Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-09-2011) 12-10-2011, n. 36760

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 27.2.11 la Corte d’Appello di Bologna, pronunciando in sede di rinvio dopo che la sua precedente sentenza del 24.10.05 era stata annullata dalla 6 Sezione di questa S.C. il 5.5.08 per omessa motivazione sull’impedimento a comparire dell’imputato, confermava la condanna emessa il 27.2.01 dal Tribunale di Ferrara nei confronti di F.F. per il delitto di falsa testimonianza commesso nel corso del processo a carico di M.F. in danno di B.O., celebratosi davanti al Pretore di Ferrara.

Tramite il proprio difensore il F. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) erroneamente l’impugnata sentenza aveva ravvisato il delitto di cui all’art. 372 c.p. nonostante che la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica da parte del giudice del dibattimento del processo di ingiurie fosse avvenuta senza previo ammonimento al F. ai sensi del combinato disposto degli artt. 207 e 497 c.p.p. a seguito delle difformi dichiarazioni successivamente rese da altro teste – Fe.Sa. – e senza che fosse stato disposto il confronto fra i due ex art. 211 c.p.p. nè che il F. fosse stato richiamato per dire la sua sulle difformi affermazioni provenienti dal Fe.;

b) ad ogni modo, la pretesa falsità delle deposizione del F. circa la sua presenza al momento delle ingiurie rivolte dal M. al B. era del tutto irrilevante, perchè al M. non era stata contestata l’aggravante del fatto commesso alla presenza di più persone; inoltre, il giudice del processo per ingiurie aveva tratto il proprio convincimento da elementi diversi dalla deposizione del F.; quanto al dolo, era dubbio che il ricorrente fosse davvero consapevole di dire il falso, dal momento che si era limitato a riferire ciò che ricordava a distanza di quattro anni dall’alterco fra il M. e il B.; per di più, lo stesso teste Fe., nel ricordare la presenza "almeno una volta" del F. insieme con il B. presso l’officina del M., aveva specificato di non ricordare se in quella occasione fossero state pronunciate frasi offensive; per il resto, la Corte territoriale aveva, in modo sbrigativo ed apodittico, dato credito a quanto asserito dal Fe. e dal B., nonostante le plurime e discordanti versioni da quest’ultimo rese nella querela e in successivi momenti in ordine ai luoghi e alle persone presenti; non era credibile il Fe. (che assisteva il B. come suo legale, all’epoca praticante avvocato) e vi erano delle incongruenze fra l’ipotesi accusatoria e quanto riferito da altri testi ( Be.) e dallo stesso M. (che, seppur sentito ex art. 210 c.p.p., aveva reso versione verosimile);

d’altronde, lo stesso B. non aveva detto che il F. aveva assistito al diverbio, ma solo che insieme con il Fe. lo aveva accompagnato presso l’officina del M.; tutte queste obiezioni, sebbene svolte nell’atto d’appello, non avevano ricevuto risposta dall’impugnata sentenza.

Motivi della decisione

1- Il motivo di ricorso che precede sub a) è manifestamente infondato, perchè nessuna norma di legge prevede che non possa denunciarsi una falsa testimonianza se non previo ammonimento del teste ex art. 207 c.p.p..

Nè l’omesso avvertimento al teste sospettato di falsità comporta nullità della deposizione a norma dell’art. 497 c.p.p., comma 3, che stabilisce che è prescritta a pena di nullità solo l’osservanza delle disposizioni di cui al comma secondo, tra le quali non è compreso l’avvertimento suindicato (cfr. Cass. Sez. 2 n. 31384 del 6.7.04, dep. 16.7.04).

Del pari nessuna norma di legge subordina la punibilità o la procedibilità del delitto p. e p. ex art. 372 c.p. all’esito del confronto tra testi che abbiano reso dichiarazioni fra loro inconciliabili o all’essere stato richiamato il teste per rispondere nuovamente su circostanze di fatto su cui se ne sospetta un precedente mendacio.

2- Il motivo sub b) è manifestamente infondato nella parte in cui si obietta l’irrilevanza della deposizione del F. per non essere stata contestata al M. l’aggravante del fatto commesso alla presenza di più persone e per aver il giudice del processo per ingiurie tratto il proprio convincimento da elementi diversi dalla testimonianza dell’odierno ricorrente: invero, per antico e costante insegnamento di questa S.C., il delitto di falsa testimonianza sussiste ogni volta che i fatti sui quali il teste falso e reticente ha deposto sono pertinenti alla causa e suscettibili di avere astratta efficacia probatoria, anche se poi – in concreto – la deposizione non ha influito sulla decisione del giudice, dovendosi la pertinenza e la rilevanza considerare ex ante, vale a dire con riferimento alla situazione processuale esistente al momento in cui il reato viene consumato e non ex post (cfr., per tutte, Cass. Sez. 6 n. 27533 del 29.5.09, dep. 6.7.09).

Nel caso di specie, non si può dire che l’essere stato il F. presente all’alterco costituisse un dato di fatto neutro e ininfluente: al contrario, ben poteva incidere sulla credibilità delle altre deposizioni e, in una parola, sull’esito dell’intero processo.

Per il resto, le doglianze del F. si collocano al di fuori del novero di quelle spendibili ex art. 606 c.p.p., sostanzialmente consistendo in mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, che con motivazione esauriente, logica e scevra da contraddizioni hanno esaminato il materiale dibattimentale evidenziando che, in realtà, non vi sono incompatibilità fra quanto riferito dal Be. e quanto riportato dal B. e dal Fe., rimarcando che due testimoni hanno riferito della presenza del F. all’alterco fra il M. e il B. e che lo stesso F. ha ammesso di aver incontrato il Fe. in quell’unica occasione.

L’impugnata sentenza ha altresì aggiunto che il B. aveva portato con sè, per parlare con il M., il Fe., che lo assisteva come legale, nonchè l’odierno ricorrente, quasi con la veste preventiva di testimone.

Lamenta, ancora, il ricorso un vizio di motivazione dell’impugnata sentenza in ordine al dolo, non potendosi escludere che il F. fosse inconsapevole di dire il falso, dal momento che si era limitato a riferire ciò che ricordava a distanza di quattro anni dall’alterco fra il M. e il B..

Ma in proposito è appena il caso di rilevare che, affinchè sia ravvisabile una manifesta illogicità argomentativa denunciabile mediante ricorso per cassazione, non basta rappresentare la mera possibilità di una ricostruzione diversa da quella ritenuta in sentenza (a riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata: cfr, Cass. Sez. 1 n. 12496 del 21.9.99, dep. 4.11.99;

Cass. Sez. 1 n. 1685 del 19.3.98, dep. 4.5.98; Cass. Sez. 1 n. 7252 del 17.3.99, dep. 8.6.99; Cass. Sez. 1 n. 13528 dell’11.11.98, dep. 22.12.98; Cass. Sez. 1 n. 5285 del 23.3.98, dep. 6.5.98; Cass. S.U. n. 6402 del 30.4.97, dep. 2.7.97; Cass. S.U. n. 16 del 19.6.96, dep. 22.10.96; Cass. Sez. 1 n. 1213 del 17.1.84, dep. 11.2.84 e numerosissime altre).

Nè le censure in punto di fatto sollevate dall’odierno ricorrente possono riciclarsi sotto forma di pretesa mancata risposta a specifiche doglianze: la giurisprudenza di questa Corte è costante nello statuire che nella propria motivazione il giudice del merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr, ex plurimis, Cass. Sez. 4 n. 1149 del 24.10.2005, dep. 13.1.2006; Cass. Sez. 4 n. 36757 del 4.6.2004, dep. 17.9.2004). In breve, la gravata pronuncia ha specificamente esaminato il materiale istruttorio e lo ha valutato con motivazioni immuni da vizi logico-giuridici. Ogni ulteriore contraria considerazione svolta dall’odierno ricorrente scivola sul piano del mero accertamento di fatto, estraneo a questa sede.

3- In conclusione, il ricorso è inammissibile. Consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Seconda Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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