Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-03-2012, n. 4465

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19/6 – 18/7/08 la Corte d’appello di Catanzaro – sezione lavoro ha rigettato l’impugnazione proposta da B.G. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Lamezia Terme, con la quale le era stata respinta la domanda diretta al conseguimento delle provvidenze previste nelle ipotesi di riduzione della capacità lavorativa, dopo aver rilevato che erano condivisibili le conclusioni del Ctu di prime cure in merito all’accertamento di un grado di invalidità dell’assistita in misura non superiore al 54%, rispetto alle quali non erano stati dedotti dati di fatto nuovi, per cui nemmeno trovava giustificazione la richiesta di rinnovo delle operazioni peritali.

Nel proporre ricorso in Cassazione avverso tale decisione, la B. evidenzia che all’atto di impugnare la sentenza di primo grado aveva richiamato l’elaborato del consulente tecnico di parte dal quale emergeva un quadro patologico ben più grave di quello descritto dal consulente d’ufficio di prime cure, per cui il giudice del gravame avrebbe dovuto disporre una nuova perizia in forza della previsione di cui all’art. 149 disp. att. c.p.c.. Resistono con controricorso sia l’Inps che il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Motivi della decisione

Con un unico motivo la ricorrente impugna la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, denunziando la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 149 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, oltre che l’insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sulla scorta delle seguenti ragioni: il quadro morboso descritto nell’atto d’appello, sulla base delle affermazioni del consulente tecnico di parte attestanti una valutazione della diminuzione della capacità lavorativa pari a 2/3, era ben più grave di quello segnalato dal consulente d’ufficio di primo grado, per cui la Corte di merito aveva trascurato di considerare il denunziato aggravamento delle patologie ed omesso, senza motivazione alcuna, di provvedere ad un rinnovo delle operazioni peritali, nonostante la chiara previsione della norma di cui all’art. 149 disp. att. c.p.c..

Il ricorso è infondato.

Come ha, infatti, già avuto modo di affermare questa Corte (Cass. Sez. lav. n. 21151 del 13/10/2010), "nelle controversie relative a prestazioni previdenziali od assistenziali fondate sull’invalidità del richiedente, il ricorrente, che abbia censurato la decisione del giudice d’appello per violazione dell’art. 149 disp. att. c.p.c., ha l’onere di dimostrare di aver dedotto e comprovato, con adeguata documentazione, l’esistenza degli aggravamenti delle malattie e le nuove infermità sopravvenute al giudizio di primo grado, nonchè la determinante rilevanza delle nuove patologie in modo da rendere palese che la positiva valutazione dei fatti dedotti avrebbe comportato con certezza la declaratoria del diritto alla prestazione richiesta in giudizio con la decorrenza auspicata". Orbene, nella fattispecie la ricorrente sostiene che la relazione del consulente di parte, i cui esiti erano stati posti a sostegno dell’atto d’appello, conteneva elementi che denotavano l’aggravamento del quadro morboso, per cui sarebbe stato doveroso, da parte del giudice del gravame, provvedere ad un rinnovo delle operazioni peritali, la qual cosa avrebbe consentito di verificare la sussistenza della diminuzione della capacità lavorativa per il conseguimento della provvidenza richiesta.

Tuttavia, va rilevato che non è affatto dimostrato che la disamina delle valutazioni operate dal consulente di parte avrebbe comportato con certezza il raggiungimento della prova del superamento dei 2/3 della riduzione della capacità lavorativa necessaria per legge ai fini dell’accesso alla prestazione di invalidità nella specie invocata. Infatti, nel riportare a pagina 6 del presente ricorso le affermazioni del C.T.P dr. S. G., la difesa della ricorrente segnala che quest’ultimo aveva affermato che all’epoca della visita svolta successivamente alla sentenza di primo grado, la misura invalidante era pari a 2/3 e che meritava di essere fatta oggetto di indagine.

Inoltre, non va dimenticato che "il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse. (Cass. Sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007).

Nella fattispecie la decisione impugnata è ancorata alle conclusioni medico-legali del consulente d’ufficio considerate esaurienti, con la precisazione che il medesimo perito aveva dato conto delle deduzioni della B., per cui, una volta accertata la non decisività del dedotto aggravamento ai fini del conseguimento della prestazione invocata, in quanto non sussisteva la certezza del superamento della predetta soglia dei 2/3, le critiche alle valutazioni operate dal giudice d’appello finiscono per tradursi in una inammissibile istanza di rivisitazione delle risultanze processuali già congruamente valutate nel merito dal medesimo giudicante.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio in favore dell’Inps e del Ministero dell’Economia e delle Finanze nella misura di Euro 2000,00 ciascuno per onorari, oltre Euro 30,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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