Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-06-2011) 12-10-2011, n. 36865

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 16.2.2010, il tribunale di Isernia, in riforma della sentenza impugnata ai soli effetti civili, dalla parte civile P.A., ha condannato I.G., in ordine al reato di diffamazione, al risarcimento dei danni, da liquidarsi dinanzi al giudice civile, e alla rifusione delle spese, in favore della P.. Il difensore dell’ I. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 521 c.p.p.: il giudice di appello ha ritenuto che "l’espressione dell’ I…..davanti a una platea, in toni seri, dell’intento di non proseguire oltre nello spettacolo, in quanto la signora del botteghino era fuggita con l’incasso, indicando espressamente costei come la signora P., con addebito, dunque, di un comportamento di palese inottemperanza agli obblighi assunti…integra al di fuori di ogni dubbio una condotta diffamatoria della reputazione della parte civile, qualificabile ex art. 595 c.p., commi 1 e 2 e art. 2043 c.c.". Secondo il ricorrente,questa conclusione, oltre ad essere palesemente contraddittoria con le risultanze emerse durante l’istruttoria di primo grado, si pone in una prospettiva completamente differente dall’impianto accusatorio, prospettato dal p.m.. L’addebito, mosso all’ I., consistente nell’aver presuntivamente accusato la P. di aver rubato l’incasso, è cosa altra e distinta dal fatto di aver attribuito alla persona offesa un comportamento di palese inottemperanza degli obblighi assunti. Tutti i testi sentiti, compreso D.C.E., il teste citato dalla P. hanno fatto riferimento all’allontanamento dal teatro senza aver adempiuto agli obblighi contrattuali. E’ evidente quindi l’assoluta mancanza di correlazione tra il fatto storico in imputazione e il fatto sul quale il giudice di appello ha fondato la condanna dell’imputato.

2. nullità della sentenza per travisamento del fatto: il tribunale ha attribuito valenza diffamatoria del fatto contestato, che è escluso dai testi esaminati, giungendo ad affermare la colpevolezza dell’imputato per un fatto diverso e mai verificatosi.

3. vizio di motivazione: il giudice di appello ha ritenuto sussistente un fatto escluso dai testi e ricava la sua valenza diffamatoria da alcune considerazioni svolte dalla persona offesa, il giudice cioè ricava dal fatto ricostruito dai testi – concernente la violazione di un obbligo contrattuale- l’attribuzione alla P. di "un comportamento sostanzialmente truffaldino", senza che nessun elemento consenta di leggere tale significato nelle espressioni effettivamente utilizzate.

Con memoria difensiva depositata il 19.5.2011, la parte civile espone la propria adesione alle argomentazioni della sentenza impugnata e rileva l’assoluta inammissibilità delle doglianze espresse dall’ I., in quanto dirette a proporre una diversa valutazione delle prove, in senso più favorevole per la propria tesi difensiva.

Il ricorso non merita accoglimento, in quanto la decisione del tribunale di Isernia è nettamente conforme alle risultanze processuali e alla loro razionale interpretazione. Correttamente il tribunale ha fondato la propria decisione sull’inoppugnabile significato doppiamente diffamatorio delle espressioni utilizzate dal ricorrente contro la P., accusandola, quale "signora del botteghino" di essere "andata via con l’incasso" La controversia nata in quello stesso giorno, tra il primo attore della compagnia e la responsabile della stagione teatrale 2004 – 2005 del comune di Pietrabbondante era immediatamente risolvibile con la mediazione di dirigenti comunali e, in caso negativo,da un giudice terzo nelle competenti sedi istituzionali. L’ I., ha preferito inscenare un estemporaneo processo popolare e un’immediata condanna morale contro la rappresentante del comune, accusandola di doppia trasgressione.

L’accusa riguardava, infatti, da un lato un comportamento sleale e inottemperante, nei confronti della compagnia di prosa, il cui primo attore I., aveva quindi deciso, davanti al pubblico, di interrompere la rappresentazione; dall’altro veniva contestato alla donna di aver consumato questa inadempienza con un’illecita condotta di impossessamento della somma ricavata dalla vendita dei biglietti di ingresso(eloquente e inequivoca è l’espressione è andata via con l’incasso).

Indipendentemente dalla verità dell’allontanamento della P. (circostanza smentita dalla persona offesa e dal teste D.C.), l’attore non era comunque legittimato ad utilizzare lo scenario teatrale, per attribuire alla stessa un comportamento disonesto e comunque giuridicamente trasgressivo.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, che liquida in Euro 1.100,00 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, che liquida in Euro 1.100,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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