Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-06-2011) 12-10-2011, n. 36880

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.M. è stato condannato in primo grado dal tribunale di Bologna per il reato di cui all’art. 485 c.p., per aver predisposto due domande da presentare alla pubblica amministrazione con firma apocrifa di Ca.Mi., contenenti anche le false dichiarazioni nella parte di autocertificazione; nonchè del delitto previsto dall’art. 368 c.p. perchè, interrogato quale persona indagata per il reato che precede, falsamente incolpava il querelante Ca.Mi. di calunnia in proprio danno, ben sapendolo innocente per essere lo stesso C. l’autore delle falsificazioni.

La sentenza è stata confermata integralmente dalla Corte d’appello di Bologna. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna propone ricorso il C., evidenziando tre motivi di censura:

1. illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico in relazione al reato di cui al capo A; in particolare, lamenta il ricorrente che la Corte d’appello di Bologna avrebbe errato sia nel calcolare la data di perfezionamento della notifica effettuata dall’ente preposto a rilasciare l’autorizzazione; sia il fatto di avere considerato come perentorio il termine di scadenza indicato dalla predetta autorità con l’atto notificato;

2. illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del dolo in relazione al capo B; con questo motivo si precisa che il dolo di cui al capo B sussiste solamente se si ritiene sussistente quello di cui al capo A;

3. erroneità ed illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, in relazione al capo di imputazione A. Afferma il ricorrente di non aver mai assunto alcun incarico professionale dal Ca., per cui difetterebbe l’aggravante contestata.

Tali motivi di ricorso riprendono i motivi già svolti nel ricorso in appello.

Motivi della decisione

Va rilevato preliminarmente che i tre motivi di ricorso per cassazione sono identici a tre dei quattro motivi sollevati con l’appello e che la sentenza di secondo grado ha confermato integralmente la sentenza del tribunale di Bologna. I tre motivi di ricorso si riferiscono a vizi della motivazione ed è quindi opportuno preliminarmente che questa Corte ribadisca quali siano i limiti del sindacato di legittimità:

1. non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonchè della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo giudice. E invero, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (Cassazione penale, sez. 2, 15 maggio 2008, n. 19947);

2. non è ammissibile il ricorso per cassazione ove pretenda di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarne conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete.

Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. SS.UU. 1.06.2011, est. Fiandanese).

Ciò premesso, si rileva che i motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logico-giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.

In particolare, con riferimento al primo motivo di ricorso – con il quale viene dedotta l’erronea applicazione della legge sulle notifiche postali, nonchè l’erronea qualificazione come perentorio del termine di deposito della documentazione integrativa – ritiene questa Corte che i motivi siano infondati. Come è già stato evidenziato in precedenza, la Corte d’appello ha già risposto puntualmente alle medesime censure svolte con la prima impugnazione;

quanto al problema di notifica, ha correttamente evidenziato il giudice di prime cure, così come il giudice di appello, che il termine di perfezionamento della notificazione va individuato con riferimento alla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, u.c., che si applica qualora la data delle eseguite formalità manchi sull’avviso di ricevimento o sia, comunque, incerta. E che tale data fosse incerta risulta dalle stesse dichiarazioni del ricorrente, laddove afferma (pag. 10 del ricorso) che " il deposito… doveva essere avvenuto o il giorno 8 gennaio o il giorno 9 gennaio", per cui i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione delle norme di legge relative alla notificazione degli atti a mezzo posta.

Quanto alla perentorietà del termine indicato nell’atto notificato dall’ente preposto, si deve innanzitutto rilevare come il giudice di merito abbia correttamente indicato le ragioni per le quali ha attribuito tale natura al predetto termine e, trattandosi di valutazione in fatto sorretta da adeguata motivazione, non è possibile sul punto una diversa qualificazione da parte di questa Corte; inoltre, deve rilevarsi che la stessa Corte d’appello ha precisato che la fretta collegata alla scadenza del termine è solo uno degli elementi che sostengono il motivo della condotta, mentre permangono altri molteplici elementi, già indicati nella sentenza.

Osserva, inoltre, questa Corte che, al di là della qualificazione giuridica del termine, anche se si accedesse all’interpretazione propugnata dal ricorrente, secondo cui la violazione del termine avrebbe comportato solo l’archiviazione del procedimento, con possibilità di proporre una nuova domanda, è evidente che anche in questo caso il C. avrebbe dovuto giustificare davanti al proprio cliente la propria negligenza. E di ciò era ben consapevole anche il giudice di primo grado, laddove afferma che l’archiviazione non sarebbe stata gradita ai clienti in quanto sarebbe risultata conseguenza della negligenza del C..

Il secondo motivo di ricorso era collegato all’accoglimento del primo, per espressa affermazione del ricorrente; tanto basta per dichiararne l’infondatezza.

Quanto al terzo motivo di ricorso relativo all’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, sia sufficiente rilevare che il ricorrente cerca di contrastare l’assunto contenuto nella sentenza di condanna attraverso considerazioni di fatto che non solo sono precluse in questa sede, ma sono anche prive di alcun riferimento istruttorie e perciò rimangono quali mere apodittiche affermazioni, prive di alcuna rilevanza.

Per i motivi esposti, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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