Cass. civ. Sez. V, Sent., 21-03-2012, n. 4523 Riscossione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La CTR della Campania, con sentenza n. 282/7/09 depositata il 6.10.2009, confermando la decisione della CTP di Napoli, ha rigettato il ricorso proposto da C.S. avverso l’invito con cui l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) aveva chiesto il pagamento dei tributi gravanti su kg. 15.135 di tabacchi lavorati esteri ed interessi, evasi perchè introdotti fraudolentemente nel territorio doganale. I giudici d’appello, per quanto ancora interessa, hanno considerato che: 1) la circostanza che l’invito impugnato era stato emesso in sostituzione di un altro, precedentemente emanato, non costituiva illegittimo esercizio del potere di autotutela, ma una valida integrazione degli elementi a carico del contribuente, prima riferiti all’informativa di reato e, poi, all’esito a lui sfavorevole del procedimento penale che con quella aveva avuto inizio; 2) le aliquote dei tributi applicati erano individuabili mediante una semplice divisione del totale richiesto rispetto al quantitativo contestato di tabacchi introdotti di contrabbando, secondo quanto esplicitato in una nota inviata dall’AAMS alla Procura della Repubblica, acquisita agli atti, di cui il C., funzionario di dogana esperto nel settore, era a conoscenza perchè inclusa negli atti del procedimento penale a suo carico; 3) l’invito conteneva una motivazione per relationem alla sentenza penale di condanna conosciuta dal contribuente, in grado di svolgere compiutamente le proprie difese; 4) il giudicato penale costituiva una fonte di prova ammissibile, e nella specie convincente, in relazione agli elementi acquisiti, ai quali, peraltro, il contribuente non aveva opposto, nel giudizio tributario, elementi probatori idonei a scagionarlo dall’illecito addebitatogli;

5) non essendo il quantitativo di tabacchi indicato dall’invito stato oggetto di sequestro, il pagamento dei tributi era dovuto, non potendo trovare applicazione le agevolazioni doganali in ambito comunitario.

Per la cassazione di tale sentenza, C.S. ha proposto ricorso, sulla scorta di cinque motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso. l’AAMS non ha presentato difese.

