Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-09-2011) 12-10-2011, n. 831

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 3 dicembre 2010, la Corte d’Appello di Reggio Calabria confermava la pronuncia con la quale, l’1 marzo 2010, il Tribunale di quella città aveva affermato la penale responsabilità di S.S. per i reati di violenza sessuale, violenza privata, maltrattamenti in famiglia in danno della moglie V. M., nonchè per il reato di maltrattamenti in famiglia in danno della figlia minore S.C..

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 603 c.p.p. ed il vizio di motivazione rilevando come, unitamente alla presentazione di una memoria, aveva richiesto alla Corte territoriale di poter depositare alcuni documenti attestanti il suo stato di tossicodipendenza, i colloqui in carcere intrattenuti con la persona offesa, alcune lettere a firma delle persone offese ed una consulenza attestante le patologie dalle quali era affetto e che chiaramente influivano sulla sua capacità di intender e di volere.

Tale documentazione, il contenuto della quale giustificava a suo dire la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, era accompagnata anche dalla richiesta di nuova escussione di V.M..

Assumeva, a tale proposito, che la Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta rilevando di essere in grado di decidere allo stato degli atti, con affermazione del tutto apodittica e motivazione meramente apparente, mentre aveva del tutto taciuto sulla richiesta di nuova escussione della persona offesa.

Con un secondo motivo di ricorso rilevava il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 192 c.p.p., in quanto la Corte territoriale, pur dando atto della differenza di contenuti tra le dichiarazioni rese dalla V. in sede di indagini preliminari e la deposizione testimoniale nel corso del dibattimento di primo grado, aveva accordato preferenza alle prime, pervenendo ad un giudizio di attendibilità fondato su considerazioni del tutto assertive, tanto più che la ritrattazione concerneva il solo episodio di violenza sessuale e non anche gli altri fatti contestati.

Con un terzo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, per avere i giudici dell’appello rinvenuto elementi di riscontro alla deposizione della parte offesa nelle dichiarazioni rese dagli altri testimoni escussi i quali, però, avevano riferito circostanze delle quali non avevano avuto diretta percezione.

Con un quarto motivo di ricorso lamentava, infine, la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, motivata in modo insufficiente e senza tener conto del fatto che la documentazione sulle sue condizioni personali, la cui acquisizione non era stata consentita dalla Corte territoriale, avrebbe indotto a diverse conclusioni.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre rilevare, con riferimento alla questione relativa alla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ed al rigetto della richiesta di allegazione di documenti dedotta nel primo motivo di ricorso che, dall’esame della motivazione della sentenza impugnata, emerge chiaramente come la Corte d’Appello abbia correttamente applicato il disposto dell’art. 603 c.p.p..

La richiamata disposizione, infatti, consente al giudice dell’appello di disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale solo nel caso in cui ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti.

Si tratta, pertanto, di un’evenienza del tutto eccezionale, poichè deve superare la presunzione di completezza dell’indagine probatoria del giudizio di primo grado, alla quale il giudice può ricorrere solo quando a ritenga necessaria ai fini della decisione (così Sez. 3, n. 24294, 25 giugno 2010).

Per quanto attiene, in particolare, all’onere motivazionale, deve ricordarsi che una specifica motivazione è richiesta solo in caso di rinnovazione, in quanto deve rendersi conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti mentre, in caso di rigetto, è ammissibile la motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito e tale da evidenziare la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità e, conseguentemente, la mancanza di necessità di una rinnovazione del dibattimento (Sez. 3, 24294U0 cit; Sez. 5, n. 15320, 21 aprile 2010;

Sez. 4, n. 47095, 11 dicembre 2009; Sez. 5, n. 8991, 08/08/2000).

A conclusioni analoghe deve giungersi per quanto riguarda la mancata acquisizione dei documenti prodotti.

Invero, è pacificamente riconosciuta la possibilità di procedere all’acquisizione di documenti al fascicolo del dibattimento per il giudizio di appello nel contraddittorio delle parti senza necessità di apposita ordinanza che disponga la rinnovazione parziale del dibattimento (Sez. 4, n. 1025, 17 gennaio 2007; SS. UU. n. 33748, 20 settembre 2005) ma tale acquisizione non può comunque prescindere anche da una valutazione del giudice in ordine alla rilevanza dei documenti medesimi ai fini del decidere.

Nella fattispecie, la Corte territoriale ha chiaramente esplicitato le ragioni per le quali non riteneva necessaria l’acquisizione dei documenti prodotti, affermando nell’ordinanza di rigetto di essere in grado di pervenire ad una decisione sullo stato degli atti e fornendo poi nella motivazione dell’impugnato provvedimento una esaustiva indicazione della solidità dell’impianto probatorio acquisito nel giudizio di primo grado.

Le risultanze dell’istruzione del giudizio di primo grado sono oggetto delle censure formulate nel secondo e terzo motivo di ricorso.

