Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4375 Possesso di buona fede

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’ottobre del 1989 la s.p.a. Automeccanica di Bribano evocò in giudizio dinanzi al tribunale di Treviso la s.p.a. Deutsche Bank Leasing, B.A. e la s.r.l. General Carri, chiedendo che l’adito giudice dichiarasse la inefficacia di due contratti aventi ad oggetto un autocarro di sua proprietà – e cioè l’atto di compravendita stipulato tra General Carri e Bai Leasing (poi Deutsche Bank, poi Franfinace Leasing Italia ed infine SG leasing s.p.a.) e il contratto di leasing intercorso tra quest’ultima e la ditta individuale B.A., con la conseguente condanna dei convenuti alla restituzione del veicolo e al risarcimento del danno.

A sostegno della domanda, la società attrice espose di aver acquistato l’autocarro dalla costruttrice, Gasser Iveco, nel dicembre del 1987, di aver incaricato la società ISI di compiere su di esso alcune modifiche autorizzate, di aver consentito che, al suo ritiro, provvedesse direttamente la General Carri; ma di aver poi appreso che il veicolo era stato venduto, il 22.12.1987, dalla General Carri alla Bai Leasing, per poi essere da quest’ultima concesso in locazione finanziaria ad B.A. (al quale essa attrice aveva rifiutato la consegna dei documenti necessari per l’immatricolazione).

Riassunto il procedimento a seguito dell’intervenuto fallimento della General Carri, il tribunale, nella contumacia della curatela, accolse una delle domande riconvenzionali della Deutsche Leasing e, dichiarata la proprietà di quest’ultima in relazione al veicolo in contestazione, condannò l’Automeccanica alla consegna dei relativi documenti.

La corte di appello di Venezia, investita dell’impugnazione proposta dall’attrice in prime cure, la accolse, dichiarando ad essa inopponibili entrambi i contratti, di compravendita e di locazione finanziaria, per non avere la società concedente acquistato il diritto di proprietà sul bene e per non averne B.A. conseguentemente acquistato alcun diritto reale o personale, onde il suo obbligo di restituzione in favore dell’appellante.

La sentenza è stata impugnata dalla S.G. Leasing s.p.a. con ricorso per cassazione articolato in 4 motivi di doglianza.

E’ costituito con controricorso e ricorso incidentale B. A..

V’ è altresì controricorso con ricorso incidentale della Immobiliare Bribano.

A tale ricorso incidentale resiste B.A..

Motivi della decisione

Tutti i ricorsi riuniti sono infondati.

IL RICORSO PRINCIPALE S.G. LEASING. Con il primo motivo, si denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto – nullità della sentenza e del procedimento (art. 360, n. 4, in relazione alla L. Fall., art. 120).

Assume la società ricorrente che la citazione in appello sarebbe stata notificata alla curatela del fallimento della General Carri nonostante la procedura concorsuale fosse stata chiusa per mancanza di attivo già nel maggio 1998 – onde la mancata costituzione del contraddittorio con la predetta società che, ai sensi e per gli effetti della disposizione della L. Fall., art. 120, andava evocata il giudizio in proprio e non in persona del curatore, ormai definitivamente cessato dalle sue funzioni.

Il motivo è privo di pregio.

Risulta, difatti, dagli atti di causa (cui questa corte ha diretto accesso per essere stato denunciato dal ricorrente un error in procedendo che la corte territoriale, preso atto dell’intervenuta chiusura della procedura fallimentare, ebbe a disporre la notifica della citazione in appello direttamente alla società tornata in bonis, incombente ritualmente adempiuto dalla società appellante (come da atto di integrazione del contraddittorio del 22.4.03 notificato al rappresentante legale della società presso la sua residenza in conseguenza della cessata attività della General Carri).

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1153 c.c.); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione si un punto decisivo della controversia.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:

L’art. 1153 trova applicazione nei confronti del possessore di buona fede di un bene mobile (autoveicolo) rientrante nella categoria dei beni mobili registrati ma non iscritto al PRA? Il quesito risulta, al pari del motivo che lo precede, del tutto inammissibile.

Questo giudice di legittimità ha già avuto modo di affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica concretamente unitaria (e non, come nella specie, del tutto astratta e frammentata) della questione di diritto sottoposta all’esame del giudice di legittimità, onde consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197). Ed è stato ulteriormente precisato (Cass. 19-2-2009, n. 4044) che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto; non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss.uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub indice.

"Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile" (così Cass. 24339/2008). La corretta formulazione del quesito esige, in altri ma non diversi termini (Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione, onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.

Quanto, poi, alla sintesi necessaria per l’esame del denunciato vizio di motivazione da parte della Corte sintesi, che, nella specie, manca del tutto – ancora le sezioni unite di questa corte hanno specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del sintagma "chiara indicazione del fatto controverso" in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: la relativa censura deve contenere, cioè, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Anche sotto tale aspetto, il motivo è destinato a cadere sotto la scure della inammissibilità.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1321 e 1326 c.c.); insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Il motivo è corredato dal quesito di diritto che segue:

Qualora il contratto di leasing ponga a carico dell’utilizzatele ogni onere e rischio conseguente alla consegna del bene e alla documentazione necessaria per la sua utilizzazione la società di leasing è tenuta a verificare, prima del pagamento del prezzo al fornitore, l’esistenza della documentazione necessaria per l’utilizzo del bene? La risposta al quesito viene correttamente fornita dalla corte di appello che, con motivazione esauriente e scevra da vizi logico- giuridici, ha opinato che la buona fede della società di leasing non potesse essere valutata separatamente rispetto a quella dell’utilizzatore, e che la condotta della Bai leasing, improntata a grave ed inescusabile negligenza, fosse stata tale da escluderne lo stato soggettivo di buona fede in guisa di necessario requisiti per il legittimo perfezionamento dell’acquisto ex art. 1153 c.c..

La corte territoriale, difatti, ha, con convincente motivazione, fondatamente e argomentatamente escluso che la situazione soggettiva dell’acquirente Bai leasing (oggi Franfinace) potesse, al momento del conseguimento del possesso del bene, legittimamente configurarsi in termini di buona fede in presenza di elementi di fatto sufficienti a lasciar presumere la mancanza di un presupposto fondamentale per la validità e l’efficacia del contratto, presupposto consistente nella effettiva titolarità del bene in capo alla dante causa General Carri, mai qualificatasi, nella specie, mandataria della reale proprietaria Automeccanica.

La corte veneta ha altresì specificato – senza con ciò incorrere in alcun vizio logico-giuridico del genere di quelli oggi prospettati a questo giudice di legittimità – che la presenza dell’autocarro presso le officine ISI consentiva una agevole ricognizione sul soggetto committente la modifica del cassonetto, e conseguentemente adempiente all’obbligo di pagamento e titolare del diritto alla riconsegna, indizi, tutti, che avrebbero altrettanto agevolmente condotto alla identificazione del reale proprietario del veicolo.

L’acquisto del quale, in assenza di qualsiasi documentazione – con particolare riguardo al certificato di origine, notoriamente rilasciato dal solo costruttore all’acquirente senza che vi sia ragione di separarlo neppure momentaneamente dal veicolo -, valutata in sinergia presuntiva con gli altri elementi poc’anzi indicati (tenuti in nessun cale dal giudice di primo grado), non poteva che deporre nel senso della totale assenza di buona fede dell’accipiens al di là ed a prescindere dal contenuto della clausola del successivo contratto di leasing (che prevedeva la trascrizione dell’acquisto e dello stessa locazione finanziaria), funzionale alla sola, formale riproduzione delle disposizioni regolamentari vigenti al tempo del negozio.

Le doglianze mosse alla decisione oggi impugnata sono, pertanto, irrimediabilmente destinate ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello dianzi descritto, dacchè esse, nel loro complesso, pur lamentando formalmente una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

In particolare, poi, quanto all’interpretazione adottata dai giudici di merito con riferimento al contenuto della convenzione negoziale per la quale è ancora processo (folio 6 della motivazione), alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice va nuovamente riaffermato che, in tema di ermeneutica contrattuale, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni normativi di interpretazione (sì come dettati dal legislatore all’art. 1362 c.c., e segg.) e la coerenza e logicità della motivazione addotta (così, tra le tante, funditus, Cass. n. 2074/2002): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili, con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1147 c.c.; insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:

La mancanza del certificato di origine è sufficiente ad escludere la buona fede dell’acquirente di un autoveicolo? La patente inammissibilità del quesito consegue alle considerazioni già svolte nel corso dell’esame del secondo motivo del ricorso.

IL RICORSO INCIDENTALE (ADESIVO) B..

La difesa B. premette (folio 10 del ricorso) di "assumere la veste formale di contro ricorrente, ancorchè la posizione processuale sia quasi del tutto allineata a quella della SG Leasing", salva l’attribuzione di esclusiva responsabilità (di cui al 3^ motivo del ricorso principale) allo stesso B. in ordine ai vizi della vicenda negoziale per la quale è ancora processo.

Con il primo motivo, si denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto – nullità della sentenza e del procedimento (art. 360, n. 4 in relazione alla L. Fall., art. 120).

Il motivo è infondato, riproducendo pedissequamente la doglianza di cui al primo motivo del ricorso principale in ordine ad una pretesa disintegrità del contraddittorio, e va – per le medesime ragioni esposte in precedenza – senz’altro rigettato.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1147, 2121 e 2129 c.c..

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:

Ai fine di superare la presunzione legale di buona fede di cui all’art. 1147 c.c., anche in correlazione con gli effetti dell’art. 1153 c.c., è insufficiente la mera allegazione di un dubbio mentre è necessario che vi siano indizi concreti tali da desumere una presunzione grave precisa e concordante sulla malafede dell’acquirente e, comunque, non è ammissibile una presunzione che fonda il suo dato di partenza da un’altra presunzione anzichè da un fatto noto? Il quesito risulta correttamente formulato e pertanto ammissibile.

La doglianza è peraltro infondata.

Non dubita il collegio della correttezza del presupposto logico- giuridico astrattamente rappresentato dal ricorrente con il motivo in esame, presupposto che si risolve, nella sua intima sostanza, nella riaffermazione del principio del divieto di doppia presunzione, della illegittimità, in altri termini, di un ragionamento e di un sillogismo probatorio fondato su di una praesumptio de praesumpto.

Erroneo si appalesa, peraltro, il presupposto fattuale da cui muove l’assunto del ricorrente, fondandosi, di converso, la motivazione della corte territoriale non su di una doppia presunzione, bensì su precisi elementi di fatto – congruamente e correttamente evidenziati con ragionamento probatorio immune da vizi logici, come più volte evidenziato in sede di esame del ricorso principale – che fondano, attesone il carattere plurimo, quella necessaria concordanza indiziaria idonea a radicare il libero convincimento del giudice del merito – concordanza che, diversamente da quanto opinato dal ricorrente (il quale la riconduce inammissibilmente ad un unico fatto presuntivo, mentre un unico fatto non potrebbe mai "concordare" … se non con se stesso) scaturisce da plurime circostanze fattuali sinergicamente ricostruite e collegate ai fini di una complessiva e conclusiva valutazione di assenza di buona fede in capo agli accipientes.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1147 c.c..

Il motivo è corredato dal quesito di diritto che segue:

Al fine di superare la presunzione legale di buona fede di cui all’art. 1147 c.c. anche in correlazione con gli effetti dell’art. 1153 c.c., è indifferente la prova o la presunzione di prova della malafede successiva al momento dell’acquisto dal momento che, per maturare gli effetti del combinato disposto degli artt. 1147 e 1153 c.c., è sufficiente che la buona fede sussista anche solo al momento dell’acquisto? La risposta al quesito viene correttamente fornita dalla corte di appello che, con motivazione esauriente e scevra da vizi logico- giuridici, ha opinato che la buona fede dell’acquirente, in ipotesi di acquisto a non domino, si ricolleghi e vada esaminato con riguardo al "fatto" del possesso (elemento costitutivo della fattispecie dell’acquisto di beni mobili), al momento, cioè, della traditio rei, idoneo a realizzare la successio possessionis dal tradens all’accipiens (alienante non legittimato e acquirente del relativo diritto di proprietà), senza che rilevi il momento perfezionativo del contratto di compravendita, idoneo a trasferire (non già il possesso ma) il diritto reale ad esso sotteso, giusta il principio consensualistico dell’ordinamento civilistico italiano.

Con il quarto motivo, si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 1147, 2727, 2729 c.c..

Il motivo (al di là dell’errata indicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non n. 5, come norma in concreto violata) è manifestamente infondato.

Esso ripropone, difatti, sotto altra veste (quella del difetto motivazionale) le medesime doglianze già svolte nei motivi che lo precedono, e già svolte dal ricorrente principale, delle quali non può, pertanto che confermarsene il rigetto.

Deve altresì essere rigettato il motivo (unico) del ricorso incidentale Bribano, che lamenta la mancata condanna solidale delle controparti, attesa la patente novità della questione, senza che il ricorrente incidentale indichi in quale fase del giudizio di merito il tema della solidarietà sarebbe stato tempestivamente sollevato e illegittimamente pretermesso.

A quanto sinora esposto consegue il rigetto di tutti i ricorsi.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza reciproca – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte, decidendo sui ricorsi riuniti, li rigetta, e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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