Cass. civ. Sez. VI, Sent., 22-03-2012, n. 4623 Responsabilità disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il notaio P.A. ha proposto ricorso per cassazione ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 158-ter, avverso la sentenza del 31 dicembre 2010, con cui la Corte d’Appello di Bologna, provvedendo sul reclamo proposto dal Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Forlì e Rimini contro la decisione della Commissione Regionale Disciplina dell’Emilia Romagna del 27 febbraio 2010 (che aveva condannato esso ricorrente alla sanzione pecuniaria di Euro 13.000 per la violazione dell’art. 28, comma terzo, della legge notarile in relazione ad uno dei tre addebiti disciplinari mossigli in data 27 novembre 2009, prosciogliendolo, invece, da altre due incolpazioni, in particolare per quanto interessa (oltre che da quella di cui al capo n. 1) da quella di cui al capo di imputazione n. 3, riguardante la violazione dell’art. 147, lett. a) e b) della stessa legge notarile), in riforma di essa ha dichiarato il ricorrente responsabile anche degli illeciti di cui al capo n. 3 per la violazione dell’art. 147 ed ha, previa esclusione della concessione delle attenuanti di cui all’art. 44 della legge notarile in relazione al capo n. 2, rideterminato la sanzione quanto a quest’ultimo in mesi nove di sospensione dall’esercizio della professione e gli ha irrogato la sanzione di mesi sei di sospensione quanto all’addebito di cui al capo n. 3 dell’incolpazione, così comminandogli la sanzione complessiva di anni uno e mesi tre di sospensione.

1.1. Al ricorso, proposto contro il suddetto Consiglio ed il Procuratore Generale della repubblica presso la Corte d’Appello di Bologna, ha resistito con controricorso il Consiglio.

2. Il ricorso è stata avviato a trattazione con il procedimento di cui all’art. 380-ter c.p.c. e, quindi, è stata formulata richiesta al Procuratore generale presso la Corte di depositare le sue conclusioni. Tali conclusioni, una volta depositate, sono state notificate agli avvocati delle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

3. In vista dell’adunanza della Corte il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Il Pubblico Ministero, nelle sue conclusioni a norma dell’art. 380 ter c.p.c., dopo avere preliminarmente rilevato l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, proposta dal resistente, ha concluso per il rigetto del ricorso.

In sede di adunanza ha, invece concluso come in epigrafe.

2. Nella sua memoria, con ampia argomentazione, il ricorrente ha sostenuto, in via preliminare, che irritualmente la Corte avrebbe disposto la trattazione del ricorso con il procedimento in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c. e ciò pur dando atto di conoscere il precedente favorevole di questa Sezione di cui a Cass. (ord.) n. 17704 del 2010, il quale, però, sarebbe stato affermato sulla base di una prassi applicativa formatasi anteriormente alla riforma di cui alla L. n. 69 del 2009, cioè vigente la disciplina di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006.

L’affermazione sarebbe stata fatta senza considerare due dati:

a) il primo sarebbe rappresentato dalla necessità di tenere conto che il legislatore del 2009, mentre ha lasciato immutato l’art. 380 ter c.p.c., nel suo richiamo all’art. 380-bis, comma 1, ha modificato il procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c., avendo istituito la c.d. Sezione Filtro, cioè l’apposita Sezione (di cui all’art. 376 c.p.c.) che è denominata Sesta Sezione Civile e di cui questo Collegio è parte;

b) il secondo sarebbe dato dalla discutibilità dell’apparentamento del giudizio di cassazione sul procedimento disciplinare notarile ai procedimenti di regolamento di competenza e di giurisdizione, in quanto a decisione necessaria in camera di consiglio.

In riferimento al primo punto, la tesi è che, per effetto della novella della L. n. 69 del 2009, sarebbe sorto un problema di coordinamento fra l’art. 380-ter c.p.c., comma 1 ed l’art. 380-ter c.p.c., comma 1. Il problema sarebbe insorto per effetto della modifica di quest’ultimo, che, a differenza di quanto faceva nel testo precedente, evoca ora solo i numeri 1 e 5 dell’art. 375 c.p.c..

Il difetto di coordinamento, in particolare, viene prospettato assumendosi che il presidente cui fa riferimento dell’art. 380-ter c.p.c., comma 1 – al di fuori del caso di regolamento preventivo di giurisdizione (in cui il riferimento è da intendere al Primo Presidente, stante l’attribuzione della decisione alle Sezioni Unite da parte dell’art. 374 c.p.c. e considerato che l’art. 376, nel prevedere che tutti i ricorsi siano assegnati ad apposita sezione, cioè alla Sesta Sezione, fa appunto salvo quanto previsto dall’art. 374 c.p.c.) e, quindi, in pratica, nel caso di regolamento di competenza per quanto regolato direttamente – potrebbe essere sia il presidente della Sesta Sezione, sia quello della Sezione Semplice cui il processo pure a decisione necessaria in camera di consiglio sia trasmigrato per non essere stato trattato dalla Sesta Sezione.

2.1. Questo assunto non coglie, tuttavia, la novità della L. n. 69 del 2009, la quale, nel prevedere la costituzione dell’apposita sezione cui allude l’art. 376 c.p.c., ha inteso – a differenza di quanto accadeva nella disciplina previgente di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, attribuire l’applicazione del procedimento in camera di consiglio, in tutte le sue forme tranne che per le ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., nn. 2 e 3 a detta apposita sezione, con la conseguenza che per i procedimenti a decisione necessaria in camera di consiglio (qual è nel codice il regolamento di competenza e fuori dal Codice quello disciplinare notarile) il ricorso è deciso sempre e soltanto dalla Sesta Sezione, senza possibilità di invio alla Sezione Semplice.

2.2. Il ragionamento che giustifica tali affermazioni può svolgersi argomentando rispetto al procedimento a decisione necessaria in camera di consiglio previsto dallo stesso codice e non affidato alla competenza delle Sezioni Unite, cioè il regolamento di competenza.

Il primo comma dell’art. 376 c.p.c, nel dire che il primo presidente, salvo che ricorrano le condizioni di cui all’art. 374 c.p.c., cioè che il ricorso sia da decidere dalle Sezioni Unite, assegna tutti i ricorsi all’apposita sezione, "che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, comma 1, nn. 1) e 5)" e, quindi, soggiunge che "se la sezione non definisce il giudizio, gli atti sono rimessi al primo presidente, che procede all’assegnazione alle sezioni semplici".

Ora, la norma, quando dice che l’assegnazione è fatta per la verifica dei presupposti di cui ai nn. 1) e 5) dell’art. 375, comma 1, non usa una formulazione che lascia intendere che i poteri di decisione della detta sezione siano limitati per tutti i ricorsi esclusivamente alla rilevazione delle ipotesi di cui ai detti numeri.

Non a caso essa usa l’espressione "verifica se" e non quella per la "decisione se sussistono i presupposti". Questo significa che per tutti i ricorsi la sesta sezione deve verificare se ricorrano le ipotesi di cui ai numeri 1 e 5 e lo deve fare anche per il regolamento di competenza, che, dunque, quale procedimento a decisione necessaria in camera di consiglio è assegnato sempre alla sesta sezione.

L’inciso finale dell’art. 376, comma 1, viceversa, si occupa della decisione, quando allude al caso in cui l’apposita sezione non definisca il giudizio, così sottintendendo che essa può definire il giudizio.

Ebbene, quando tale inciso prevede in contrario l’ipotesi che il giudizio sia definito dall’apposita sezione si presta a comprendere sia l’ipotesi in cui il ricorso venga deciso da essa perchè ricorre il caso di cui al n. 1 o al n. 5 dell’art. 375, sia l’ipotesi in cui, non ricorra questo caso e, tuttavia, la definizione possa avvenire comunque da parte della stessa sezione. Tale ipotesi è quella che la decisione debba avvenire necessariamente in camera di consiglio perchè il procedimento è a decisione necessaria camerale e nel codice essa è sostanziata dall’art. 380 ter a proposito del regolamento di competenza.

Tale sostanziazione trova conferma e si coglie nel riferimento che l’art. 380-ter c.p.c. fa al presidente nell’attribuirgli sul regolamento di competenza il compito di richiedere al pubblico ministero le sue conclusioni "se non provvede ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c., comma 1", che ora fa riferimento ai casi di cui ai nn. 1 e 5 dell’art. 375 c.p.c..

Il presidente cui fa riferimento l’art. 380-ter, poichè formula la valutazione in una situazione in cui una delle alternative è la nomina del relatore di cui alla sezione sesta, al quale allude l’art. 380-bis, comma 1, non può che essere il presidente dell’apposita sezione sesta. La cosa non deve sembrare strana, poichè questa è certamente una sezione semplice e la sua figura rientra, in conseguenza, nella previsione del secondo inciso dell’art. 377 c.p.c., comma 1, là dove prevede che il presidente della sezione nomina il relatore per i ricorsi assegnati alle sezioni semplici.

Tale esegesi si impone, del resto, perchè la nomina del relatore di cui alla sezione sesta, evocato dell’art. 380-bis, comma 1, non è in altro modo regolata.

Ne discende che il presidente di cui all’art. 380-ter non può mai essere quello di una sezione semplice diversa dalla sesta sezione.

Alla sezione semplice, pertanto, il ricorso per regolamento di competenza, e quindi, quello a decisione necessaria in camera di consiglio, come il ricorso in materia disciplinare notarile, non può mai trasmigrare.

2.3. Il procedimento in camera di consiglio sia ai sensi dell’art. 380-ter, sia ai sensi dell’art. 380-bis per le ipotesi di cui numeri 1 e 5 dell’art. 375 c.p.c., non risulta in pratica mai applicabile dalla sezione semplice diversa dalla sesta sezione.

Un problema di applicazione del procedimento in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice diversa dalla sesta si può, in realtà porre solo con riferimento al procedimento di cui al terzo e quarto comma dell’art. 380-bis c.p.c., cioè relative ai casi di cui ai nn. 2) e 3) dell’art. 375 c.p.c. Non a caso il comma 3 fa riferimento al relatore nominato ai sensi dell’art. 377, comma 1, ultimo periodo:

tale relatore può essere sia quello di cui alla sesta sezione, se rilevi una delle ipotesi di cui ai nn. 2) e 3), quanto quello della sezione semplice cui il ricorso sia stato rimesso senza che dette ipotesi siano state rilevate. Ma naturalmente, nel caso di ricorso a decisione necessaria in camera di consiglio, non potendosi dare questa eventualità, anche l’applicazione dell’art. 380-bis, comma 3, sarà gestita sempre e soltanto davanti alla sesta sezione.

Non c’è, pertanto, alcuna disarmonia nell’essere stato lasciato immutato l’art. 380-ter c.p.c., comma 1, dopo l’istituzione della sezione filtro.

IL legislatore ha inteso restringere l’applicazione della decisione in camera di consiglio necessaria (non di competenza delle sezioni unite) esclusivamente alla sesta sezione.

2.4. Raggiunta questa conclusione, va esaminato il rilievo della memoria che avanza dubbi (generici) di costituzionalità su di essa, là dove la decisione della Sesta Sezione non si intenda limitata al caso in cui si ravvisi un’ipotesi riconducibile ai nn. 1 e 5 dell’art. 375 c.p.c. e, quindi, si accolga un’esegesi per cui la sesta sezione, quando non ravvisi le condizioni per procedere ai sensi dellìart. 380-bis e, dunque, con la redazione di una relazione del consigliere nominato, dovrebbe rimettere il ricorso alla sezione semplice, in questo caso alla Terza Sezione, la quale dovrebbe – sembra di capire – procedere necessariamente ai sensi dell’art. 380- ter c.p.c..

La ragione di questa esegesi è per il ricorrente che altrimenti si avrebbe una fase di filtro "al buio", cioè senza che eventuali ipotesi di cui ai nn. 1 e 5 dell’art. 375 c.p.c. – evidentemente se esistenti – siano prospettate dalla Sezione Sesta, deputata alle funzioni di sezione c.d. filtro, mediante la relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Ora, è vero che, se la scelta del presidente della sesta ai sensi dell’art. 380-ter è nel senso di dare corso alla trattazione con il rito di cui all’art. 380-ter c.p.c., in quanto non ritiene di provvedere ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., comma 1, la conseguenza è che il collegio in questa adunanza può ritenere sussistenti le ipotesi di cui ai nn. 1 e 5 dell’art. 375 senza che questo avviso sia stato esternato in una relazione. Quella scelta, infatti, non determina e non può determinare sia per il pubblico ministero sia per il collegio nell’adunanza fissata a seguito delle conclusioni del medesimo alcuna preclusione a ravvisare una inammissibilità o una improcedibilità o una manifesta fondatezza o una manifesta infondatezza, cioè le ipotesi di cui ai n. 1 e 5 citati.

E ciò in non diversa guisa di quanto accade per la stessa scelta della Sesta Sezione all’interno del procedimento di cui all’art. 380- bis c.p.c. di rimettere alla Sezione ordinaria, senza relazione o se del caso anche a seguito di adunanza dopo redazione di una relazione non condivisa. Anche detta scelta non determina alcuna preclusione ad un diverso avviso della sezione semplice ordinaria cui il ricorso sia rimesso, circa l’esistenza delle ragioni di cui ai nn. 1 e 5 dell’art. 375 c.p.c., indicate nella relazione o comunque ipotizzabili (quanto la rimessione del fascicolo avviene senza redazione di una relazione poi non condivisa dal collegio nell’adunanza).

Ebbene deve rilevarsi, venendo al giudizio notarile che, se si reputasse che il ricorso in materia disciplinare notarile, in quanto ricorso a decisione necessaria in camera di consiglio, possa essere deciso dalla Sesta Sezione solo con il procedimento di cui all’art. 380-bis, dovendo essere altrimenti deciso dalla sezione semplice per così dire ordinaria necessariamente con il procedimento di cui all’art. 380-ter, il preteso inconveniente per il ricorrente nella detta materia di vedersi rilevate le ipotesi di cui ai nn. 1 e 5 dell’art. 375 senza che esse siano "messe in tavola" in un progetto di sentenza, si perpetuerebbe davanti alla sezione de qua, sicchè l’unica conseguenza sarebbe che invece della Sezione semplice Sesta il ricorso sarebbe deciso dalla Sezione semplice ordinaria (nella specie la Terza), il che non si vede quale anche modesto inconveniente per il diritto di difesa del ricorrente (ma anche del resistente) possa cagionare.

Si deve, poi, osservare che nella struttura del processo di cassazione il fatto che il ricorrente possa, per così dire, essere provocato a contraddire dal progetto di sentenza espresso dalla relazione o in altro modo, non è una garanzia, ma appartiene esclusivamente al modo di organizzazione della trattazione dei ricorsi della Corte di cassazione. Lo conferma il fatto che quando un ricorso non a decisione necessaria in camera di consiglio, per un’erronea o omessa valutazione della Sesta Sezione, tanto come s’è detto a seguito di relazione non condivisa dall’adunanza, quanto a seguito di rimessione senza relazione, viene giudicato dalla sezione ordinaria, questa, se rileva l’esistenza di una causa di inammissibilità o improcedibilità a norma dell’art. 375 c.p.c., n. 1 o altra similare impediente, oppure la manifesta fondatezza o manifesta infondatezza del ricorso a norma dell’art. 375 c.p.c., n. 5, non deve applicare l’art. 384 c.p.c., comma 3 (si veda Cass. (ord.) n. 15694 del 2011; n. 16401 del 2011; (ord.) n. 17779 del 2011) e nemmeno il nuovo art. 101 c.p.c., comma 2, posto che il concetto di questione rilevata d’ufficio colà evocato, nel processo di impugnazione non sembra comprendere il rilievo delle condizioni di ammissibilità e procedibilità dell’impugnazione, che il ricorrente sa di essere tenuto comunque ad osservare quale condizione per la decisione sul merito della sua impugnazione e che il giudice investito dell’impugnazione deve controllare proprio perchè giudice di un’impugnazione. E meno che mai sembra comprendere il rilievo della manifesta infondatezza o fondatezza in iure della domanda di impugnazione, posto che il loro carattere manifesto esclude che il loro rilievo dia luogo a "sorpresa" per l’impugnante, tradizionalmente ravvisata nella prospettazione di una c.d. terza via decisionale.

2.5. Per completezza va rilevato, inoltre, che la riconducibilità del giudizio di cassazione sul procedimento disciplinare notarile alla competenza interna della Sesta Sezione secondo le alternative procedimentali espresse negli artt. 380-ter e 380-bis c.p.c., non può essere messa in dubbio sotto un altro e diverso profilo, cioè dando rilievo ad una connotazione certamente peculiare che il detto giudizio in origine presentava nel modello delineato ab origine dalla legge notarile. Nelle norme che quella legge dettava nell’art. 156 a proposito del ricorso per cassazione, infatti, il secondo comma prevedeva che "il ricorso deve essere fatto nei modi e termini prescritti dall’articolo precedente" e, poichè il precedente articolo 155, nel disciplinare il procedimento in appello, nel quarto comma disponeva che fossero osservate le norme degli artt. 152, 153 e 154 della legge, dettate per il procedimento davanti al tribunale, fra le quali era ricompreso l’art. 154, comma 1 che come modus procedendi che "il tribunale, sentito il notaro, ove sia comparso, ed il pubblico ministero, pronunziasse in camera di consiglio sulle istanze proposte", ne derivava la conseguenza che davanti alla Corte di cassazione la decisione sul ricorso dovesse avvenire "in camera di consiglio", cioè senza udienza pubblica, ma con la garanzia che il notaio, rappresentato nelle forme necessarie nel giudizio di legittimità fosse sentito. Ne seguiva che il procedimento si discostava sotto tale profilo dal modello del procedimento camerale delineato dal combinato disposto dell’art. 138 disp. att. c.p.c. e dall’art. 375, nel testo originario, posto che in esso non era prevista l’audizione delle parti nella camera di consiglio, ma solo, dall’art. 375, comma 2 la possibilità che le parti presentassero memorie. Il che era stato ben sottolineato da Cass. n. 908 del 1999, che si occupò di individuate il regime delle rinuncia agli atti in relazione alla particolarità del procedimento, ma ribadì il carattere pur sempre camerale del procedimento.

Lo scostamento venne mantenuto anche dal testo dell’art. 375 novellato dalla L. n. 353 del 1990, ma scomparve per effetto delle riforma dell’art. 375 di cui alla L. n. 89 del 2001, perchè il nuovo dell’art. 375, comma 4 previde che in alcuni casi le parti potessero essere sentite nel procedimento in camera di consiglio. Di modo che la particolarità del procedimento notarile, costituita dal doversi le pari sentire, sia pure in un’adunanza e non in un’udienza pubblica divenne in tutto omologa alle ipotesi previste dal detto quarto comma.

Successivamente alle riforme del D.Lgs. n. 40 del 2006 ed all’articolazione del procedimento in camera di consiglio in cassazione con le due figure del procedimento camerale eventuale e del procedimento in camera di consiglio necessario ai sensi rispettivamente degli artt. 380-bis e 380-ter l’assenza di scostamento da tali modelli risultò confermata sia per l’uno che per l’altro, atteso che nel primo la facoltà di chiedere l’audizione era sempre riconosciuta e nel secondo lo era per uno dei due procedimenti contemplati, il regolamento preventivo di giurisdizione, il che evidenziava che quando la Corte avesse dato corso allo schema dell’art. 380-ter la necessità dell’audizione non rappresentava affatto un’anomalia.

Sopravvenute le modifiche della legge notarile di cui al D.Lgs. la coordinazione della nuova norma del nuovo della L. n. 89 del 1913, art. 158-ter, comma 4, là dove stabilisce che "La Corte di cassazione pronuncia con sentenza in camera di consiglio, sentite le parti", se introdusse un nuovo innocuo scostamento, quello della forma della decisione, lasciò la situazione relativa alla ribadita necessità dell’audizione delle parti (estesa espressamente a tutte le parti, cosa che, però, risultava implicita anche nei micro sistemi precedenti, per l’ovvio rispetto del contraddittorio) assolutamente immutata in termini di piena compatibilità sia con il modello dell’art. 380-ter sia con il modello dell’art. 380-bis (come non mancarono di notare Cass. n. 6935 del 2010 ed ulteriormente e con maggiore ampiezza Cass. n. 17704 del 2010.

Situazione rispetto alla quale la L. n. 69 del 2009, con cui è stata istituita la c.d. apposita sezione, non ha introdotto alcun mutamento.

2.5.1. Va notato che la qui ribadita collocazione del procedimento di legittimità per il disciplinare notarile nel sistema degli artt. 380- bis e 380-ter nei modi su indicati potrebbe essere superata soltanto se si reputasse che gli ampi cambiamenti introdotti nella legge notarile dal D.Lgs. n. 249 del 2006, in quanto estesi anche al giudizio di cassazione, abbiano avuto il significato, con la previsione della decisione con sentenza e non con la forma dell’ordinanza, di stabilire una sorta di regime del giudizio di cassazione, su generis, per cui la Corte di cassazione deve decidere a seguito di un’adunanza che si svolge in camera di consiglio senza cioè pubblicità, ma con la facoltà delle parti di essere sentiti.

Tale forma particolare comporterebbe però per un verso, non trattandosi di decisione a seguito di udienza pubblica della possibilità di depositare memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e, nell’ottica del procedimento camerale di cui agli artt. 380-bis e 380- ter le memorie colà sempre previste, per altro verso non toglierebbe che l’intervento del nuovo art. 376 c.p.c. e la creazione dell’apposita sezione, una volta inteso il comma 1 della norma nei sensi di cui sopra – cioè in modo che la rimessione al primo presidente per l’assegnazione alle altre sezioni semplici avviene solo se la Sesta Sezione non decide o ai sensi dei nn. 1 e 5 del’art. 375 con il procedimento di cui all’art. 380-bis o, nei casi di procedimento camerale necessario ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c, – comporti la conseguenza che la decisione necessaria con il procedimento di cui all’art. 158-ter, comma 4, ricostruito come sopra debba spettare sempre alla Sesta Sezione.

E’ palese, però, che l’opzione ermeneutica appena formulata, cioè di considerare sottratto al regime degli artt. 380-bis e 380-ter e a quello della pubblica udienza il giudizio di cassazione sul procedimento notarile sarebbe molto meno garantista per il notaio, tenuto conto che egli non solo non potrebbe depositare memorie scritte, ma nemmeno potrebbe conoscere preventivamene l’avviso del Pubblico Ministero, come gli è consentito nello schema dell’art. 380- ter c.p.c..

Non va sottaciuto, infatti, che quanto si adotta tale schema il deposito di conclusioni scritte del Pubblico Ministero, cioè di un soggetto che certamente è parte del procedimento nell’interesse della legge e, quindi, dell’osservanza della legge disciplinare, si risolve in una garanzia per il notaio, poichè Esso è messo in condizioni di poter replicare sia con memoria sia all’adunanza.

2.6. Deve allora conclusivamente precisarsi che, dopo la L. n. 69 del 2009 il procedimento di decisione del ricorso in cassazione in materia disciplinare notarile è affidato alla decisione della apposita sezione di cui all’art. 376 c.p.c. e può avere luogo o con il procedimento di cui all’art. 380-bis, nei casi di cui ai nn. 1 e 5 dell’art. 375 c.p.c., o con il procedimento di cui all’art. 380-ter c.p.c. Ciò, per il tramite della scelta del presidente della detta sezione, evocato in quest’ultima norma.

Non è luogo a rimettere la trattazione alla Terza Sezione ordinaria.

3. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per non essere stato esso notificato al Consiglio resistente è infondata, perchè, essendosi verificata la notificazione nei confronti del Pubblico Ministro, la mancanza di quella notificazione avrebbe determinato la necessità di ordinare l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., vertendosi in ipotesi di litisconsorzio necessario. Tale integrazione non è necessaria, essendosi comunque il Consiglio costituito e semmai avendo esso diritto di veder considerata la sua costituzione tempestiva, come lo sarebbe stata se fosse seguita all’esecuzione dell’ordine di cui all’art. 331 c.p.c. 3.1. Va ulteriormente avvertito, prima di procedere allo scrutinio dei motivi del ricorso che la L. n. 89 del 1913, art. 158-ter ammette direttamente il ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello e lo fa anche per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., onde privo di pregio – anche senza evocare l’ultimo comma dell’art. 360 c.p.c. – il rilievo del resistente che vorrebbe limitare la deducibilità del vizio de quo nei modi in cui tradizionalmente si riteneva di farlo in ambito di ricorso straordinario.

4. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 violazione della L. n. 89 del 1913, art. 158, dell’art. 737 c.p.c., dell’art. 101 c.p.c., degli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.".

Peraltro, nella sua illustrazione vengono evocate espressamente solo le norme dell’art. 101 c.p.c., e quelle degli artt. 2 e 24 della Costituzione. Inoltre si fa un riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5. 4.1. La violazione dell’art. 101 quanto al principio del contraddittorio e, quanto all’art. 24 Cost., del diritto di difesa viene prospettata perchè:

a) non sarebbero state accolte delle "legittime eccezioni – inserite a verbale – di rinvio dell’udienza tenutasi il 10.12.10", rinvio che era stato chiesto per produrre l’originale di un documento n. 27 del notaio, che era stato allegato alla comparsa di costituzione ed era stato contestato dalla controparte nella memoria del 19 novembre 2010 e che sarebbe stato importantissimo per provare l’abbandono di azioni esecutive promosse contro il P., nonchè per produrre scritture di transazione che appianavano la situazione debitoria del medesimo ed avrebbero potuto provare la sua buona fede a mitigare ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 144 la sanzione, oltre che "confutare le eccezioni mosse dal reclamante";

b) sarebbero state rigettare "le richiesta istruttorie di assunzione a sommaria informazioni già ritualmente formulate …. nella comparsa (doc n. 1) di costituzione e risposta del 15.10.10";

c) nell’uno e nell’altro caso il rigetto sarebbe avvenuto senza che nè nel verbale di detta udienza nè nella sentenza emergesse alcuna motivazione. d) la memoria depositata dalla "controparte" cioè, è da credere, il Consiglio il 19 ottobre 2010 "ampliava anche attraverso i documenti ad essa allegati il thema decidendum e i documenti ad essa allegati non potevano essere acquisiti agli atti" perchè l’acquisizione non era stata autorizzata dal giudice e tanto era stato eccepito dal difensore del ricorrente all’udienza del 10 dicembre 10, con inutile richiesta di termine per memoria di replica;

e) il difensore del ricorrerne non aveva avuto comunicazione del deposito delle sua conclusioni da parte del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, avvenuto il 7 aprile 2010 e, quindi, non aveva avuto modo di replicare all’udienza del 10 dicembre 2010. 4.1.1. La censura così prospettata risulta inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 giacchè non si fornisce l’indicazione specifica dei documenti cui si fa riferimento e delle istanze ed eccezioni che sarebbero state proposte e disattese.

Quanto alle istanze istruttorie non se ne riproduce, nemmeno indirettamente il contenuto, per come sarebbe stato articolato all’udienza del 10 dicembre 2010, sicchè per un verso il Collegio non è posto in grado di rilevare dal verbale a che cosa precisamente ci si riferisca e, per altro verso, nemmeno è posto in grado di apprezzarne la decisi vita.

Inoltre, non sono riprodotti i contenuti delle dette istanze istruttorie per come articolate nella comparsa.

