Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-09-2011) 12-10-2011, n. 36761 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 24 settembre 2010, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina, in data 31 marzo 2008, che aveva condannato C.G. alla pena di anni due di reclusione ed Euro 500,00 di multa per il reato di estorsione tentata ai danni di G.A., oltre al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile, ed aveva assolto quest’ultimo dal reato di danneggiamento in danno del C., concesse le attenuanti generiche, rideterminava la pena inflitta all’imputato appellante in anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 350,00 di multa. In accoglimento dell’appello proposto, ai soli fini civili, da C.G. avverso la pronunzia di assoluzione di G.A., dichiarava quest’ultimo responsabile del danneggiamento a lui ascritto e lo condannava al risarcimento dei danni nei confronti del C., da liquidarsi in separata sede.

Avverso tale sentenza propongono ricorso sia il C. che il G. per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. C. G. solleva tre motivi di gravame.

Con il primo motivo deduce l’illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento delle risultanze dibattimentali in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. In particolare si duole che la Corte di Appello non abbia tenuto conto di tutti gli elementi probatori acquisiti, limitandosi ad un esame parcellizzato delle deposizioni testimoniali, senza pervenire ad un giudizio logico complessivo dei dati forniti dalle risultanze processuali.

Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione alla configurabilità del reato di estorsione, con riferimento all’intensità della minaccia ed alla sussistenza dell’ingiusto profitto. Al riguardo contesta l’idoneità della minaccia ed eccepisce l’assenza del requisito dell’ingiusto profitto.

Infatti, avendo la Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, riconosciuto la responsabilità del G. per il danneggiamento degli alberi, la richiesta di denaro avanzata dall’imputato doveva intendersi come richiesta di risarcimento del danno, integrante il meno grave delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Con il terzo motivo deduce vizio di omessa motivazione in ordine alla richiesta avanzata con l’atto d’appello di derubricazione del reato.

Infine il ricorrente contesta il ricorso proposto dalla difesa di G.A., chiedendone il rigetto per infondatezza.

G.A..

Contesta la pronunzia della corte d’appello di Messina in ordine alla propria responsabilità civile per il delitto di danneggiamento di alberi in danno del C., deducendo violazione di legge in relazione all’art. 194 c.p.p., comma 3, nonchè mancanza contraddittorietà e l’illogicità della motivazione.

Al riguardo eccepisce che la corte d’appello non poteva rovesciare la pronunzia di assoluzione emessa dal giudice di primo grado senza confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione del giudice di prime cure. In particolare si duole che la Corte abbia ritenuto utilizzabili le dichiarazioni del teste P., sebbene costui le abbia riferite a soggetti di cui non è stato in grado di indicare l’identità (gli operai che lavoravano per il G.).

Motivi della decisione

G.A..

Il ricorso è infondato.

Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte: "In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 33748 del 12/07/2005 Ud. (dep. 20/09/2005) Rv. 231679; in senso conforme: Sez. 4, Sentenza n. 28583 del 09/06/2005 Ud. (dep. 29/07/2005) Rv. 232441;

Sez. 2, Sentenza n. 746 del 11/11/2005 Ud. (dep. 11/01/2006) Rv.

232986; Sez. 6, Sentenza n. 6221 del 20/04/2005 Ud. (dep. 16/02/2006) Rv. 233083, Sez. 5, Sentenza n. 42033 del 17/10/2008 Ud. (dep. 11/11/2008) Rv. 242330).

Nel caso di specie la sentenza impugnata è coerente con tale principio di diritto in quanto la Corte territoriale ha specificamente confutato i più rilevanti argomenti della sentenza di primo grado ed ha dato conto delle regioni che giustificano la riforma del provvedimento impugnato. Le osservazioni del ricorrente non scalfiscono l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta illogicità della stessa. Di conseguenza il ricorso del G. deve essere rigettato.

C.G..

Il ricorso è fondato nei limiti di quanto segue.

La Corte d’appello di Messina, accogliendo l’appello proposto dallo stesso C.G. avverso l’assoluzione del G., ha ritenuto, quest’ultimo colpevole, sia pure ai soli fini civili, del reato di danneggiamento per aver tagliato 25 alberi di ulivo piantati sul terreno del C.. Alla luce di tale conclusione, cioè che – effettivamente – il C. sia stato vittima di una grave forma di danneggiamento, è evidente che – sotto il profilo del diritto – non può qualificata come estorsiva la richiesta della somma di Euro 5.000,00, essendo l’agente titolare del diritto a ottenere il risarcimento del danno ingiustamente subito.

In punto di diritto è pacifico, infatti, che: "Il delitto di estorsione si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia alla persone non tanto per la materialità del fatto, che può essere identica, quanto per l’elemento intenzionale atteso che nell’estorsione l’agente mira a conseguire un ingiusto profitto, con la coscienza che quanto pretende non gli è dovuto, mentre nell’esercizio arbitrario egli agisce al fine di esercitare un suo preteso diritto, con la convinzione che quanto vuole gli compete" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26887 del 12/03/2004 Ud. (dep. 15/06/2004) Rv. 229705).

Di conseguenza il fatto-reato ascritto al C. deve essere derubricato nel reato di tentativo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone. Così qualificata l’originaria imputazione, si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato (commesso in data 6/10/2003) estinto per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di G.A., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C. G. per essere il reato di cui agli artt. 56 e 393 c.p. – così qualificata l’originaria imputazione – estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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