Sul punto la Corte territoriale ha riconosciuto la piena attendibilità delle dichiarazioni rese dalla V., fornendo una compiuta descrizione della vicenda processuale con puntuale indicazione della sequenza temporale degli accadimenti e manifestando adesione all’iter logico argomentativo seguito dai giudici di prime cure, che legittimamente richiamava.

Con riferimento specifico alle dichiarazioni della persona offesa, la Corte territoriale ne evidenziava i profili di coerenza, precisione e logicità, richiamando anche l’esistenza di riscontri nelle dichiarazioni degli altri testimoni escussi.

Alle doglianze mosse nell’atto di appello viene fornita accurata risposta, preceduta da un esatto richiamo ai principi espressi da questa Corte in materia di verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato.

A tale proposito i giudici del gravame, dopo aver ricordato che la predetta aveva fornito versioni diverse dei fatti nel corso delle indagini preliminari ed in occasione della deposizione resa al dibattimento, richiamavano i contenuti delle contestazioni effettuate dal Pubblico Ministero e degli interventi del Presidente del collegio risultante dai verbali del giudizio di primo grado pervenendo alla conclusione, coincidente con quella dei primi giudici, che la ritrattazione era evidentemente finalizzata dall’intenzione di ridimensionare la responsabilità dell’imputato e del tutto ingiustificata, posto che la donna non era stata in grado di spiegare le ragioni per le quali avrebbe dichiarato il falso davanti al personale di polizia giudiziaria.

La Corte territoriale rileva, inoltre, che le precedenti dichiarazioni erano connotate da logicità e coerenza, tanto che il giudizio di attendibilità che ne era conseguito non risultava automaticamente inficiato dalla generica e immotivata ritrattazione.

La valutazione cui è pervenuta la Corte del merito risulta del tutto corretta ed immune da censure.

Invero, nei procedimenti concernenti il reato di maltrattamenti in famiglia o alcuni delitti conto la persona consumati in ambito familiare la ritrattazione, da parte persona offesa escussa in dibattimento, delle dichiarazioni precedentemente rese nel corso delle indagini preliminari non è un’evenienza infrequente, specie nei casi in cui la celebrazione del processo avvenga dopo diverso tempo dalla consumazione dei reati e trae origine da cause diverse quali, ad esempio, una ritrovata sintonia nei rapporti interpersonali o la sopravvenuta conoscenza delle conseguenze di una eventuale condanna per la persona precedentemente denunciata.

A fronte di tali situazioni il giudice del merito è chiamato ad una valutazione di attendibilità della ritrattazione e ad un raffronto con i contenuti delle dichiarazioni precedentemente rese da effettuarsi attraverso una rigorosa analisi critica all’esito della quale, ritenuto superato il contrasto, potrà procedere ad una attribuzione di rilevanza probatoria indicando le ragioni per le quali ritiene di dover ritenere preponderante l’una o l’altra dichiarazione.

Si è peraltro precisato, da parte di questa Corte, che tale scelta non è sindacabile in sede di legittimità quando il contenuto della ritrattazione, raffrontato con le precedenti dichiarazioni, sia valutato in base ad esatti criteri logici e di metodo e tale giudizio sia suffragato da una motivazione analitica e completa del convincimento e della scelta operata (Sez. 4, n. 1982, 18 febbraio 1994; Sez. 1, n. 1165, 7 febbraio 1992).

Tali principi sono condivisi dal Collegio, che osserva come la Corte d’Appello si sia attenuta a criteri di estremo rigore nel valutare le affermazioni della persona offesa operando, oltre al doveroso confronto di cui si è appena detto, anche una ricerca degli elementi di riscontro rinvenibili nelle dichiarazioni degli altri testimoni escussi in generale ed, in particolare, dei genitori della donna, i quali hanno riferito di aver appreso dalla figlia della violenza subita e dell’uomo che ebbe con lei una relazione sentimentale e che pure aveva avuto modo di apprendere dalla V. della violenza sessuale.

La tenuta logica e la solidità strutturale che caratterizzano, anche sul punto, la motivazione consentono dunque alla decisione impugnata di superare indenne il vaglio di legittimità senza essere intaccata dalle argomentazioni svolte in ricorso che si risolvono, sostanzialmente, nella prospettazione di una diversa lettura delle dichiarazioni testimoniali.

Parimenti infondato risulta l’ultimo motivo di ricorso.

Occorre infatti ricordare che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicchè deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 1, n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6, n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6, n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1, n. 4200, 7 maggio 1985).

Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve affermarsi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 2, n. 3609, 1 febbraio 2011; Sez. 6, n. 34364, 23 settembre 2010) con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6, n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. 6, n. 7707, 4 dicembre 2003).

Nella fattispecie, con motivazione anche in questo caso coerente ed immune da vizi logici, i giudici del gravame hanno posto in rilievo la gravità e la reiterazione delle condotte poste in essere dal ricorrente, la sua indole particolarmente violenta ed il negativo giudizio sulla personalità scaturente anche dalla presenza di rilevanti precedenti penali a suo carico, elementi, questi, più che sufficienti per giustificare il contestato diniego.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *