Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-07-2011) 12-10-2011, n. 36853 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.C.R. ha subito custodia cautelare in carcere dal 18.07.2001 al 17.08.2001 e dal 10.12.2001 al 9.05.2003 (per complessivi giorni 525) quale imputato del delitto di omicidio aggravato in danno di C.N..

Essendo stato assolto dal reato, il predetto presentava domanda per ottenere dal Ministero dell’Economia e delle Finanze la riparazione per l’ingiusta detenzione subita.

Con ordinanza del 12.07.2007 la Corte di Appello di Salerno respingeva la domanda ritenendo che egli avesse causato la sua detenzione per colpa grave consistita nell’avere, il giorno del suo arresto, accusato falsamente del delitto il proprio fratello che gli avrebbe confidato di avere ucciso il C. con un bastone.

Su ricorso dell’ A.C., questa Corte – Sezione Quarta – con sentenza 18.12.2008 annullava con rinvio la predetta ordinanza affermando che il giudice della riparazione non aveva indicato elementi prodromici ascrivibili all’imputato che avessero avuto incidenza sull’emissione della misura cautelare essendosi il predetto limitato a richiamare una condotta del richiedente successiva all’intervenuta privazione della libertà. In sostanza la corte territoriale non aveva indagato sulla motivazione del provvedimento restrittivo e illogicamente aveva affermato la pretesa idoneità del comportamento sopraindicato a giustificare l’adozione della misura cautelare senza illustrare l’oggettiva incidenza causale o concausale avuta dalle dichiarazioni rese dal richiedente sull’emissione della misura.

La corte territoriale, in sede di rinvio, con ordinanza 7.07.2010, respingeva la domanda rilevando che l’ A., col comportamento complessivamente tenuto, avesse aggravato gli indizi emersi a suo carico a seguito delle dichiarazioni delle persone che avevano soccorso il moribondo che lo avrebbe indicato come l’omicida con un cenno del capo.

L’alibi dallo stesso proposto dopo il fermo si era rivelato infondato e gli aggiustamenti proposti nell’evolversi delle acquisizioni processuali giustificavano il ragionevole convincimento della sua colpevolezza.

Proponeva ricorso per cassazione A.C.D.L. eccependo la nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) perchè la corte salernitana non aveva indicato alcuna condotta a lui ascrivibile che avesse avuto rilevanza causale o concausale nell’emissione e/o nel mantenimento della misura custodiate sottolineando che quanto da lui dichiarato dopo l’arresto non era stato preso in considerazione nell’emissione delle misure.

In particolare, nell’ordinanza 10.12.2001, allegata al ricorso, il GIP aveva ritenuto che "è di tutta evidenza che la prova della responsabilità di A.C.R. muove non dalla mancata dimostrazione dell’alibi, ma dall’accusa che gli muove la vittima interrogata da I.A.", sicchè per tale unico motivo egli aveva patito la custodia cautelare.

Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.

Il ricorso è fondato.

Premesso che la colpa che esclude l’indennizzo si deve sostanziare in comportamenti specifici che abbiano dato causa o concorso a dare causa all’instaurazione dello stato privativo della libertà; che la valutazione non deve essere operata su dati congetturali o non definitivamente comprovati; che deve essere accertata l’esistenza di un rapporto eziologico tra la condotta tenuta e l’idoneità a porsi come determinante della privazione della libertà, deve essere rilevato che il giudice di rinvio non ha assolto l’obbligo di uniformarsi alla regola di giudizio fissata con la sentenza di annullamento con la quale era stato rilevato che il giudice della riparazione non aveva individuato alcun elemento prodromico, ascrivibile all’imputato, che avesse dato causa al provvedimento restrittivo e che la dichiarazione d’alibi, rivelatasi non fondata, costituiva una condotta successiva all’intervenuta privazione della libertà personale del prevenuto.

Conseguentemente il nuovo esame che doveva investire la portata del provvedimento restrittivo avrebbe dovuto essere orientato alla ricerca di eventuali nuovi elementi dimostrativi dell’efficienza causale della condotta dell’indagato nell’adozione della misura, indagine del tutto omessa nell’ordinanza impugnata che ha riproposto come concausa della suddetta adozione il fallimento dell’alibi che la sentenza d’annullamento aveva disconosciuto.

Pertanto, non avendo i giudici di merito indicato gli elementi posti a base del convincimento di una condotta di dolo ovvero di quello di una condotta di colpa grave, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Salerno che provvedere, con propria autonoma valutazione del materiale in atti, sul diritto all’indennizzo adeguandosi ai principi affermati da questa Corte con la sentenza d’annullamento.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Salerno.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *