Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-06-2011) 12-10-2011, n. 36876

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 5 marzo 2010 la Corte d’Appello di Perugia, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto I.P. responsabile del delitto di tentato furto pluriaggravato del portafogli di T.C., dalla borsa depositata in un armadietto installato negli uffici comunali ove costei lavorava.

L’individuazione dell’imputato quale autore del tentato furto si è basata sulla descrizione fatta dal teste P.L.M., che aveva colto il responsabile sul fatto, nonchè sulla sua identificazione ad opera dello stesso P. o di altri colleghi di costui (sul punto la sentenza di appello mostra incertezze, pur escludendone la rilevanza).

Ha proposto personalmente ricorso per cassazione l’imputato, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo il ricorrente lamenta l’omessa valutazione delle dichiarazioni rese dal teste P., dalla cui errata lettura assume essersi tratte arbitrarie conclusioni in ordine alla propria identificazione e all’atteggiamento nel quale egli si sarebbe trovato al sopraggiungere del teste.

Col secondo motivo nega la configurabilità del reato ascrittogli, non risultando raggiunta – a suo dire – la soglia dell’idoneità ed inequivocità degli atti in rapporto al tentativo di furto.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Il primo motivo attinge, anzi, la soglia dell’inammissibilità in quanto diretto a sollecitare un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotta a ritenere che fosse proprio lo I. la persona colta dal teste P.L. nell’atto di rovistare nell’armadietto in cui si trovava la borsa ivi lasciata dalla T.; a tal fine ha evidenziato che il P., dopo iniziali reticenze dovute al timore di ritorsioni, aveva finito per svelare l’identità dell’autore del fatto, forse anche grazie alla collaborazione di colleghi che avevano riconosciuto lo I. nella puntuale descrizione fattane dallo stesso P.. E altrettanto compiutamente ha motivato la propria ricostruzione dell’accaduto valorizzando la circostanza secondo cui, al sopraggiungere del teste, l’imputato si trovava accanto allo sportello dell’armadietto, davanti alla borsa già messa a soqquadro e con il portafogli aperto: per giungere alla conclusione che lo I. stesse in quel momento "rovistando" (cioè ispezionando, secondo il valore semantico del vocabolo usato) il contenuto dell’armadietto.

Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del provvedimento; mentre il suo tentativo di offrire una diversa interpretazione della deposizione del P. si risolve nella prospettazione di una lettura del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

Al riguardo non sarà inutile ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. 15 marzo 2006 n. 10951); e il riferimento ivi contenuto anche agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass. 22 marzo 2006 n. 12634).

L’infondatezza del secondo motivo deriva, per l’appunto, dalla intangibilità della ricostruzione del fatto: l’avere aperto l’armadietto, rovistato nella borsa fino a metterla a soqquadro, aperto il portafogli costituisce una sequenza di atti – sulla cui idoneità non è necessario intrattenersi – univocamente diretti ad impossessarsi del denaro o di qualsiasi altro bene di apprezzabile valore che ivi si fosse trovato: il che indubbiamente integra gli estremi del furto tentato, secondo la nozione datane dal combinato disposto degli artt. 56 e 624 c.p..

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *