze, non solo che sussista in concreto una relazione di asservimento così qualificabile nel rispetto dell’art. 817 cod. civ., ma che questa risulti con caratteri di assolutezza ovvero di indispensabilità o di inequivocità del rapporto pertinenziale, in modo che si possa così sopperire alla lacuna riscontrabile nella trascrizione del pignoramento riguardante soltanto la cosa principale, a fini di tutela dei terzi (cfr. Cass. n. 2278/90). Inoltre, va precisato che il principio stabilito dall’art. 2912 cod. civ., non opera tutte le volte in cui la descrizione del bene riportata nel decreto di trasferimento contenga elementi tali da far ritenere che si sia inteso escludere l’applicazione dell’estensione (così Cass. n. 14863/00, Cass. n. 7522/87, Cass. n. 3453/82). E, comunque, fermi i limiti di legge (arg. ex art. 515 cod. civ.) ed il divieto di frazionare, in sede di pignoramento, una cosa principale che costituisca giuridicamente e funzionalmente un unicum (cfr. Cass. n. 4612/85) ovvero una cosa principale rispetto alla quale la pertinenza risulti inscindibile od indispensabile, ben può verificarsi che, già in sede di pignoramento, il vincolo venga apposto in modo da escludere il bene pertinenziale, che sia dotato di una propria autonomia funzionale e giuridica (arg. ex art. 818 cod. civ., comma 1, ultimo inc.), ovvero da colpire soltanto quest’ultimo (arg. ex art. 818 cod. civ., comma 2), purchè ciò risulti dall’atto, operando altrimenti l’art. 2912 cod. civ..

Dato quanto sopra, l’elemento oggettivo comunque indispensabile per la costituzione del vincolo pertinenziale presuppone un rapporto funzionale o strumentale che oggettiva-mente sussista tra la cosa principale e la cosa accessoria, tenuto conto della natura delle cose e della normale caratteristica oggettiva della cosa accessoria di servire o di essere da ornamento alla cosa principale (cfr., da ultimo, Cass. n. 24104/09). Orbene, con riguardo alle c.d. pertinenze urbane, e specificamente ai beni mobili a servizio o ad ornamento di edifici (sotto-categoria che viene in considerazione nel caso di specie, considerati beni di cui si tratta), è da escludere la natura di pertinenza delle suppellettili, degli arredi e dei mobili, che riguardino esclusivamente la persona del titolare del diritto reale sulla cosa principale e non la cosa in sè considerata; di regola, è da escludere la natura pertinenziale dei mobili che arredano un immobile, a meno che non siano destinati durevolmente all’ornamento di questo (come ad esempio statue od affreschi: cfr. Cass. n. 3610/01).

La riprova della rilevanza di tale distinzione ai fini dell’espropriazione è data dall’art. 556 cod. proc. civ., norma da ritenersi applicabile in tutti i casi in cui i mobili che arredano un immobile non abbiano natura di pertinenza, quindi non si trovino in tale relazione giuridica con l’immobile; la valutazione di opportunità è riferita al fatto che questi ne accrescano comunque il valore economico, nel senso che il valore dell’immobile arredato risulta maggiore della somma dei valori dell’immobile e degli arredi, in sè considerati.

6.2.- Orbene, nel caso di specie, è da escludere che, al momento del pignoramento, e comunque in ragione della natura dei beni, immobile e mobili, che vengono in considerazione sussistesse l’elemento oggettivo richiesto dall’art. 817 cod. civ., come sopra inteso. I beni mobili sui quali è stato apposto il vincolo col decreto n. 53 del 2002 non sono di natura tale da poter essere, in sè, considerati pertinenza dell’immobile, costituendo, per un verso, degli arredi di elevatissimo pregio ma non tali da essere destinati durevolmente al servizio o all’ornamento dell’immobile (secondo il concetto di durevolezza sopra chiarito, che presuppone un legame oggettivo, dovuto all’essenza ed alla natura della cosa accessoria, e non alla sua destinazione soggettiva ad ornamento dell’immobile, sia pure di lunga durata); per altro verso, costituendo beni, in sè, dotati, non solo di propria individualità ma anche di autonomia giuridica e funzionale, come le collezioni d’arte, la biblioteca e la collezione di fotografie.

