Cons. Stato Sez. VI, Sent., 14-11-2011, n. 6003

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con distinti ricorsi proposti avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio alcuni dipendenti dell’Istituto per il commercio l’ estero (I.C.E.), o loro aventi causa per successione ereditaria, formulavano domanda di l’annullamento.

a) dei singoli provvedimenti del Direttore generale dell’I.C.E. nella parte in cui era stata respinta l’ istanza volta a conseguire la riliquidazione del trattamento di fine rapporto (TFR), tenendo conto nella base di calcolo anche dell’assegno integrativo e dell’assegno contrattuale aggiuntivo, in riferimento al combinato disposto degli artt.19, 20, 22, 23 e 24 del I e II contratto di lavoro per i dirigenti I.C.E. all’epoca vigenti e in ordine di opzione ex lett. b) dell’art.19 delle predette norme contrattuali;

b) della delibera del Consiglio di amministrazione dell’I.C.E. n.59 del 27 dicembre 1992 in base alla quale era stata disposta la limitazione riduttiva del t.f.r.

c) di tutti gli atti di approvazione assunti dal Ministero per il Commercio Estero in ordine alla nuova disciplina del t.f.r.; dell’art.19, ultimo comma, del contratto di lavoro relativo al personale dirigente se e in quanto interpretato e applicato in senso lesivo del giusto trattamento di fine rapporto, nonché per il riconoscimento del diritto ad ottenere il t.f.r. sulla base di una giusta liquidazione ex artt. 2120 Cod. civ. e 13 della legge 20 mazo 1970, n.75, con conseguente condanna dell’I.C.E. al pagamento delle differenze integrative spettanti, con rivalutazione monetaria e interessi.

Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe, il Tribunale amministrativo, dopo aver richiamato alcuni propri precedenti giurisprudenziali conformi, accoglieva i proposti gravami, riconoscendo il diritto degli interessati alla sopra indicata pretesa integrazione della base di calcolo del trattamento di fine rapporto, con conseguente condanna dell’I.C.E. al pagamento delle differenze integrative spettanti, con rivalutazione monetaria e interessi.

Avverso detta sentenza l’ I.C.E. interponeva appello con il quale – dopo avere rilevato che, in base ad una consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi su analoghe questioni sorte relativamente al computo del trattamento di servizio dei dipendenti dell’I.C.E., erano già state riconosciute le ragioni dell’Istituto stesso, a seguito di un’attenta analisi delle fasi attraverso le quali si era perfezionata la disciplina del trattamento di fine rapporto in questione – contrastava le conclusioni del primo giudice perché non conformi al quadro normativo e regolamentare di riferimento e chiedeva la riforma e/o annullamento della sentenza impugnata.

Con decisione n. 7234 del 2010 l’appello era accolto e, in riforma delle sentenze del Tribunale regionale, erano respinti i ricorsi in primo grado

. Con i ricorsi di estremi indicati in epigrafe i dipendenti dell’ I.C.E. interessati hanno proposto domanda di revocazione della decisione assunta in grado di appello.

In tutti i ricorsi è dedotto, in via rescindente, che la sentenza impugnata è affetta, ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc.civ., da errore di fatto nella cognizione dell’ esistenza e contenuto di atti processuali, per avere omesso di pronunziarsi su specifica eccezione di inammissibilità degli atti di appello, dedotta nella memoria del difensiva del 17 maggio 2010, ed inerente alla mancata contestazione delle sentenze del Tribunale amministrativo, nella parte in cui è "riconosciuta l’illegittimità della delibera impugnata (delibera del C.A: n. 59 del 27 ottobre 1992) per effetto dell’omesso accordo sindacale", con formazione in conseguenza di giudicato sul punto controverso.

In via rescissoria è posto in rilievo che il giudice di appello, in assenza di puntuale motivo, non poteva prendere in considerazione la questione della portata innovativa o meno della delibera del consiglio di amministrazione dell’ I.C.E. n. 59 del 1992, con conseguente formazione del giudicato su quanto al riguardo statuito dal Tribunale regionale.

2). Le impugnazioni, proposte con separati ricorsi avverso la medesima sentenza, vanno riunite ai sensi dell’art. 96, comma 1 Cod. proc. amm., per la decisione con un’unica sentenza.

2.1). I ricorsi, identici nei motivi ed indirizzati avverso la medesima sentenza, possono formare oggetto di congiunto ed unitario esame.

2.2). Come esposto in punto di fatto i ricorrenti riconducono l’errore revocatorio alla non corretta percezione degli atti di causa da parte del giudice, per avere questi omesso di pronunziarsi su specifica eccezione, in sede di note a difesa, relativa alla mancata contestazione da parte dell’ Istituto appellante del punto di decisione del Tribunale regionale relativo alla declaratoria di illegittimità delle delibera del Consiglio di amministrazione del predetto Istituto n. 59 del 1992, che aveva circoscritto, in assenza di accordo con le organizzazioni sindacali, la computabilità degli elementi contributivi, ai fini del trattamento di fine rapporto, al solo stipendio tabellare.

In sostanza la sentenza oggetto della domanda di revocazione verrebbe a fondarsi sulla riconduzione ai ricorsi in appello proposti dall’ I.C.E. di un contenuto demolitorio più ampio rispetto a quello che, sul piano strettamente formale, emerge dagli atti di causa, e ciò malgrado apposito rilievo al riguardo formulato dalle parti intimate in sede di scritti defensionali.

2.3). L’ordine argomentativo dei ricorrenti non va condiviso.

Coni i distinti atti di appello l’ I.C.E. aveva ricondotto all’esame di questo Consiglio, con pieno effetto devolutivo, la questione delle voci retributive da assumere a base di calcolo per la determinazione del trattamento di fine rapporto del personale dipendente, ribadendo l’ esclusivo riferimento alla nozione di stipendio tabellare ed alla non inclusione, in conseguenza, dei trattamenti economici aggiuntivi, quali l’assegno integrativo e l’assegno contrattuale aggiuntivo.

In sede di appello era, altresì, fatto specifico riferimento alla delibera del consiglio di amministrazione dell’ I.C.E. n. 59 del 1992, riconoscendo ad essa l’unica interpretazione possibile della disposizione contrattuale sul t.f.r., con riconduzione della stessa delibera nei criteri e nei limiti alla stregua dei quali si può esplicare l’autonomia dell’ente, a mezzo di scelta coerente conl’evoluzione del dibattito contrattuale, nonché con un’interpretazione teleologica della previsione.

Non vi è stata, quindi, acquiescenza dell’ Istituto al dictum del primo giudice che aveva ricondotto alla delibera in questione contenuto innovativo in materia di trattamento di fine rapporto, precluso all’ Amministrazione in assenza di specifico accordo con le organizzazioni sindacali.

Al punto 3) della motivazione della sentenza di cui si domanda la revocazione viene ribadita la natura interpretativa della delibera n. 59 del 1992, confermando l’indirizzo giurisprudenziale di cui a Cons. Stato, V, 30 gennaio 1996, n. 152; 19 novembre 1996, n. 1608; 26 febbraio 1998, n. 214 cui l’ I.C.E. aveva fatto pedissequo richiamo nei ricorsi in appello.

Ciò posto non costituisce errore revocatorio, ai sensi dell’art. 365, n. 4 Cod. proc. civ., l’assenza di un puntuale e formale richiamo del giudice di appello, in sede di motivazione, dell’eccezione formulata nelle note a difesa degli odierni ricorrenti in ordine all’omessa impugnazione da parte dell’ I.C.E. della statuizione del Tribunale regionale relativa alla natura innovativa della delibera n. 59 del 1992.

L’art. 65 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, vigente alla data di emissione della sentenza impugnata, stabiliva al n. 3 che la decisione deve contenere una succinta esposizione dei motivi di fatto e di diritto. La regola di sinteticità degli atti del giudice e delle stesse parti è ora codificata all’art. 3, comma 2, Cod. proc. amm..

Ai fini del riscontro della completa e corretta percezione da parte del giudice degli atti processuali assume, quindi, rilievo che il punto controverso sia stato preso in considerazione, indipendentemente da ogni specifico ed analitico riferimento ai singoli atti di parte che hanno introdotto il thema decidendum, con la conseguenza che l’assenza di formale richiamo non può essere elevato ad indice sintomatico della sussistenza dell’errore revocatorio (cfr. sul principio Cass., III, 3 giugno 2002, n. 8023; 4 giugno 1992, n. 6876).

Per le considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato inammissibile.

Ragioni equitative consentono al compensazione fra le parti di spese ed onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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