Motivi della decisione

Col primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR limitato l’efficacia non vincolante del giudicato penale solo per la posizione dell’AMMS, estranea a quel giudizio, in violazione del principio secondo cui la sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione non spiega automatica efficacia nel processo tributario, che si caratterizza per la sua completa autonomia, ed impone al giudice tributario di valutare il materiale probatorio raccolto nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione. Col secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 61, 201, 202 e 203 Codice Doganale Comunitario approvato con Reg. CEE 2913/1992, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente afferma che la CTR lo ha "riconosciuto colpevole dell’ingresso di sigarette di contrabbando" avendo ritenuto, "sulle sole risultanze del processo penale", che i tabacchi potevano essere sdoganati, senza rischi, all’aeroporto di (OMISSIS), grazie al suo aiuto. Tale argomentare, prosegue il ricorrente, non tiene conto che la qualifica di dipendente doganale, da lui ricoperta, non gli consentiva, per esplicito divieto del suo Capo servizio protempore, di disporre sdoganamenti di merci provenienti da paesi extracomunitari, essendogli inibito il servizio presso l’Ufficio "Traffico Merci", ed a fortiori non gli permetteva di intervenire in alcun modo per quelle provenienti dai paesi comunitari, per le quali non è previsto alcun intervento dell’autorità doganale. Col terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 25, 36 e 38, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che la CTR ha errato nel riconnettere valore alla confessioneda lui resa mentre trovava in uno stato d’animo particolare, perchè, da tempo, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, avendo egli negato di far parte di qualsiasi tipo di associazione, dedita al contrabbando di TLE. Nessuna obbligazione doganale poteva sorgere a suo carico, prosegue il ricorrente, in quanto tale obbligazione sorge o a carico di chi presenta la merce in dogana o di chi la detiene al momento dell’entrata nel territorio doganale, o, in caso d’illegittima importazione o espropriazione, a carico di tutti coloro per conto dei quali la merce è stata illecitamente introdotta nel territorio doganale, mentre se viene sequestrata e confiscata, l’obbligazione si estingue; circostanze tutte "avallate da copiosa ed inoppugnabile documentazione prodotta atta al convincimento autonomo" ed erroneamente pretermesse dai giudici d’appello. Col quarto motivo, si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa ed insufficiente motivazione in ordine al punto decisivo, relativo all’"illegittimo esercizio del potere di autotutela". Il ricorrente deduce che la CTR ha ritenuto il secondo invito come una mera riformulazione del precedente, già da lui impugnato, perchè riferito alla medesima pretesa tributaria, aggiunge che gli elementi a base del provvedimento di ritiro avrebbero dovuto esser svolti in esso e non precisati in sede giudiziale, e lamenta che la CTR non ha considerato che il comportamento dell’AAMS gli aveva impedito di "valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale", avendo l’Amministrazione fatto generico riferimento alla sentenza penale, quale nuovo titolo a fondamento della pretesa, "senza specificare il giorno dell’avvenuta presunta immissione in consumo nè il tipo di sigarette introdotte, nè la voce doganale ove classificare la merce, nè l’aliquota di dazio e l’imposta di consumo applicata per determinare l’imponibile", ed essendosi limitandosi ad usare "il generico, troppo generico, termine "in frode", con conseguente violazione del suo diritto di difesa. Col quinto motivo, il drillo denuncia, nuovamente, il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione del Reg. CEE n. 2658/87, e del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 56 TULD e art. 61 Reg. 2913/92, evidenziando che la mancata indicazione delle aliquote applicate (dazio, imposta consumo, IVA e tasso d’interesse, aliquote applicate a norma della tariffa doganale integrata) comporta un vizio di legittimità dell’atto impugnato, e, dunque, la nullità dell’atto stesso. Il diritto doganale interno e comunitario, sostiene il ricorrente, escludono che si possa procedere ad un accertamento "senza una previa dichiarazione doganale o un verbale di accertamento che indichi la qualità, la quantità, il valore, origine e la provenienza della merce", sicchè l’invito di pagamento avrebbe dovuto riportare tutti gli elementi necessari a renderlo edotto della pretesa fiscale, e non limitarsi a rinviare alle sole risultanze delle sentenze penali, che precisavano il quantitativo di tabacco indebitamente introdotto nel territorio nazionale, ma non anche l’imponibile e l’importo dei diritti doganali evasi; dati prezzi ed aliquote che avrebbero dovuto esser determinati in riferimento a quelli in vigore nell’anno 2000, epoca in cui la mercè era stata introdotta nel territorio doganale, e non già in riferimento all’anno 2004, come era accaduto.

Va, anzitutto, disattesa l’eccezione, sollevata dal controricorrente ex art. 366 c.p.c., d’inammissibilità del ricorso, che contiene una sufficiente esposizione dei fatti di causa e dei motivi per i quali è chiesta la cassazione della sentenza, dovendo, poi, rilevarsi che la pendenza, innanzi alla Corte dei Conti, di un giudizio a carico del C., nel cui ambito è stata resa, secondo quanto riferito nel ricorso, una sentenza di condanna in primo grado, gravata d’appello, non costituisce oggetto del presente ricorso (nonostante le difese svolte il dal controricorrente): pur facendo notare "per mero scrupolo difensivo" "un’inammissibile duplicazione di condanna", il C. non ha contestato l’esistenza del c.d. "doppio binario" tra giurisdizione tributaria e giurisdizione contabile.