D’altronde, l’atto di pignoramento, del cui contenuto si è detto sopra, non potrebbe essere inteso -nè, per il vero, è stato inteso nemmeno dalle parti resistenti- come comprendente ab origine i beni mobili assoggettati al vincolo.

7.- Allora, atteso che il vincolo è stato trascritto nei Registri Immobiliari in epoca successiva alla trascrizione del pignoramento, la questione posta dal ricorso riguarda la portata e gli effetti di esso, con specifico riguardo alla procedura esecutiva in corso.

Intanto, quanto detto sopra consente di affermare che nel caso di specie il vincolo non sia stato apposto in ragione di un rapporto preesistente da qualificarsi come pertinen-ziale ai sensi dell’art. 817 cod. civ., e segg., tale cioè che la rilevanza storico-artistica della cosa principale abbia, di conseguenza, indotto l’Amministrazione a vincolare anche le sue pertinenze (cfr., per tale eventualità, Cons. Stato n. 873/83, n. 1903/02, n. 2326/02).

Piuttosto, si è avuto che, già essendo vincolati sia l’immobile, in sè considerato, sia gran parte degli oggetti d’arte in sè considerati, i beni mobili siano stati qualificati come "immobili per destinazione" e si sia dichiarato di interesse particolarmente importante il "complesso" costituito dall’immobile e dai mobili, facendo divieto "di smembrare e/o alienare le collezioni ivi custodite separatamente dall’immobile, effettuare frazionamenti al cespite o porre in essere interventi che comportino un cambio di destinazione d’uso".

Una parte della dottrina -cui altra parte si è contrapposta- ha, in effetti, sostenuto che la nozione di pertinenza di cui all’art. 817 cod. civ., avrebbe sostituito quella dell’immobilizzazione di cui agli artt. 413 e 414 del codice del 1865; ciò è stato pure affermato in precedenti di questa Corte relativi ad un vincolo che iure publico gravava su un palazzo storico, ma in un caso in cui questo si poneva come complesso unitario, comprensivo anche degli affreschi che adornavano uno degli appartamenti del palazzo (vincolo, che, secondo entrambi i precedenti, riguardando anche il collegamento materiale degli affreschi con l’immobile, avrebbe conferito agli affreschi la qualificazione giuridica di beni immobili per destinazione ai sensi dell’art. 414 del previgente codice e di pertinenze dell’immobile alla stregua dell’art. 817 del vigente codice: Cass. S.U. n. 6180/85, nonchè Cass. n. 3610/01).

Per contro, ritiene il Collegio che la qualificazione di "immobili per destinazione", di cui al decreto della Soprintendenza in esame, non abbia comportato la creazione di un vincolo pertinenziale in senso proprio, come attualmente disciplinato dall’art. 817 cod. civ., e segg.. Ed, invero, l’effetto di inscindibilità consegue unicamente dall’imposizione del vincolo (così come nel regime del codice del 1865 l’immobilizzazione nasceva dalla volontà della legge: cfr.

Cass. n. 2504/76) e non dal rapporto oggettivamente (pre)esistente tra immobile e mobili, di cui si è detto sopra. Questa conclusione trova riscontro nel dato incontestabile per cui il vincolo rende i beni mobili giuridicamente inseparabili dall’immobile in virtù di eventuali atti di autonomia privata, sicchè questa non può esercitarsi liberamente, in particolare secondo le previsioni di cui all’art. 818 cod. civ., comma 1, ultima parte e comma 2. Pertanto, anche ove si voglia continuare, per comodità espositiva, a far riferimento ad un vincolo di tipo "pertinenziale", si deve comunque aver chiaro che il regime di esso si rinviene esclusivamente nell’atto amministrativo che l’ha costituito.

