Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28-06-2011) 12-10-2011, n. 36747

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza del 2.3.2010, il Tribunale di Palermo dichiarò Ma.Gi. e M.S. responsabile dei reati di cui agli artt. 591, 640 e 646 c.p. loro rispettivamente ascritti, e – concesse le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva contestata al solo M. – li condannò alla pena di anni uno mesi due di reclusione ciascuno.

Avverso tale pronunzia proposero gravame gli imputati, e la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 31.1.2011, dichiarava non doversi procedere nei confronti della Ma. per essere i reati estinti per prescrizione, e confermava la decisione di primo grado nei confronti del M..

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: 1) e 2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per errata interpretazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art. 192 c.p.p. in riferimento ai reati di cui all’art. 591 c.p. (capo a) e art. 640 c.p. (capo c), essendo del tutto marginale la posizione del Ma., e non avendo la Corte di Appello speso neanche un rigo per confutare la tesi difensiva circa la necessità di tener conto delle dichiarazioni del teste N.. Le condizioni di abbandono delle parti offese P., C., Mi. e m. erano precedenti alla loro accoglienza nella casa di cura, e la perquisizione che ha dato origine al procedimento non è stata seguita da accurate indagini in ordine alle effettive condizioni delle persone accolte nella struttura. Per quanto riguarda il reato di truffa, rileva il ricorrente che difetta sia l’elemento materiale che quello soggettivo; infatti, il M. ha agito nella assoluta convinzione di riappropriarsi di quanto anticipato nei confronti del Mo., senza alcuna condotta ingannevole nei confronti dell’Inps e senza alcuna volontà di lucro; 3) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al capo d) dell’imputazione (che per evidente errore materiale nel ricorso viene indicato con la lett. c), in quanto erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto infondato il motivo, ritenendo che dall’analisi della pronuncia di primo grado appariva evidente come per tale reato fosse stata condannata soltanto l’imputata Ma., mentre, nel capo di imputazione, alla Ma. e al M. erano stati contestati tutti i capi di imputazione senza nessuna distinzione alla Ma. per il capo c) e al M. per il capo d); 4) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per errata interpretazione della legge penale, in relazione all’art. 597 c.p.p., comma 5 ed errata interpretazione della legge penale, mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 62 bis c.p., dal momento che la richiesta delle attenuanti generiche, da considerarsi prevalenti alla contestata recidiva, anche se non oggetto di specifico motivo d’appello, ben poteva essere dedotta dal contenuto dell’atto medesimo e dalle conclusioni finali. Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi, il ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione della legge penale in ordine ai reati di abbandono di persone incapaci e di truffa, e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per i reati in questione, attesa la illogicità di alcune argomentazioni al riguardo sviluppate. Le censure sono del tutto inammissibili posto che, pur avendo formalmente denunciato l’erronea applicazione delle norme in questione e il vizio di motivazione, il ricorrente ha, tuttavia, nella sostanza, svolto ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; e ciò non è consentito in questa sede. Alla Corte di Cassazione è, infatti, normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativi che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Cass. S.U., n. 12/31.5.2000 Rv. 216260). E’ il caso di aggiungere che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado.

La motivazione della sentenza impugnata appare, poi, coerente e rispondente agli elementi presi in considerazione e non denota alcun deficit valutativo da parte del giudice di merito, che rispondendo a tutti i motivi d’appello, ha evidenziato, in ordine al giudizio di responsabilità, che dagli accertamenti compiuti dal consulente tecnico e dal contenuto delle testimonianze sul punto è emerso chiaramente che gli anziani ospitati nell’abitazione dell’imputato si trovavano in condizioni di effettivo abbandono; in particolare, nessuno di essi usufruiva di adeguata assistenza medica, e il cibo era insufficiente, di scarsa qualità e somministrato senza tenere conto delle particolari condizioni di salute e dell’età delle persone offese. Del tutto irrilevante la circostanza della provenienza degli anziani, posto che la provenienza da una struttura destinata alla ricezione degli indigenti non legittima una condizione di abbandono. In relazione al delitto di truffa, è pacifico, poi, che fu proprio l’imputato a recarsi a prelevare la pensione del Mo., dopo il decesso di questi, e quindi nella piena consapevolezza della assenza di qualsiasi titolo per la percezione di un assegno evidentemente spettante ad un soggetto non più in vita, e tale condotta costituisce già artificio e raggiro idoneo a far integrare l’ipotesi della truffa ai danni della P. A. (v. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).

Il terzo motivo è manifestamente infondato, in quanto il reato sub d) è stato contestato unicamente alla Ma., come si evince chiaramente dalla rubrica e dalla stessa sentenza di primo grado, con la quale per il reato di appropriazione indebita in relazione al libretto di pensione di P.S. era stata condannata la sola coimputata.

Manifestamente infondato anche l’ultimo motivo di ricorso. Nell’atto d’appello, presentato dall’avv. Francesco Saladino, nessuno dei motivi aveva per oggetto la recidiva e la concessione delle attenuanti generiche, così come rilevato nella sentenza della Corte territoriale, e ammesso dallo stesso ricorrente. Per quanto riguarda poi le richieste, l’appellante si era limitato a chiedere l’assoluzione per i reati di cui ai capi a), c) e d) della rubrica, e "in subordine ridurre di gran lunga la pena".

In assenza di qualsiasi motivo di appello circa il giudizio di bilanciamento delle circostanze, il ricorrente non può certamente dolersi che la Corte non abbia motivato in merito alle circostanze generiche (peraltro già concesse con giudizio di equivalenza); lo stesso dicasi circa la determinazione della pena, stante l’estrema genericità del motivo d’appello. A riguardo, la Corte territoriale ha peraltro evidenziato che la stessa era stata inflitta in misura prossima al minimo edittale, sicchè la stessa non poteva essere ulteriormente ridotta.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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