Il primi tre motivi, che, per la loro connessione, possono esser congiuntamente esaminati, vanno rigettati. La CTR non si è affatto discostata dal condivisibile principio, al quale il ricorrente dichiara di aderire, secondo cui il giudizio tributario è autonomo rispetto a quello penale, sicchè il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, ed a recepirne acriticamente le conclusioni, ma deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.) ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio (cfr. Cass. n. 10945 del 2005; n. 19786 del 2011). Infatti, i giudici d’appello non si sono limitati a rilevare l’intervenuto accertamento del giudice penale, ma riassumendone, in parte, le considerazioni e valutando gli elementi acquisiti "gli atti (informativa di reato della Squadra Mobile di Napoli, relativa al camuffamento, come merce comunitaria, di scatoli di sigarette di contrabbando, trascrizione di intercettazioni telefoniche "tutte univoche" nel coinvolgere il ricorrente, funzionario doganale presso la dogana aeroportuale di (OMISSIS), nell’attività illecita, confessione dello stesso) hanno ritenuto provato il presupposto, di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 36 e art. 203 del CDC dell’obbligazione doganale a suo carico, e, cioè, l’aver sottratto al controllo doganale merce soggetta a dazi all’importazione, ed, in particolare, il quantitativo, non sequestrato, di tabacchi lavorati esteri, oggetto dell’invito di pagamento, non mancando, peraltro, correttamente, di rilevare che le sentenze penali erano di per se stesse, valutabili ex art. 116 c.p.c., e che tali elementi probatori non erano stati smentiti da altri di segno contrario, avendo, anzi, il contribuente prodotto in primo grado, unitamente ad una memoria, trascrizioni di intercettazioni che lo coinvolgevano nell’illecito. A tale stregua, restano assorbiti gli argomenti, svolti nel primo motivo, con cui si predica il valore non vincolante (anche) delle sentenze penali emesse all’esito del rito abbreviato, mentre va rilevata l’inammissibilità delle questioni, trattate dal ricorrente nel secondo motivo, e relative all’impossibilità dell’introduzione in frode della merce nel territorio doganale per l’asserita incompatibilità col suo inquadramento professionale, perchè volte a sollecitare un accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità, diverso rispetto a quello cui è pervenuta la CTR che, in base agli elementi probatori in atti, ha affermato che "l’essere addetto ad un servizio diverso da quello del traffico merci non impediva al C. la sua attività di favorire l’attività fraudolenta di importazione dei tabacchi". Del pari, inammissibili sono le considerazioni svolte nel terzo motivo in relazione alla dedotta mancata valutazione delle circostanze fattuali in cui sarebbe stata resa la confessione nel giudizio penale, ed all’apprezzamento degli elementi probatori, tenuto conto che l’individuazione degli elementi di prova ritenuti rilevanti ed atti a sorreggere il convincimento costituisce prerogativa esclusiva del Giudice del merito (tra le tante, Cass. n. 18119 del 2008, 5489 del 2007; 20455 del 2006), che ha solo il dovere di spiegare il procedimento di ordine logico e giuridico che lo ha condotto a tale convincimento, censurabile sotto il profilo, non dedotto con i tre motivi in esame, dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e considerato, peraltro, che il ricorrente non ha indicato quale documentazione, asseritamente idonea a sovvertire il risultato, non sarebbe stata valutata dalla CTR, indicazione tanto più necessaria avendo i giudici d’appello espressamente escluso la deduzione di validi elementi probatori da parte del C.. Il profilo del terzo motivo, secondo cui, a norma dell’art. 233 del CDC, l’obbligazione doganale si estingue in caso di sequestro o successiva confisca della merce introdotta in modo fraudolento, è incongruente con l’accertamento contenuto nell’impugnata sentenza, che ha sottolineato, più volte ed anche in neretto, il fatto che l’invito di pagamento era relativo al solo quantitativo (indicato in Kg.

15.130) di tabacchi lavorati esteri sfuggito al controllo ed al sequestro: anche in parte qua il motivo risulta, in conclusione, inammissibile, perchè privo di specifica attinenza al decisum, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i motivi per i quali si richiede la cassazione devono presentare, a pena, appunto, d’inammissibilità, i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (cfr. Cass. n. 17125 del 2007). Il quarto motivo è, in parte, inammissibile ed, in parte, infondato. E’ inammissibile laddove imputa al provvedimento in autotutela – id est al secondo invito di pagamento emesso dall’Amministrazione, oggetto del presente giudizio – il difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che costituisce, invece, un vizio riferibile, esclusivamente, alla motivazione della sentenza impugnata per cassazione. E’, invece, infondato, in relazione all’apprezzamento della congruità del giudizio espresso sulla motivazione del predetto atto dal giudice del merito, che ha ritenuto che tale secondo invito costituiva l’aggiornamento, riferito all’esito del processo penale, della situazione probatoria relativa al precedente invito – riguardante gli stessi fatti ed anch’esso impugnato – ed ha, inoltre, affermato che il ricorrente conosceva appieno gli elementi a lui addebitati, per essersene difeso in sede penale, e ha così escluso la violazione del diritto di difesa;

motivazione congrua e sufficiente che non è scalfita dalla considerazione secondo cui sarebbe stato, invece, impedito al ricorrente di "valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale", considerazione smentita per tabulas dalla stessa proposizione dell’impugnazione, senza che, peraltro, il ricorrente stesso abbia altrimenti indicato se e quale sia stato il pregiudizio da lui, in concreto, subito al suo diritto di difesa. Anche il quinto motivo è, in parte, infondato ed, in parte, inammissibile. Se, come si è sopra esposto, la fonte dell’obbligazione tributaria va rinvenuta nell’immissione al consumo del tabacco sottratto al controllo doganale e soggetto a dazi all’importazione, l’impugnata sentenza riferisce che l’importo richiesto con l’atto impugnato è stato calcolato con riferimento ad una nota dell’AAMS diretta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, confluita nel procedimento penale, conosciuta dal C. e prodotta in giudizio, nella quale l’ammontare del tributo evaso per chilogrammo si desume "procedendo ad una semplice operazione aritmetica di divisione" del totale indicato per quantitativo di tabacchi introdotti di contrabbando, indicazione chiara anche nel caso, diverso da quello in esame, in cui non si fosse trattato, a differenza che nella specie, "di un funzionario in dogana esperto nel settore". Tale conclusione è in linea col principio espresso da questa Corte, secondo cui l’atto amministrativo di imposizione tributaria che rinvii alle conclusioni contenute in atti redatti nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittimo, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, che non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio, trattandosi di elementi già noti al contribuente (cfr. con riferimento a rettifica IVA, da ultimo Cass. n. 21119 del 2011; ed, in genere, Cass. SU n. 11722 del 2010, secondo cui il difetto di motivazione di un atto, nella specie, di una cartella esattoriale, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione senza indicarne i relativi estremi di notificazione o di pubblicazione, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorchè la cartella sia stata impugnata dal contribuente il quale abbia dimostrato in tal modo di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati, ma abbia omesso di allegare e specificamente provare quale sia stato in concreto il pregiudizio che il vizio dell’atto abbia determinato al suo diritto di difesa). La circostanza che la tariffa applicata sarebbe riferita ad annualità diversa rispetto a quella di riferimento è invece inammissibile: il profilo risulta, anzitutto, criptico, non essendo chiaro se tale doglianza si riferisca solo ad asseriti contrasti nelle difese svolte dall’AAMS in sede processuale (che nel corso di un udienza avrebbe smentito il contenuto della comparsa di costituzione), o se influisca sul quantum richiesto, ed, in ogni caso è nuovo, non essendo la questione stata trattata nell’impugnata sentenza.

Il ricorso va in conclusione respinto, e le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, soccombente, ed in favore del controricorrente, e si liquidano in Euro 15.000,00, oltre a spese prenotate a debito.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità giudizio, liquidate in Euro 15.000,00, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2012

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