Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-03-2012, n. 4471

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Svolgimento del processo

Con ricorso del 9/5/98 la Iris Ceramica s.p.a adì il Pretore del lavoro di Modena esponendo che aveva concluso nel 1985 con B. R. un primo contratto di agenzia a tempo determinato, integrato il 16 dicembre dello stesso anno e poi rinnovato con contratto a tempo indeterminato del 31/12/87, interamente sostitutivo dei precedenti; che in data 30/3/98 la società anonima a responsabilità limitata J.B.R. Ceramiques et Techniques le aveva notificato un atto di citazione dinanzi al giudice francese, da valere come comunicazione di recesso dal contratto di agenzia, presupponendo in capo a sè la qualifica di agente e la risoluzione del rapporto per fatto addebitabile ad essa preponente; che in tale giudizio intervenne il B., il quale rivendicò la titolarità del contratto di agenzia; che tale giudizio si concluse con la declinazione della giurisdizione da parte dell’autorità francese in favore di quella italiana; che era interesse di essa ricorrente ottenere l’accertamento del fatto che il recesso non era dipeso da una sua inadempienza e che all’agente non spettava alcun diritto al conseguimento dell’indennità di cessazione del rapporto e a quella di preavviso; che la citazione in giudizio anche della s.a.r.l.

J.B.R. si era resa opportuna per l’ipotesi in cui fosse stata esclusa la legittimazione passiva del B., data la situazione di confusione da quest’ultimo ingenerata a seguito della sua richiesta, dettata da motivi fiscali, di veder versate le provvigioni alla detta società di capitali. Instauratosi il contraddittorio, il giudizio venne definito dal giudice del lavoro del Tribunale di Modena con sentenza del 18-24/11/98, con la quale fu dichiarato il difetto di legittimazione passiva del B., mentre il procedimento proseguì nei confronti della s. a.r.l. J.B.R., previa conversione del rito. A seguito di appello della società Iris Ceramica s.p.a. avverso il capo della sentenza dichiarativa del difetto di legittimazione del B. la Corte d’appello di Bologna respinse l’impugnazione, ritenendola in parte infondata ed in parte inammissibile.

A seguito di ricorso in cassazione della Iris Ceramica s.p.a., la Corte di legittimità, con sentenza n. 16753 del 12/5/03, accolse i motivi del ricorso e rinviò il giudizio alla Corte d’appello di Firenze per una rivalutazione della vicenda, ritenendo che l’ipotesi prospettata della stipula di un contratto di cessione di credito o di delegazione di pagamento tra il B. e la Iris non rappresentava una questione nuova, sicchè la Corte di merito avrebbe dovuto pronunziarsi sul punto, anzichè negare l’ingresso alle prove testimoniali, ed avrebbe dovuto esaminare il valore o meno di vera e propria confessione circa il fatto fondamentale controverso, rappresentato dalla conclusione del contratto fra la Iris ed il B., il quale aveva dichiarato ciò al momento del suo intervento volontario nella causa promossa in Francia dalla J.B.R. s. a.r.l..

Riassunto il giudizio di rinvio ad opera della Iris Ceramiche s.p.a. innanzi alla Corte d’appello di Firenze, quest’ultima ha pronunziato sentenza in data 24/10/98, depositata il 31/10/98, con la quale ha rigettato l’appello proposto dalla stessa Iris avverso la sentenza n. 444 del 18/11/99 del Tribunale di Modena ed ha dichiarato assorbito quello incidentale svolto dal B., compensando integralmente tra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio.

La Corte fiorentina ha spiegato che la circostanza per la quale il B. aveva reclamato innanzi al giudice francese la titolarità del rapporto obbligatorio non equivaleva ad un riconoscimento della verità dei fatti a sè sfavorevoli e favorevoli alla controparte, posto che si trattava di ammissione di fatti compiuta nell’ambito di una complessiva strategia processuale diretta a far declinare la giurisdizione dell’autorità francese adita;

inoltre, dalla testimonianza della Tostivint, assistente del B. dal 1990 al 1998, era emerso che questi lavorava per la società J.B.R. di cui era amministratore, mentre la deposizione del teste M., confermativa delle circostanze capitolate dalla società Iris, appariva inattendibile, non avendo quest’ultima prodotto, come sarebbe stato suo onere, la lettera contenente la richiesta del B. di accredito delle provvigioni alla JBR;

infine dalla documentazione già vagliata dal primo giudice emergeva, almeno apparentemente, che la controparte contrattuale della Iris era la JBR s. a.r.l e non il B..

