Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-03-2012, n. 4470

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19/6 – 16/7/08 la Corte d’appello di Catanzaro – sezione lavoro, ha rigettato l’impugnazione proposta dal Ministero della Salute avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Paola, con la quale era stato condannato alla corresponsione in favore di G.E. dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 riconosciuto ai soggetti danneggiati da epatiti post- trasfusionali, dopo aver rilevato che era infondato l’unico motivo di doglianza incentrato sul difetto di legittimazione passiva. In effetti il Ministero aveva sostenuto che a decorrere dal 21 febbraio 2001 la legittimazione spettasse alle Regioni dopo il trasferimento a tali enti territoriali delle relative risorse economiche per effetto del D.P.C.M. 26 maggio 2000 e del D.P.C.M. 8 gennaio 2002, art. 3.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Ministero della Salute che affida l’impugnazione a due motivi di censura. Resiste con controricorso il G..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo il Ministero ricorrente censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.C.M. 8 gennaio 2002, art. 3 e del D.P.C.M. 24 luglio 2003, art. 3, nonchè del D.P.C.M. 25 maggio 2000, artt. 2 e 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo si conclude col quesito di diritto teso ad accertare se con riferimento al quadro normativo venutosi a determinare per effetto dei D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003, successivamente alla precedente previsione contenuta nel D.P.C.M. 20 maggio 2000, art. 3, in base ai quali le funzioni di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 sono state trasferite alle Regioni con decorrenza 1 gennaio 2001, sussiste o meno la legittimazione passiva del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali in ordine a una domanda di indennizzo di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, non trasmessa al Ministero sopraindicato dalla competente azienda sanitaria locale entro la data del 21.02.2001, come previsto dal D.P.C.M. 8 gennaio 2002, art. 3. Si chiede, altresì, di accertare se il termine indicato dall’art. 3 D.P.C.M., nella data del 21.02.2001, per la ricezione e/o trasmissione delle istanze di risarcimento ex lege n. 210 del 1992, da parte della competente A.S.L. al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali debba intendersi quale limite per la sussistenza della relativa legittimazione passiva.

2. Col secondo motivo si addebita al giudice d’appello la contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, obiettandosi che, pur essendo stata indicata la sussistenza della legittimazione passiva del Ministero della Salute solo per le azioni di indennizzo ex lege n. 210 del 1992 trasmesse a tale ente dalle competenti A.S.L. entro il termine del 21/2/2001, si è finito per sancirne la sussistenza anche oltre tale ipotesi. Si osserva che entrambi i motivi sono infondati, in quanto le Sezioni unite di questa Corte hanno affrontato e risolto il problema della legittimazione passiva del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali nella materia di cui trattasi (Sez. Un. n. 12538 del 9 giugno 2011) statuendo espressamente che "in tema di controversie relative all’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210 in favore di soggetti che hanno riportato danni irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie trasfusioni e somministrazione di emoderivati, e da questi ultimi proposte per l’accertamento del diritto al beneficio, sussiste la legittimazione passiva del Ministero della salute, in quanto soggetto pubblico che, analogamente, decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale".

In sintesi, il ragionamento delle Sezioni unite è stato il seguente:

– Il D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 ha previsto che erano conservate allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.

All’epoca la materia "assistenza sanitaria ed ospedaliera" (ex art. 117, comma 1, testo originario) segnava una tipica competenza concorrente delle regioni sicchè, in forza del trasferimento di competenze legislative di cui alla L. n. 59 del 1997, art. 2 doveva ritenersi trasferita alle Regioni la competenza legislativa a disciplinare le funzioni ed i compiti relativi. Trovava quindi applicazione la seconda parte dell’art. 2 cit., comma 1: la competenza legislativa trasferita in materia di indennizzo ex L. n. 210 del 1992 era quella meramente delegata, non già quella concorrente. L’effettivo trasferimento di compiti e funzioni amministrative si è avuto con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri come previsto dalla L. n. 59 del 1997, art. 7 con normativa, quindi, subprimaria in quanto legittimata da quella primaria, ossia dalla legge ordinaria; la quale pertanto non poteva alterare il riparto di competenze Stato-Regioni. Il primo D.P.C.M. 26 maggio 2000 (in G.U. 11 ottobre 2000, n. 238) trasferiva alle regioni le risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative ed in particolare – alla lett. a) della tabella A) – le funzioni in materia di indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, nonchè di vaccinazione antipoliomelitica non obbligatoria di cui alla L. 14 ottobre 1999, n. 362, art. 3; inoltre, l’art. 2, comma 4, si limitava a prevedere che restavano a carico dello Stato gli eventuali oneri derivanti dal contenzioso riferito a fatti precedenti il trasferimento. Seguono il D.P.C.M. 8 gennaio 2002 (in G.U. 26 marzo 2002, n. 72) ed il D.P.C.M. 24 luglio 2003 (in G.U. del 17 ottobre 2003, n. 242) che rideterminano le risorse finanziarie da trasferire alle regioni e agli enti locali per l’esercizio delle funzioni segnatamente in materia di indennizzo ex L. n. 210 del 1992.

L’art. 3 di entrambi i D.P.C.M. prevede che restano a carico dello Stato, ai sensi del D.P.C.M. 26 maggio 2000, art. 2, comma 4, gli oneri a qualsiasi titolo derivanti dal contenzioso riferito a qualsiasi ricorso giurisdizionale concernenti le istanze di indennizzo trasmesse sino al 21 febbraio 2001 al Ministero della sanità, dalle aziende sanitarie locali. Pur in questo diverso contesto di ampliata competenza del legislatore regionale (del nuovo art. 117 Cost.), il Governo – con quella normativa subprimaria (i cit. D.P.C.M.) che continuava ad essere legittimata dalla L. n. 59 del 1997, art. 7 in quell’ambito limitato che all’epoca era possibile a Costituzione invariata – non avrebbe potuto trasferire alle regioni la legittimazione passiva a stare in giudizio per inidoneità della fonte. Ed a ben vedere non lo ha fatto perchè l’art. 3 di entrambi i D.P.C.M. si è limitato a regolare la ripartizione tra Stato e regioni solo degli "oneri" derivanti dal contenzioso. Rimaneva invece vigente – pur nel mutato quadro costituzionale delle competenze legislative Stato-Regioni – il D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 che prevedeva che restavano conservate allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati. Rimaneva, altresì, vigente la L. n. 210 del 1992, art. 5 che prevedeva che avverso la valutazione della commissione medico- ospedaliera di cui all’art. 4, è ammesso ricorso al Ministro della sanità entro trenta giorni dalla notifica o dalla piena conoscenza della valutazione stessa. Successivamente la Conferenza permanente, con accordo del 23 settembre 2004, modificativo del precedente accordo del 1 agosto 2002, Stato-Regioni adottava le "linee guida per la gestione uniforme delle problematiche applicative della L. 25 febbraio 1992, n. 210" che, tra l’altro, prevedevano modalità di proposizione del ricorso al Ministero della salute, per il tramite della regione o dell’A.S.L., avverso il giudizio della commissione medico ospedaliera. Quindi nella sede in cui maggiormente si estrinseca la leale collaborazione, a livello normativo, tra Stato e Regioni, si prendeva atto, in sostanza, che nulla era mutato in tema di potere del Ministro della salute di decidere i ricorsi amministrativi in materia.

Da questo complesso quadro normativo emerge che: a) le disposizioni sul contenzioso contenute nei cit. D.P.C.M. riguardano solo l’onere dello stesso, ma da esse non si ricava anche un regola processuale sulla legittimazione passiva, nè potrebbe ricavarsi per inidoneità della fonte a disciplinare tale aspetto pur in un mutato contesto costituzionale di riparto delle competenze legislative tra Stato e ^Regione, che ora assegna alle regioni la competenza residuale in materia di assistenza sociale; b) la L. n. 210 del 1992, art. 5 continua ad assegnare al Ministro della salute la competenza a decidere il ricorso amministrativo avverso la valutazione della commissione medico-ospedaliera; c) questa competenza è stata fatta salva dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 e sopravvive anche nel mutato contesto di trasferimento alle regioni di compiti e funzioni in tema di indennizzo (ad opera dei cit. D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003) e di attribuzione alle regioni della competenza legislativa residuale in materia di assistenza pubblica (ad opera dell’art. 117 Cost., comma 4, riformato). Di tale permanente vigenza c’è indiretta conferma nel menzionato accordo Stato-Regioni.

Può allora concludersi affermando che, come il Ministro della salute decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale in esame, analogamente è nei suoi confronti che va proposta l’azione giudiziaria con cui il danneggiato rivendica l’indennizzo. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2000,00 per onorario ed Euro 30,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

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