Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 12-10-2011, n. 36829 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In parziale riforma della decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Lecce, con sentenza 9 giugno 2010, ha ritenuto M. M. responsabile del reato di violenza sessuale continuata, ai danni delle figlie minori V. e Va., di maltrattamenti in famiglia e minacce e lo ha condannato alla pena di anni quattordici; D.P.A., moglie dell’imputato e madre della parti lese, è stata riconosciuta responsabile del reato di violenza sessuale e maltrattamenti a sensi dell’art. 110 c.p., art. 40 c.p., comma 2 e condannata alla pena di anni sei di reclusione.

Il presente processo nasce da una denuncia di M.D., figlio dell’imputato, il quale ha segnalato il clima di terrore della sua famiglia a causa del comportamento violento del padre il quale intratteneva rapporti sessuali, di cui era stato testimone oculare, con le figlie minorenni da quando erano bambine. M.V., interrogata in sede di Polizia, ha precisato di avere subito le violenze del padre dagli otto ai diciotto anni e di averlo assecondato perchè minacciata e che successivamente l’imputato aveva riversato le sue attenzioni sessuali su Va. che ha confermato le dichiarazioni della sorella.

Le esperite indagini accertavano che le relazioni incestuose fossero di pubblico dominio e tutti in famiglia fossero notiziati del comportamento; perfino i condomini avevano udito i gemiti e le frasi volgari rivolte dall’imputato a Va..

In base al ricordato coacervo probatorio, il Tribunale, all’esito del rito abbreviato, e la Corte di Appello hanno ritenuto l’imputato responsabile dei reati scrittigli.

Per quanto concerne la posizione della D.P., i Giudici hanno ritenuto che la donna fosse consapevole delle violenze sessuali perpetrate dallo imputato in famiglia ed, in alcune occasioni, avesse concorso nei reati in tale modo venendo meno al suo obbligo di tutelare le figlie; la donna non era completamente succube del marito e ben avrebbe potuto denunciare la situazione.

Per l’annullamento della sentenza, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione.

M. ha dedotto:

– che non è stato sottoposto a rigoroso vaglio critico la credibilità soggettiva ed oggettiva dei dichiaranti;

– che la Corte ha travisato le risultanze processuali negando, nella motivazione della sentenza, dati circostanziali acquisiti e rilevanti per valutare la credibilità dei dichiaranti: sul punto non ha risposto ai rilevi difensivi;

– che sono riscontrabili discresie essenziali sulla ricostruzione dei fatti da parte dei vari testimoni.

La D.P. ha dedotto:

– che, per l’applicazione dell’art. 40 c.p., comma 2, è necessario che il soggetto gravato dall’obbligo di garanzia abbia la conoscenza o conoscibilità dell’evento e della azione doverosa che gli incombe e la possibilità di impedirlo ;

– che i Giudici hanno immotivatamente ritenuto l’imputata consapevole dei reati ai danni delle figlie, hanno sottovalutato la circostanza che era una vittima con fragile personalità, sprovveduta succube del marito violento per cui non era in grado di conoscere l’azione doverosa e di impedire l’evento;

– che non è ravvisabile una condotta concorsuale della donna nei reati dell’imputato mancando l’elemento materiale e quello soggettivo;

– che le attenuanti generiche avrebbero dovuto essere dichiarate prevalenti sulle aggravanti ed applicata la norma dell’art. 114 c.p..

Le censure dell’atto di ricorso dell’imputato sono in fatto, generiche e manifestamente infondate.

Il M. sostiene che la dichiarazioni accusatone delle figlie e dei testimoni non sono state sottoposte ad un rigoroso critico vaglio da parte dei Giudici di merito prima di siglarne l’affidabilità; per corroborare il suo assunto cita alcuni passi delle dichiarazioni dei protagonisti della vicenda per segnalarne alcune discresie. La tesi ora al vaglio di legittimità era già stata sottoposta all’esame della Corte di Appello, presa nella dovuta considerazione e disattesa con motivazione logica ed esaustiva: di questa argomentazione, l’imputato non tiene conto nella redazione delle sue censure che, sotto tale profilo, sono generiche perchè non in sintonia con le ragioni giustificatrici del gravato provvedimento.

Poichè nell’atto ricorso sono trascritte le parti essenziali delle ricordate testimonianze, questa Corte è posta nella situazione di verificare come le difformità tra i vari dichiaranti riguardino aspetti marginali e non intacchino la globale attendibilità delle parti lese. Costoro hanno reiterato le loro accuse, circostanziate e ricche di particolari, in modo costante nelle varie sedi in cui sono state interrogate. Le loro dichiarazioni si confortano a vicenda e sono corroborate dal quelle del fratello (che ha visto direttamente gli atti sessuali del padre con una figlia) e della zia convivente (che era edotta delle violenze che si perpetravano in famiglia per avere assistito ad alcuni episodi) e perfino dai condomini (che hanno percepito auditivamente gli illeciti rapporti).

In sostanza il ricorrente, sotto il profilo del dedotto vizio di travisamento delle prove, cita alcuni passaggi di testimonianze che non sono state male interpretate dai Giudici, ma ritenute irrilevanti, per sostenere la tesi difensiva, di fronte al coacervo probatorio a carico dell’imputato.

Le censure della imputata non meritano accoglimento.

Perchè la omissione non impeditiva sia equiparata all’azione causale, a sensi dell’art. 40 c.p., comma 2, necessita che il soggetto abbia una posizione di garanzia in base ad una fonte formale di rilevanza giuridica; l’imputata aveva tale posizione, sancita dall’art. 30 Cost. e art. 147 c.c., che le imponeva di agire a tutela delle figlie per adempiere al suo obbligo genitoriale.

Dal momento che il marito non aveva alcuna precauzione per rendere riservati i rapporti sessuali, la imputata era consapevole dei reati che si consumavano in famiglia ; anzi, in alcuni casi, li favoriva coricandosi tardi la sera per lasciare il letto matrimoniale al marito ed alla figlia di turno.

Per rendere compatibile la responsabilità penale ex art. 40 c.p., comma 2 con i principi costituzionali , necessita che il garante, oltre alla conoscenza della situazione di pericolo, sappia quale sia l’azione doverosa che gli compete e quali siano i mezzi per raggiungere il fine.

Ora, nel caso concreto, nessuna emergenza giustifica la conclusione che la donna avesse un deficit intellettivo e non fosse in grado di capire quale fosse la semplice iniziativa che doveva prendere cioè, denunciare il marito o, comunque, allontanarlo dalle figlie.

L’imputata – come segnalato dai Giudici di merito – era a contatto con gli assistenti sociali che si recavano presso la sua abitazione;

pertanto, non è comprensibile la ragione per la quale non sia confidata con loro per farsi consigliare sui mezzi per fronteggiare la situazione. Nell’atto di ricorso si definisce la donna "priva di autonomia intellettiva, sociale ed economica", "alla merce" del marito violento e prevaricatore (senza , peraltro, fornire elementi o argomenti a sostegno di tali negativi giudizi); questa situazione non integra alcuna esimente e spiega, ma non giustifica l’inattività della donna nel tutelare la integrità fisica e psichica delle figlie. La prevalenza delle attenuanti generiche sulla aggravante e la applicabilità dell’art. 114 c.p., non erano stati chiesti nei motivi a fondamento dell’appello ed incorrono nel divieto di nuove deduzioni in sede di legittimità.

Per le esposte considerazioni la Corte dichiara inammissibile il ricorso del M. e rigetta quello della D.P. con condanna di entrambi i proponenti al pagamento delle spese processuali e per l’imputato anche al pagamento della somme – che reputa congruo fissare in Euro mille – alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del M. e rigetta quello della D.P.; condanna singolarmente i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed il M. altresì al pagamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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