Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-03-2012, n. 4481 Università

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 4.12.2009, la Corte di Appello di Roma rigettava l’appello proposto dai dipendenti epigrafati nei confronti dell’Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", confermando la decisione di primo grado con la quale era stata respinta la domanda dei predetti intesa ad ottenere il riconoscimento dell’inquadramento rivendicato dalla data di entrata in vigore della L. n. 63 del 1989, ovvero dal superamento del periodo di prova per quanti fossero stati assunti successivamente all’entrata in vigore della legge, così come discendente dalla corretta interpretazione della L. n. 326 del 1995, art. 11, anzichè, come invece riconosciuto dall’Università, dal Provvedimento rettoriale assunto con Delib. 30 gennaio 2003.

La questione oggetto della controversia era quella del passaggio dal sistema delle carriere a quello delle qualifiche funzionali con riguardo, in particolare, all’inquadramento per mansioni, disposto dalla L. n. 63 del 1989, art. 1, in favore di coloro che fossero stati assunti o inquadrati dopo il 1 luglio 1979 su posti di ruolo delle carriere previste dal precedente ordinamento, possibilità estesa dal D.L. n. 120 del 1995, art. 11 al personale assunto fino al 31.8.1992, come quello di cui alla presente controversia, su posti dì ruolo del sistema per carriere.

In sede di conversione il testo del decreto legge era stato modificato nel senso che alla dizione "dalla data di entrata in vigore della L. del 1989" quale decorrenza de disposto inquadramento, era stata sostituita quella "decorrenza giuridica ed economica dalla data di entrata in vigore della legge medesima – quella del 1989 -, ovvero dalla data del superamento del periodo di prova per il personale assunto anche successivamente alla predetta data, purchè sulle carriere …" prevedendosi che alla copertura degli oneri derivanti dall’applicazione dell’articolo in questione provvedano le università nell’ambito dei finanziamenti ordinari, senza alcun onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato.

La interpretazione seguita dal giudice di primo grado era confermata dal giudice del gravame sulla base della considerazione che l’uso del verbo "possono avere decorrenza", riferito agli inquadramenti, in sede di conversione del decreto legge, in luogo dell’espressione hanno decorrenza o decorrono, denotava la volontà del legislatore di attribuire una facoltà ai singoli atenei e non di confermare l’obbligo previsto testualmente del decreto legge di fissare una decorrenza obbligatoria. Ciò, secondo la Corte territoriale, era confermato dal dibattito parlamentare che aveva accompagnato la conversione de decreto e dai lavori parlamentari, che avevano inteso sottolineare che le modifiche al testo erano state introdotte per motivi di copertura finanziaria e per non gravare il bilancio dello Stato. Anche il Consiglio di Stato aveva evidenziato il carattere costitutivo de provvedimento di inquadramento e, peraltro, la previsione di cui all’art. 11 si inseriva in un contesto normativo diverso da quello della precedente legge, successivo alla riforma in tema di autonomia finanziaria delle università. Veniva dalla Corte del merito richiamato il contenuto della sentenza n. 236/1992 della Corte Costituzionale, che aveva evidenziato come il meccanismo della L. n. 63 del 1989 avesse efficacia sanante di situazioni pregresse ed attribuisse al personale che aveva svolto mansioni superiori il beneficio del superiore inquadramento in deroga al principio di cui all’art. 97 Cost., ma che a ciò non conseguisse automaticamente pure il riconoscimento delle differenze retributive arretrate. Nè poteva ritenersi che di configurasse una disparità di trattamento rispetto a coloro che avessero visti riconosciuti i benefici in tempi più rapidi, non avendo peraltro gli appellanti prospettato al riguardo motivi di impugnazione specifici e dovendosi in generale considerare il confronto tra situazioni diverse, intervenute sotto il vigore di diverse normative e il nuovo contesto istituzionale, organizzativo e finanziario delle Università. In merito alla dedotta perdita di chance, rilevava, poi, la Corte territoriale che nessuno inadempimento della pubblica amministrazione poteva ravvisarsi per le considerazioni svolte e che, in ogni caso, non vi era stata alcuna allegazione idonea all’accoglimento della domanda.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono i dipendenti con sette motivi, illustrati con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso l’Università intimata, che deposita memoria illustrativa delle proprie difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione della L. n. 236 del 1995, art. 11, in relazione all’art. 1355 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della pronunzia del giudice d’appello, sostenendo che la tesi accolta da quest’ultimo legittimerebbe una unilaterale determinazione dell’obbligato ai fini della decorrenza della insorgenza del debito, laddove l’art. 1355 c.c. dispone che è nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un debito subordinata ad una condizione sospensiva che a faccia dipendere dalla mera volontà dell’alienante o, rispettivamente, da quella del debitore. All’esito della parte argomentativa, formulano quesito con il quale domandano se il D.L. n. 120 del 1995, art. 11 vada interpretato nel senso di prevedere un obbligo e non una facoltà di far retroagire gli effetti dell’inquadramento dalla data di entrata in vigore della L. n. 63 del 1989 o dalla data di superamento de periodo di prova. In subordine, prospettano questione di legittimità costituzionale dell’ari 11 per violazione degli artt. 3 e 38 Cost..

Con il secondo motivo, lamentano la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 12 disp. gen., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, assumendo la prevalenza del criterio dell’interpretazione letterale della norma di legge, alla cui stregua deve ritenersi che il verbo "possono" è stato correttamente usato in relazione alla congiunzione disgiuntiva "ovvero", che introduce un’alternativa tra due possibili decorrenze.

L’alternativa tra te due soluzioni non è apparente, come ritenuto dalla Corte d’appello, riguardando due categorie distinte, quella dei dipendenti che abbiano superato il periodo di prova prima dell’entrata in vigore della L. del 1989 e non abbiano potuto presentare la domanda prima della stessa, quella degli assunti fino al 1992, purchè nelle carriere già previste nel vecchio ordinamento.

Rilevano, poi, che i lavori parlamentari non possono costituire di per sè il criterio idoneo a fondare l’interpretazione di una norma, la cui ratto deve essere individuata nella esigenza di arginare un fenomeno iniquo di inammissibili ritardi nell’applicazione della L. n. 63 del 1989. Il quesito proposto riguarda la dedotta violazione dell’art. 12 preleggi.

Con il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn 3 e 5, in relazione alla L. n. 235 del 1995, art. 11, nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sollevando, subordinatamente, eccezione di illegittimità costituzionale della norma in esame. Osservano che La Corte costituzionale aveva affrontato il problema se, di fronte a situazioni di dipendenti che avessero svolto mansioni superiori anche prima del 1989, il riconoscimento potesse decorrere da data anteriore all’entrata in vigore della stessa, ma nel caso all’esame si è affermato un principio incostituzionale di irrilevanza dello svolgimento di mansioni superiori per il periodo anche successivo all’entrata in vigore della L. del 1995, laddove il diritto andava, invece, ritenuto cristallizzato a tale data. Evidenziano l’interesse a non vedere sacrificati sine die diritti costituzionalmente rilevanti, in ragione della discrezionalità del soggetto debitore.

Avanzano, subordinatamente, questione di legittimità costituzionale per la disparità con soggetti che non abbiano ottenuto il riconoscimento e non vengano ritenuti idonei nella procedura di verifica ad hoc, che astrattamente potrebbero richiedere ed ottenere tali somme.

Con il quarto motivo, denunziano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 36 Cost., del D.P.R. n. 165 del 2001, art. 52, della L. n. 236 del 1995, art. 11, nonchè dell’art. 24 c.c.n.l., nonchè la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in subordine formulando eccezione di illegittimità costituzionale. Osservano che l’ancorare il riconoscimento solo alla data di inquadramento formale, che non era diretto a far conseguire ai ricorrenti una promozione, sebbene solo l’inquadramento nella corretta qualifica funzionale alla luce delle mansioni effettivamente svolte dall’anno 1991, configura una palese violazione dell’art. 11 della legge citata e che l’inquadramento debba essere riconosciuto quanto meno dal 1996, momento di indizione della procedura di verifica. La questione di illegittimità costituzionale sollevata riguarda la giusta retribuzione in relazione alla qualità e quantità del lavoro prestato e la perequazione della posizione delle categorie di personale in esso considerate a quelle del restante personale tecnico amministrativo il quale, avvalendosi della L. n. 312 del 1980, art. 85 e, successivamente, della L. n. 63 del 1989, art. 1, aveva già beneficiato di un inquadramento per mansioni nei profili professionali delle qualifiche funzionali.

Con il quinto motivo, i ricorrenti prospettano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo della violazione e della falsa applicazione degli arti 35 e 97 Cost., degli artt. 1175, 1375, 2043 e 2103 c.c., delle norme sul giusto procedimento di cui alla L. n. 241 del 1990, evidenziando il ritardo nella ultimazione delle procedure e l’incongruità di una decorrenza mobile dell’inquadramento.

Con il sesto, viene dedotta la violazione dell’art. 360, n. 5, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’asserita mancata prova della perdita di chance subita dai ricorrenti, sostenendosi che non può considerarsi conforme a legge una procedura durata più di otto anni, e denunziandosi, quindi, l’inadempienza della P. A., fonte di pregiudizio per essi ricorrenti che assumono di avere specificato ed allegato lo stesso.

Con il settimo motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione alla già più volte dedotta violazione della L. n. 235 del 1995, art. 11, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la mancata attribuzione dell’inquadramento superiore quanto meno agli effetti giuridici, osservando che, se la limitazione è subordinata alla mancanza di capienza di fondi, non si giustifica la limitazione anche agli effetti giuridici.

La censura proposta con il primo motivo deve essere disattesa. Non si tratta nella specie di assunzione di un debito da parte della Università, rimessa alla sua discrezionalità, ma di un diritto all’inquadramento riconosciuto al lavoratore da una precisa norma di legge, cui corrisponde un obbligo dell’Amministrazione, da estinguersi in relazione alla capacità di quest’ultima di far fronte al relativo impegno economico in tempi più o meno lunghi, sulla base di un bilanciamento dell’interesse economico dei lavoratori con quello alla stabilità della situazione finanziaria della intimata.

I motivi di ricorso dal secondo al sesto vanno trattati congiuntamente per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto.

Come già evidenziato da questa Corte, con sentenza del 2 febbraio 2011 n. 2466 – che ha espresso un orientamento nella specifica materia dal quale il Collegio non ritiene di discostarsi – il D.L. n. 120 del 1995, art. 11 nel suo tenore letterale, in relazione alla modifica dello stesso in sede di conversione, è tale da indicare con chiarezza che la decorrenza dei nuovi inquadramenti è affidata, in ciascuna università, alla discrezionalità degli organi amministrativi, attraverso un bilanciamento – come già detto – degli interessi economici dei singoli lavoratori con la situazione finanziaria dell’istituto scolastico, senza che l’Ateneo possa giovarsi di ulteriori sovvenzioni statali (cfr. Cass n. 2466/2011 cit.). In sede di conversione ad opera della legge n. 236 del 1995, invero, all’espressione "hanno decorrenza" è stata sostituita l’espressione "possono avere decorrenza " e lo stesso art. 11 convertito ha aggiunto che alla copertura degli oneri derivanti dalla sua applicazione dovessero procedere le università nei termini evidenziati. E l’eventuale disparità di trattamento con coloro che già in precedenza avevano beneficiato dell’inquadramento sulla base delle mansioni effettivamente svolte si giustifica per la non omogeneità della situazione e del diverso contesto istituzionale che aveva previsto l’autonomia finanziaria delle Università Anche il ricorso, nel procedimento interpretativo, a quanto evidenziato in sede di lavori parlamentari non può ritenersi criterio privo di validità ove lo stesso sia richiamato quale ulteriore elemento di conforto dell’interpretazione che si sia basata sul dato letterale.

Il riferimento alla diversità della situazione scrutinata dal giudice delle leggi non incide nel senso di evidenziare una incoerenza del sistema, atteso che, come già osservato, la diversa formulazione della norma che aveva previsto l’estensione del beneficio già concesso con L. n. 63 del 1989 si collega alla diversità del contesto istituzionale e finanziario delle università, che indubbiamente acquista rilevanza ai fini della possibilità concreta di soddisfare economicamente le pretese fondate sull’applicazione del beneficio. Peraltro, anche la Corte Costituzionale, pur con riferimento alla norma della L. n. 63 del 1989, art. 1. di contenuto più ampio quanto alla sua attitudine applicativa, aveva già osservato che "la disposizione che inquadra alcune categorie di personale tecnico e amministrativo delle università, che abbiano esercitato mansioni superiori alla propria qualifica, nella qualifica funzionale e nel profilo professionale per il quale abbiano conseguito l’idoneità, mediante superamento di apposita prova, costituisce un intervento legislativo, frutto di una valutazione complessiva di tali posizioni pregresse, volto alla regolarizzazione e alla sanatoria delle stesse". Tale principio era stato affermato in relazione alla dedotta illegittimità della norma scrutinata in rapporto all’art. 36 Cost., osservandosi che le agevolazioni a tal fine disposte – quali l’esonero dal requisito del pubblico concorso nonchè, nella specie, la promozione "per saltum" – non possono essere cumulate con la pretesa – che non trova garanzia nell’art. 36 Cost. – di differenze retributive arretrate, relative al periodo precedente all’inquadramento. Tuttavia, le osservazioni svolte in merito alla questione prospettata risultano utilmente richiamabili anche nel caso in esame per ribadire che l’ampiezza del diritto riconosciuto poteva essere modulata in un ottica di bilanciamento di interessi che non consente di ravvisare le dedotte limitazioni e diversità con situazioni che non si riconnettono ad un intervento legislativo effettuato nella logica della sanatoria di situazioni meritevoli di regolarizzazione, sia pure con modalità rimesse alla scelta del legislatore. Quanto ai rilievi che si fondano sulla decorrenza del chiesto inquadramento (dalla data di entrata in vigore della L. del 1995 o, quanto meno dalla data di indizione de procedimento amministrativo di inquadramento) deve osservarsi, in conformità a quanto statuito dalla S. C. con la decisione n. 2466/2011, che il provvedimento amministrativo di inquadramento non ha efficacia meramente accertativa di un diritto sorto con l’esercizio di fatto delle mansioni e, al più presto, con l’entrata in vigore della L. n. 63 del 1989, ma dev’essere preceduto da domanda dell’interessato e dal superamento di prova d’idoneità ed ha perciò efficacia costitutiva (Cons. di Stato, Sez. 6, 6 marzo 2002 n. 1238).

Con riguardo al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, che impone il trattamento economico superiore in caso di esercizio effettivo di mansioni proprie della qualifica superiore, esso vale pro futuro e non per le speciali situazioni di attribuzione legislativa di un beneficio, sia pure a scopo perequativo, in relazione a mansioni esercitate in passato, con esonero dal pubblico concorso, sostituito da una prova di idoneità (Corte Cost. 236 del 1992 cit.). In questi casi la normativa speciale di favore può derogare alla prescrizione generale dell’art. 52 cit.. Il riferimento, poi, all’art. 24 c.c.n.l. non è supportato dall’indicazione di elementi che consentano di stabilirne l’incidenza ai fini della valutazione della questione all’esame e peraltro manca ogni richiamo alla produzione della fonte contrattuale nei precedenti gradi di merito.

Infine, esattamente la sentenza impugnata ha escluso ogni diritto al risarcimento del danno, stante l’assenza di un comportamento illegittimo dell’Università, nonchè la genericità della doglianza concernente l’eccessiva durata del procedimento amministrativo di inquadramento.

Ogni altra doglianza è assorbita dalle considerazioni che precedono in ordine alla specialità dell’intervento legislativo idoneo a superare i rilievi formulati, a prescindere dal carattere di novità della censura di cui all’ottavo motivo, riferito alla mancata giustificazione di una limitazione della decorrenza anche solo a fini giuridici.

Rigettato il ricorso, le spese processuali possono essere compensate a causa delle difficoltà e divergenze interpretative a cui ha dato luogo la vicenda normativa in esame, e che sono state rilevate anche da Corte Cost. n. 459/1994.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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