Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4373 Consumatori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel dicembre del 2000 C.V. evocò in giudizio, dinanzi al tribunale di Bari, la Valtur spa, per sentir dichiarare nulla o inefficace la clausola penale apposta ad un pacchetto turistico da lui acquistato ma non utilizzato a causa di una malattia che lo aveva obbligato ad un ricovero ospedaliero e un ad intervento chirurgico, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione dell’intero corrispettivo da lui versato; ovvero, in subordine, a veder ridurre equamente l’importo della medesima penale, avendo la Valtur trattenuto il 50% dell’importo da lui versato e rimborsato il restante 50% con un buono vacanze da utilizzare presso un villaggio della medesima società.

Il giudice di primo grado dichiarò la carenza di interesse ad agire dell’attore con riferimento alla richiesta di vessatorietà della clausola contrattuale disciplinante il diritto di recesso del consumatore (clausola che prevedeva, in caso di disdetta comunicata entro 5 giorni dalla partenza, una penale pari al 100% dell’importo convenuto), respingendo nel merito la residua parte di domanda proposta dal C..

La corte di appello di Bari, investita del gravame proposto dal C., lo accolse, dichiarando inefficaci, ai sensi dell’art. 1469 quinquies c.c., le clausole contrattuali di cui ai nn. 6 e 7 delle condizioni generali del contratto stipulato tra le parti, inefficacia estesa ipso facto alla contestata la clausola penale.

La sentenza è stata impugnata dalla Valtur con ricorso per cassazione articolato in 2 motivi.

Resiste il C. con controricorso, integrato da ricorso incidentale condizionato (cui resiste con controricorso la Valtur).

Motivi della decisione

Il ricorso principale va respinto, e al suo rigetto consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 1469 sexies c.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3);

insufficiente motivazione circa la carenza di interesse ad agire.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

Dica la Corte Suprema se vi sia carenza di interesse ad agire da parte del consumatore uti singulis nel caso in cui egli agisca per sentir dichiarare che la clausola inerente un contratto, la quale prevede l’obbligo della corresponsione di una penale, e le altre ad essa collegate sono inefficaci nella parte in cui non è previsto il suo diritto ad ottenere il doppio della caparra.

Il quesito – e conseguentemente il motivo che lo precede – non può (al di là dalla sua infondatezza nel merito) ritenersi ammissibile in rito.

Innegabile ne appare, difatti, la carenza dei requisiti essenziali richiesti da questa corte, con giurisprudenza ormai consolidata, quanto a forma e contenuto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile, nella specie, ratione temporis).

Questo giudice di legittimità ha già avuto modo di affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi della norma in parola, in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria (e non, come nella specie, frammentata o frazionata) della questione, onde consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), mentre è stato ulteriormente precisato (Cass. 19-2-2009, n. 4044) che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto; non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss.uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice.

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve, in altri termini, comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, onde la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. 24339/2008). La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione, onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.

Non rispondendo il quesito in esame ad alcuno dei requisiti suesposti, la sua inammissibilità appare irredimibile.

Quanto al (contestualmente) denunciato difetto motivazionale, va ancora osservato, in ordine alla sintesi necessaria per l’esame del vizio de quo da parte della Corte, come le stesse sezioni unite di questa corte abbiano specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del sintagma "chiara indicazione del fatto controverso" in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: la relativa censura deve contenere, cioè, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (nella specie, le sezioni unite hanno ritenuto che il motivo non fosse stato correttamente formulato in quanto, esattamente come nel caso che oggi occupa il collegio, la contraddittorietà imputata alla motivazione riguardava punti diversi della decisione, non sempre collegabili tra di loro e comunque non collegati dal ricorrente).

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 1469 bis c.c., comma 1, art. 1469 ter c.c., u.c., art. 1469 quinqiuies c.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3).

Il motivo è anch’esso inammissibile, poichè, pur lamentando un vizio di violazione di legge, non si conclude con la formulazione di alcun quesito di diritto.

Al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento di quello incidentale, espressamente indicato come condizionato, ricorso che, peraltro, ai fini del riparto delle spese, non può non essere valutato, per incidens, a sua volta inammissibile per difetto di quesito (il motivo lamenta, difatti, a sua volta una violazione falsa applicazione di legge, sub specie degli artt. 1382, 1384, 1386 c.c.).

P.Q.M.

La corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato, e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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