7.1.- Corollario di quanto sopra è che, nel caso di specie, beni mobili vincolati non possono venire in considerazione, con riguardo al procedimento di espropriazione in corso, ai fini dell’applicazione dell’art. 2912 cod. civ.. Pertanto, è errato il riferimento che la sentenza impugnata fa a questa norma.

Piuttosto, la vicenda va considerata tenendo conto dell’art. 2915 cod. civ., pure richiamato dalla ricorrente. Ritiene il collegio che il decreto della Soprintendenza Regionale della Campania n. 53 del 18 luglio 2002 abbia apposto un vincolo che possa essere qualificato di indisponibilità, ai sensi della norma appena citata, nei limiti in cui fa divieto di alienare l’immobile separatamente dalle collezioni ivi custodite.

In tali limiti esso non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell’esecuzione, secondo quanto stabilisce appunto l’art. 2915 cod. civ.. Esso, infatti, pur essendo posto nel pubblico interesse, non interviene a sancire l’indisponibilità assoluta del bene, vale a dire la sua incommerciabilità in ambito privatistico, per ragioni di prevalente interesse pubblico, con effetti pressochè equivalenti all’impignorabilità (cfr., per ipotesi di tal fatta, per le quali si è ritenuta l’inapplicabilità dell’art. 2915 cod. civ., Cass. n. 6755/87, n. 11564/97; cfr., altresì, con riguardo alla preordinazione all’espropriazione dell’ipoteca, Cass. n. 1693/06), ma ne vieta la vendita separatamente dal patrimonio mobiliare: per tale parte, essendo sopravvenuta la trascrizione del vincolo alla trascrizione del pignoramento, non può operare in pregiudizio dei creditori presentì nell’esecuzione; ciò, che avverrebbe se l’effetto del pignoramento venisse meno, ritenendosi l’immobile non espropriabile perchè pignorato separatamente dai beni mobili.

7.2.- Esso, tuttavia, si atteggia anche come vincolo imposto a titolo particolare sul bene già pignorato, in modo da restringere le facoltà di godimento e di disposizione in capo ai futuri proprietari, conformandone il diritto per ragioni di interesse pubblico, contemplate, oggi, dal D.Lgs. n. 42 del 2004. Per tale parte, è opponibile e produce effetto sia nei confronti dei creditori che nei confronti dell’aggiudicatario – acquirente.

Il bene oggetto del pignoramento è trasferito all’acquirente ai sensi dell’art. 2919 cod. civ., vale a dire nello stato di fatto e di diritto esistente al momento del pignoramento; tuttavia, hanno effetto nei confronti dell’acquirente – aggiudicatario i vincoli e le limitazioni del diritto di proprietà, a carattere pubblicistico, sopravvenuti al pignoramento, che conformano il diritto sul bene sia in quanto appartenente ad una determinata categoria, quindi assoggettato a limitazioni del diritto di proprietà di carattere generale, sia in quanto in sè considerato, quindi con un’imposizione a titolo particolare. Sono certamente tali i vincoli incidenti sulla attitudine edificatoria del bene (nascenti da provvedimenti adottati in forza della normativa edilizia od urbanistica) od i vincoli connessi con il suo carattere storico-artistico (tanto è vero che l’art. 173 bis disp. att. cod. proc. civ., introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3 ter, lett. d), convertito nella L. n. 80 del 2005 e succ. mod. impone che tali vincoli risultino dalla relazione di stima dell’esperto).

Trattandosi di vincoli opponibili all’acquirente, ne va data notizia nell’avviso di vendita (cfr. Cass. n. 4282/86, n. 6612/92); e comunque, essendo tali da limitare o diversamente conformare il godimento del bene e perciò, anche solo potenzialmente, idonei a modificare la destinazione e/o il valore dell’immobile offerto in vendita, ne va tenuto conto ai fini della stima (e ciò anche prima dell’entrata in vigore della disposizione transitoria appena citata, essendo insito nel sistema il principio della necessaria corrispondenza tra bene pignorato, bene offerto in vendita e bene oggetto di trasferimento, secondo quanto appresso).

7.3.- Il bene venduto in sede esecutiva non può che corrispondere al bene pignorato, ma, ove questo abbia subito modificazioni che ne comportino mutamento di natura e/o di caratteristiche e/o di valore, di tali modificazioni occorre tenere conto per garantire l’ulteriore necessaria coincidenza tra quanto offerto in vendita e quanto venduto.

Riscontro normativo si ha nell’art. 586 cod. proc. civ., comma 1, che richiede che il decreto di trasferimento venga pronunciato dal giudice, per trasferire all’aggiudicatario "il bene espropriato, ripetendo la descrizione contenuta nell’ordinanza che dispone la vendita"; questa ordinanza deve quindi contenere una descrizione del bene (cfr. Cass. n. 4665/81) e va resa pubblica con avviso che, a norma dell’art. 570 cod. proc. civ. (per questa parte non modificato dalle aggiunte di cui al D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005, non applicabili al caso di specie), deve contenere l’indicazione "degli estremi previsti nell’art. 555" (così realizzandosi il collegamento con l’atto di pignoramento) e "del valore dell’immobile determinato a norma dell’art. 568" (così realizzandosi il collegamento con la determinazione effettuata dall’esperto ai sensi del comma 3 di quest’ultimo articolo).

Eventuali difformità tra quanto pignorato e quanto offerto in vendita e/o venduto o tra quanto offerto in vendita e quanto venduto si traducono in vizi degli atti del processo esecutivo che possono essere fatti valere col rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi.

Giova precisare che il principio, affermato per difformità concernenti l’estensione di origine del pignoramento immobiliare (cfr. Cass. n. 7922/04, nonchè già Cass. n. 660/98), ben può essere applicato alle difformità conseguenti alle modificazioni del bene intervenute in corso di processo esecutivo ed aventi effetto anche nei confronti dell’aggiudicatario-acquirente.

Le conseguenze applicative più rilevanti, anche con riguardo al caso di specie, appaiono le seguenti.

7.3.1.- Ove fosse applicabile l’art. 2912 cod. civ., e quindi gli effetti del pignoramento si fossero estesi anche ai beni mobili, in ipotesi legati all’immobile pignorato da vincolo pertinenziale, le conseguenze non sarebbero state quelle ritenute dalla sentenza impugnata e sostenute dalle parti resistenti.

Anche le pertinenze, così come gli accessori, della cosa pignorata, se assoggettati all’espropriazione, devono essere considerati ai fini della determinazione del valore del/i bene/i pignorato/i ex art. 568 cod. proc. civ..

Ai sensi del terzo comma di quest’ultimo articolo, l’immobile il cui valore deve essere determinato dal giudice "agli effetti dell’espropriazione", coincide con quello che viene offerto in vendita come unico lotto; più precisamente, nè la norma in parola nè le altre che regolano la vendita senza incanto (artt. 570-575 cod. proc. civ.) e con incanto (artt. 576-591 cod. proc. civ.) e la delega delle operazioni di vendita (art. 591 bis cod. proc. civ.) richiedono che si proceda all’individuazione di un apposito e separato valore per ogni componente del lotto, anche qualora in questo vengono incluse pertinenze strutturalmente distinte dal bene principale; tuttavia le pertinenze debbono essere considerate (quindi anche individuate e descritte) dall’esperto stimatore, al fine di determinare il valore complessivamente riferibile al bene posto in vendita, essendo poi mera questione di merito, rimessa alla valutazione dell’esperto ed al controllo del giudice dell’esecuzione, l’individuazione di valori distinti per bene accessorio e bene principale (da sommarsi od altrimenti considerarsi ai fini della determinazione del prezzo base di vendita), ovvero l’individuazione di un valore unico e complessivo riferito al bene principale, che però tenga conto dell’esistenza di beni accessori. In conclusione, è l’omissione della valutazione delle pertinenze che si traduce nell’offerta in vendita di un bene diverso da quello pignorato e che determina invalidità degli atti del processo esecutivo (dell’ordinanza di vendita e/o dell’ordinanza di aggiudicazione e/o del decreto di trasferimento) rilevanti ex art. 617 cod. proc. civ. proprio a causa della mancata coincidenza di cui sopra.

Nè indicazioni di segno contrario possono ricavarsi dai precedenti citati (i quali hanno acclarato l’avvenuto trasferimento di un bene pertinenziale mai considerato in sede esecutiva: cfr., tra gli altri, Cass. n. 14863/00), poichè si tratta di fattispecie in cui la vicenda processuale espropriativa si era oramai conclusa con l’emissione del decreto di trasferimento non opposto e quindi idoneo a trasferire il bene oggetto del pignoramento compresi gli accessori e le pertinenze, malgrado il vizio del procedimento, nel corso del quale non si fosse tenuto conto di accessori o pertinenze (cfr., per il rimedio dell’art. 617 cod. proc. civ., in ipotesi siffatte, già Cass. n. 7922/04 cit.).

Nè ancora rileva la discrezionalità del giudice dell’esecuzione nella determinazione del valore dell’immobile pignorato, e comunque l’insindacabilità in cassazione dei relativi criteri, se non per vizio di motivazione, cui fa riferimento il controricorso della Nuova Edificatrice s.r.l.: il principio opera soltanto quando l’oggetto del pignoramento (cosa principale, accessori e pertinenze ed, eventualmente, frutti) sia stato correttamente considerato dall’esperto e dal giudice dell’esecuzione e sia in discussione soltanto il risultato dell’attività di valutazione, non anche quando questa abbia riguardato un oggetto diverso da quello pignorato per caratteristiche o per estensione.

7.3.2.- Queste conclusioni vanno ribadite, con le precisazioni che seguono, con riguardo al caso di modificazioni del bene pignorato, sopravvenute al pignoramento, come accaduto nel caso di specie.

Si deve escludere per quanto detto sopra ai punti 6.1, 6.2 e 7 che i beni vincolati con decreto n. 53 del 2002 costituiscano una pertinenza dell’immobile, ed in conseguenza, che a questi si sia esteso il vincolo del pignoramento ex art. 2712 cod. civ..

Parimenti si deve escludere, per quanto detto sopra ai punti 7.1. e 7.2, che l’imposizione del vincolo importi comunque, ex se, un’estensione del pignoramento ai beni mobili in ragione del divieto di alienazione del bene immobile separato dalle collezioni ivi custodite, di modo che anche di queste si debba procedere alla vendita forzata. E ciò, fatta sempre salva l’eventualità di altro pignoramento che venga a colpire anche i mobili (cfr. Cass. n. 1492/79, nonchè Cass. n. 9769/93, per l’eventuale applicazione dell’art. 556 cod. proc. civ.).

Tuttavia l’imposizione del vincolo di interesse culturale comporta, come detto, che, pur venendosi a determinare, a seguito della vendita forzata del bene immobile, una situazione di titolarità separata del diritto di proprietà rispettivamente su tale bene -in capo all’aggiudicatario acquirente – e sui mobili -in capo all’Associazione – essi siano comunque inscindibili, tali cioè che per il futuro è fatto divieto di smembrare e/o alienare le collezioni ivi custodite separatamente dall’immobile, oltre che effettuare frazionamenti al cespite o porre in essere interventi che comportino un cambio di destinazione d’uso.

Non vi è dubbio che si tratta di un vincolo che comunque incide sulla conformazione del diritto di proprietà sul bene pignorato, così come questo si atteggerà in capo all’acquirente aggiudicatario e che di esso occorre tenere conto per il principio di necessaria coincidenza tra bene offerto in vendita e bene venduto del quale si è detto, vale a dire per il principio per il quale, non solo rilevano le differenze tra bene pignorato e bene offerto in vendita quali risultanti da eventuale estensione del pignoramento a beni o parti di beni (apparentemente) non contemplati nell’atto di pignoramento, ma rilevano altresì le modificazioni del bene sopravvenute al pignoramento sia che si traducano in una differente estensione di questo sia che ne comportino diverse caratteristiche, sia che si traducano in modificazioni di valore.

In conclusione, l’imposizione di un vincolo connesso con il carattere storico-artistico di un bene immobile privato oggetto di pignoramento, sia che sussista al momento della trascrizione del pignoramento sia che sopravvenga in corso di procedura esecutiva, comporta che di essa si debba tenere conto ai fini della determinazione del valore del bene ex art. 568 cod. proc. civ. e si debba dare atto nell’ordinanza di vendita e nell’avviso di vendita.

8.- Nel caso di specie, la sentenza si limita ad affermare che "il richiamo ai provvedimenti della Soprintendenza ed ai vincoli esistenti sull’immobile" sarebbe stato effettuato ritualmente dal notaio delegato perchè risulta "anche dal contenuto del verbale di vendita".

E’ tuttavia incontestabile che del vincolo non si sia tenuto conto nè nella relazione di stima dell’immobile, nè nell’ordinanza di delega, essendo entrambe precedenti il decreto del 2002; nè risultano aggiornamenti della stima e/o modificazioni o integrazioni dell’ordinanza di vendita. Data tale situazione, la sola menzione del vincolo nel verbale di vendita, che è stato redatto dopo l’offerta in vendita, anche se prima della gara tra gli offerenti e quindi dell’aggiudicazione, non è certo idonea a sanare il vizio preesistente: se, infatti, si potrebbe escludere un pregiudizio giuridicamente rilevante per l’aggiudicatario (consapevole dell’esistenza del vincolo al momento dell’aggiudicazione), non si possono ritenere evitati gli ulteriori pregiudizi lamentati dalla ricorrente, a causa della differenza sostanziale tra il bene offerto in vendita ed il bene venduto.

In primo luogo, l’affermazione della sentenza secondo cui l’esistenza del vincolo avrebbe funzionato come "disincentivo alla partecipazione all’incanto" – pur se riscontrata dal dato (pur espresso nella sentenza impugnata) dell’abbandono dell’incanto da parte di taluni degli offerenti – si traduce in una petizione di principio se si considera che la platea degli offerenti avrebbe potuto essere composta diversamente se il bene fosse stato offerto in vendita come inscindibilmente connesso al patrimonio mobiliare in esso contenuto.

In secondo luogo, è mancato un adeguato riscontro tecnico ai fini della valutazione dell’incidenza, in concreto, del vincolo in parola sul valore dell’immobile; se, infatti, può essere considerato un dato di comune esperienza quello per il quale determinate tipologie di vincoli, proprio perchè limitativi delle facoltà di godimento e/o di disposizione del proprietario, incidono negativamente sul valore dell’immobile, non può tale dato essere applicato con riguardo al vincolo in parola: esso è, in astratto, confutato dal dato normativo del già menzionato art. 556 cod. proc. civ., che presuppone che possano darsi casi in cui un immobile arredato valga di più di un immobile vuoto; ed, in concreto, la situazione del bene pignorato come risultante dopo l’apposizione del vincolo è connotata da peculiarità tali da richiedere apposita valutazione, non potendo questa essere fondata su un (presunto) dato di comune esperienza.

8.1- Quanto all’interesse a far valere il vizio dell’aggiudicazione, è improprio il riferimento, fatto dai controricorrenti, così come dalla sentenza impugnata, all’ipotesi dell’aliud pro alio, con conseguente riserva in capo all’aggiudicatario della legittimazione ad agire. Ed invero, il rimedio prescelto dalla ricorrente e ritenuto appropriato da questa Corte è quello dell’opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento di aggiudicazione e gli atti successivi e conseguenti.

Altro e diverso da questo è il rimedio esperibile per l’aliud pro alio che il più recente orientamento di questa Corte riconosce in favore dell’acquirente aggiudicatario in sede esecutiva, ritenendo che l’esclusione della garanzia per i vizi della cosa, prevista dall’art. 2922 cod. civ., comma 2, con riferimento alla vendita forzata, si riferisca alle fattispecie previste da artt. 1490 a 1497 cod. civ. (vizi della cosa e mancanza di qualità) e non riguardi quindi l’ipotesi dell’aliud pro alio tra bene oggetto dell’ordinanza di vendita e bene oggetto dell’aggiudicazione (cfr. Cass. n. 11018/94, n. 10015/98, n. 4085/05).

L’aliud pro alio è configurabile quando la cosa appartenga a un genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza (ovvero manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere la sua naturale funzione economico-sociale) oppure risulti del tutto compromessa la destinazione della cosa all’uso che, preso in considerazione nell’ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto: in tali ipotesi, anche all’acquirente in sede esecutiva è riconosciuto il rimedio esperibile in caso di vendita volontaria.

Lo stesso principio è stato seguito da questa Corte a proposito delle garanzie di cui all’art. 1489 cod. civ., riconosciute all’aggiudicatario secondo la regola comune, qualora l’immobile aggiudicato risulti gravato da diritti reali o personali non apparenti nè indicati negli atti della procedura (cfr. Cass. n. 7294/03, n. 21384/05). Si tratta però di rimedi ulteriori che, nei confronti dell’aggiudicatario soltanto, si aggiungono ai rimedi endoesecutivi, e gli vanno riconosciuti in quanto equiparato all’acquirente volontario.

Le parti del processo esecutivo non possono, ovviamente, valersi dei rimedi comuni della vendita; sono, invece, legittimati a valersi dei rimedi endoesecutivi, specificamente del rimedio esperibile avverso gli atti viziati del processo esecutivo ex art. 617 cod. proc. civ.;

questo spetta a tutte le parti del processo esecutivo che dimostrino di avere interesse all’annullamento dell’atto opposto. Nel caso di specie, l’interesse all’opposizione dell’Associazione debitrice esecutata sussiste per le ragioni sopra esposte.

8.2.- La sentenza impugnata va pertanto cassata. Potendo questa Corte decidere nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., comma 2, va accolta l’opposizione agli atti esecutivi e va dichiarata la nullità dell’aggiudicazione del 24 ottobre 2006 e del provvedimento del giudice dell’esecuzione del 7 novembre 2006, nonchè degli atti successivi adottati nel processo esecutivo n. 2125/96 R.G.E. del Tribunale di Napoli.

Avuto riguardo alla peculiarità della vicenda e delle questioni giuridiche affrontate, ritiene la Corte di dover compensare le spese del grado di merito e del presente giudizio.

Resta così assorbito il quarto motivo di ricorso, relativo al regolamento delle spese del grado di merito.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione agli atti esecutivi proposta dall’Associazione Circolo Artistico Politecnico di Napoli con ricorso depositato il 13 novembre 2006 e, per l’effetto, dichiara la nullità dell’aggiudicazione del 24 ottobre 2006, del provvedimento del giudice dell’esecuzione del 7 novembre 2006 e di tutti gli atti successivi e conseguenti adottati nella procedura esecutiva n. 2125/96 R.G. E. del Tribunale di Napoli. Compensa le spese del grado di merito e del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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