Per la Cassazione della sentenza propone ricorso la Iris Ceramica s.p.a che affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso B.R..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo si denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 e ss. c.c. e art. 116 c.p.c. ed il difetto e/o l’insufficienza e/o la contraddittorietà della motivazione su punto controverso e decisivo, nonchè l’omessa pronuncia. Si contesta, in particolare, che il giudice d’appello non ha riconosciuto il dovuto valore contessono alle dichiarazioni a sè sfavorevoli rese dal B., quale interveniente nel procedimento promosso in Francia nei confronti di essa preponente dalla società J.B.R, dichiarazioni con le quali il B. aveva rivendicato la qualità di agente e di controparte contrattuale della società Iris Ceramica s.p.a..

Si conclude il motivo chiedendosi, perciò, di accertare se le affermazioni rese in un diverso giudizio dal B. sul fatto che il contratto di agenzia commerciale era stato firmato tra la società Iris Ceramica ed il medesimo dichiarante, solo domiciliato presso la JBR, e sulla circostanza che era lui a beneficiare a titolo personale della qualità di agente commerciale, implicavano il riconoscimento di tali fatti; se, di fronte all’ammissione di un fatto potenzialmente sfavorevole per la parte che se ne fa carico il giudice debba attribuire ad una tale ammissione il valore di prova piena contro colui che l’ha rilasciata, oltre che di prova privilegiata rispetto a quella testimoniale; se incorra in violazione dell’art. 116 c.p.c. il giudice che prediliga una prova costituenda a quella della dichiarazione proveniente dalla parte.

In definitiva la ricorrente sostiene che è erroneo il convincimento della Corte territoriale sul fatto che le affermazioni del B. non avevano valore confessorio in quanto rese nell’ottica di una pura strategia processuale diretta a far declinare la giurisdizione dell’autorità giudiziaria francese ed in quanto prive dell’ammissione di una obbligazione verso la società Iris. Il motivo è infondato.

Invero, le affermazioni che il B. rese nel giudizio svoltosi all’estero, attraverso le quali egli aveva rivendicato la titolarità del rapporto in esame, oltretutto al fine processuale di veder declinata la giurisdizione estera, non potevano assurgere al rango di ammissione dei fatti di causa a sè sfavorevoli e favorevoli alla controparte, atteso che le stesse rappresentavano semplicemente delle valutazioni che, in quanto tali, non potevano avere valore confessorio. E1 stato, infatti, spiegato che "perchè una dichiarazione sia qualificabile come confessione, essa deve constare di un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte, e di un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo che forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e al contempo un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione". (Cass. Sez. Lav. n. 23495 del 19/11/2010).

Si è, altresì, chiarito (Cass. Sez. Lav., n. 15515 del 16/10/2003) che "le dichiarazioni rese in giudizio dal difensore, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all’altra parte non hanno efficacia di confessione ma costituiscono elementi di libero apprezzamento da parte del giudice di merito (in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito per difetto di motivazione, in quanto questa, a seguito della negazione dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il proprio assistito e il datore di lavoro, resa dal difensore, ha interpretato la stessa come rinuncia ad un capo di domanda senza apprezzarla liberamente).

Nella fattispecie la Corte territoriale ha liberamente ed adeguatamente valutato le dichiarazioni del B., sottraendosi, in tal modo, ai rilievi di legittimità, dopo aver ritenuto che il fatto di reclamare la titolarità del rapporto obbligatorio non equivaleva a riconoscere fatti a sè sfavorevoli, diversamente da quella che avrebbe potuto essere la precisa ammissione di una propria obbligazione verso la Iris o una ricognizione del debito, deducendosi dagli atti che lo scopo avuto di mira dal B. con le suddette dichiarazioni era quello processuale di far declinare la giurisdizione francese.

2. Col secondo motivo si deduce la nullità della pronuncia per la violazione dell’art. 2729 c.c., oltre che per insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione su un punto fondamentale della controversia.

In particolare la ricorrente contesta la convinzione della Corte d’appello sul fatto che l’indicazione, nel contratto del 31/12/87, sostitutivo di quello del 1985, del nominativo del B. accanto a quello del J.B.R. faceva ragionevolmente presumere che egli agisse come rappresentante della stessa società. Secondo la ricorrente una tale conclusione è, invece, apodittica in quanto il termine J.B.R. era solo qualificativo della ditta prescelta dall’agente B., avendo quest’ultimo omesso di indicarne la esatta ragione sociale. Aggiunge la difesa della Iris che questa si era limitata a riferire nell’atto introduttivo del giudizio di aver ricevuto dall’agente, nel corso del rapporto, la sua comunicazione di aver costituito per ragioni fiscali una società di capitali e non che era stata costituita una siffatta società nel corso del 1985, per cui i documenti n. 3 e 4 di parte convenuta non avrebbero potuto smentire l’allegazione di fatto che si intendeva provare, cioè che i contratti erano stati stipulati con la ditta individuale J.B.R.. Nè apparivano idonee a sorreggere la decisione, per la mancanza di univocità di significato, le altre circostanze riferite nella sentenza, quali il pagamento delle provvigioni alla J.B.R., che altro non era se non la conseguenza del contratto di cessione del credito, l’invio dei documenti provvisionali a quest’ultima, dovuto solo alla necessità di consegnare al cessionario i documenti probatori del credito. Egualmente, le altre circostanze rappresentate, quali la indicazione nella casella postale della dicitura "Agente di J.B.R." o "J.B.R di Blanchard", il mandato del 1997 intestato alla società Raymond Blancard J.B.R. e l’esistenza della circolare del 15 aprile 1998 riportante l’indicazione "signor B.R. – società J.B.R.", testimoniavano unicamente la confusione dei ruoli determinata nel personale della IRIS dalla discrasia tra chi operava e chi percepiva i compensi, tra le fatture emesse e gli ordini di bonifico effettuati.

Osserva la Corte che il motivo presenta profili di improcedibilità e di infondatezza. Non può, infatti, non evidenziarsi che non sono stati prodotti unitamente al presente ricorso, in violazione di quanto disposto dall’art. 369 c.p.c., n. 4, i documenti posti a base delle censure costituenti l’oggetto del motivo in esame. Si è, infatti, affermato (Cass. sez. 5, sentenza n. 303 del 12/1/2010) che l’art. 369 c.p.c., comma 4, nel prescrivere che unitamente al ricorso per cassazione debbano essere depositati a pena d’improcedibilità "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda", non distingue tra i vari tipi di censura proposta: ne consegue che, anche in caso di denuncia di "error in procedendo", gli atti processuali devono essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello stesso".

Da ultimo le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito (Cass. Sez. Un. n. 22726 del 3/11/2011) che "in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi". Nella fattispecie quest’ultimo onere non risulta assolto in quanto in calce al presente ricorso è fatto solo generico riferimento alla produzione del fascicolo di parte con gli atti ed i documenti del giudizio di merito.

Per quel che concerne, invece, il merito delle residue censure non incentrate direttamente sulla disamina dei documenti, si osserva che "in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza.

Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di base. (Nella specie la S.C. ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso in quanto che la ricorrente si era limitata a riproporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti)". (Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006; in senso coni v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04) Nella fattispecie, la Corte d’appello di Firenze ha attentamente valutato con argomentazioni logiche e ben motivate in ordine ai riscontri eseguiti, immuni da vizi giuridici, l’ampio materiale istruttorio raccolto, per cui le doglianze appena riferite non ne scalfiscono la relativa "ratio decidendi". Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per onorario e di Euro 50,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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