Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-07-2011) 12-10-2011, n. 36749

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 15.2.2008, il Tribunale di Rossano dichiarò S. T. responsabile del reato di cui all’art. 633 c.p., in Longobucco dal febbraio 1998 a tutt’oggi, e lo condannò alla pena Euro 400,00 di multa.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza dell’8.2.2011, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti del predetto perchè il reato era estinto per intervenuta prescrizione, e confermava le statuizioni civili.

Ricorre per cassazione il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per errata interpretazione della legge penale in riferimento agli artt. 157 e 158 c.p., non essendo alla data della pronuncia della sentenza della Corte d’Appello ancora decorso il termine di prescrizione, in quanto – trattandosi di reato permanente – lo stesso doveva essere calcolata dalla data di cessazione della permanenza ovvero da quella della pronuncia della sentenza di primo grado, quindi dal 15.2.2008.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato, e va accolto.

Nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all’art. 633 cod. pen. la nozione di "invasione" si riferisce al comportamento di colui che si introduce "arbitrariamente" e cioè, "contra ius" in quanto privo del diritto d’accesso e la conseguente "occupazione" deve ritenersi pertanto l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva occupazione; qualora l’occupazione, come nel caso di specie, si protragga nel tempo, il delitto ha natura permanente, e cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto dall’edificio o con la sentenza di condanna. Dopo la pronuncia della sentenza la protrazione del comportamento illecito da luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell’invasione ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 2, sent. n. 49169/2003 Rv. 227692).

Essendo il reato, contestato a S.T. "dal febbraio 1998 a tutt’oggi", permanente, il termine di decorrenza della prescrizione va calcolato dalla data di cessazione della permanenza, ovvero da quella della pronuncia della sentenza di primo grado, quindi dal 15.2.2008. Rammenta, a riguardo, il Collegio che, per costante insegnamento di questa Corte, in ipotesi di reato permanente, il giudice, al fine dell’applicazione di una causa di estinzione, non può limitarsi a considerare la sola data di inizio della condotta giuridica, ma deve quindi accertare la data di cessazione della permanenza. Poichè, poi, la contestazione del reato permanente, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l’elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell’accertamento) e non quella finale, la permanenza – intesa come dato della realtà – deve ritenersi compresa nell’imputazione, sicchè l’interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale (v. Cass. S.U., sent. n. 11021/1998 Rv. 211385).

Alla stregua dei richiamati principi, e considerato che la contestazione effettuata, nel caso di specie, "a tutt’oggi" consente di prendere in esame i fatti avvenuti successivamente alla citazione a giudizio (4.8.2003) fino alla pronuncia della sentenza di primo grado del 15.2.2008, senza la necessità di contestazioni suppletive, la sentenza impugnata è meritevole di censura in quanto ha dichiarato il reato estinto per decorso del termine massimo di prescrizione di anni sette e mesi sei, pur aumentato a cagione dei periodi di sospensione, erroneamente calcolando il termine a decorrere dalla data dell’accertamento del reato, conseguente alla denuncia-querela presentata dalla persona offesa (4.3.1998), facendola altresì coincidere – con motivazione apodittica e del tutto apparente – con il momento della cessazione della permanenza. E ciò nonostante che dalle risultanze processuali fosse emerso che alla data del 13.4.2005 l’occupazione era ancora in atto, così come dichiarato dal teste S.S. (v. pag. 3 della sentenza di primo grado e pag. 5 delle trascrizioni allegate al verbale di udienza del 13.4.2005).

Ne discende che il reato di cui all’art. 633 c.p., contestato all’imputato, alla data della pronuncia della sentenza della Corte d’Appello non era prescritto, in quanto il 13 aprile 2005 era ancora perdurante la condotta delittuosa e la permanenza – ove non diversamente accertato – è cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado, vale a dire il 15.2.2008.

La sentenza va pertanto annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, che si atterrà nel nuovo giudizio ai principi di diritto sopra enunciati, e che provvedere – se del caso – a liquidare anche le spese sostenute per il grado dalla parte civile.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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