Quanto all’oggetto della richiesta di rinvio si omette di riprodurre anche indirettamente il contenuto del non meglio individuato documento n. 27 e si omette di precisare se e dove sia stato prodotto in questa sede di legittimità; inoltre si individuano ancor meno il contenuto delle scritture di transazione. Sul rilievo dell’art. 366 c.p.c., n. 6 proprio nel procedimento notarile di veda Cass. (ord.) n. 6935 del 2010. 5. Con il secondo motivo si denuncia "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’illustrazione del motivo inizia con l’affermazione che la Corte territoriale non avrebbe "adeguatamente motivato circa l’accusa della presunta pattuizione di una somma in nero (pag. 5 del reclamo avanti la Corte d’Appello di Bologna dell’Avv. Vecchi)" e ciò, perchè l’addebito sarebbe stato ritenuto provato sull’assunto che "non si vede infatti per quale motivo il notaio avrebbe dovuto concordare il pagamento di tali somme al di fuori di qualsiasi regolare canale di contrattazione, sia per la forma adottata che per le modalità di pagamento,…..nè vale osservare che la condotta del notaio si sia limitata alla pattuizione di tali somme, senza la percezione delle stesse, poichè il predetto comportamento incide di per sè sulla deontologia professionale … non essendo certo lodevole la richiesta di somme in nero, in contanti, con pattuizione separata, prive di ogni apparente giustificazione …".

Questa parte della motivazione avrebbe male applicato il ragionamento presuntivo, sia perchè le presunzioni devono necessariamente derivare da un fatto noto, sia perchè sarebbe frutto di presunzioni di secondo grado.

Dopo queste enunciazioni si fa riferimento al documento n. 6B del 3 dicembre 2007, evidentemente come oggetto della motivazione criticata, adducendo che esso non era sottoscritto dal notaio, nonchè ad un passo della decisione della CO.RE.DI. che aveva ritenuto non provata la pattuizione di somme in nero. Se ne inferisce che sarebbe impensabile attribuire colpe al notaio sulla base di un documento da lui non sottoscritto e, quindi, si argomenta da un documento 7 allegato alla memoria di costituzione del notaio davanti alla Corte territoriale e di esso si trascrive un passo, secondo cui il notaio "ha agito per conto della società Nota come dal medesimo dichiarato e con la sottoscrizione del presente atto confermato".

Tale passo si chiosa con il seguente asserto: "spendita del nome e ratifica dell’operato, nulla più e rimborso spese, ovvero una sorte di ricompensa".

Si svolgono, quindi, ulteriori considerazioni sul fatto che la Corte territoriale avrebbe argomentato presuntivamente senza considerare l’incertezza emersa davanti alla CO.RE.DI. e senza considerare le istanza istruttorie del notaio.

Si evoca, poi, un non meglio precisato addebito della sentenza impugnata circa la violazione delle norme antiriciclaggio, nonchè "l’incolpazione di aver emesso assegni tutti posta datati e privi di copertura al momento dell’emissione" e l’avere la Corte trascurato un non meglio precisato documento n. 23. Si argomenta ancora sui non meglio precisati assegni. Si imputa alla Corte territoriale di avere fornito insufficiente motivazione quanto all’assunto che l’operato del notaio conduceva all’iscrizione di ipoteche e tanto costituiva violazione delle norme deontologiche. In proposito si deduce che "è chiaro ed evidente che detta iscrizione non riguardava assolutamente i fatti di causa. Si produce, poi, una missiva del dottor C. "ai sensi dell’art. 372 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per ritenuto vizio attinente al potere (violato) del Giudice di seconda istanza in relazione ai poteri ordinatori e istruttori diretti a raccogliere gli elementi di fatto per la decisione". 5. Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità. 5.1. In primo luogo esso non presenta la struttura del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè nella sua illustrazione non si usano espressioni per identificare il fatto controverso cui si riferisce la censura o, nel caso che le censure siano plurime, ciascuno dei fatti controversi, sicchè essa procede senza il rispetto del primo contenuto di detta norma, che, evidentemente impone al ricorrente in cassazione ai sensi di essa, di procedere a quella identificazione.

In secondo luogo, l’illustrazione non rispetta il paradigma normativo là dove non specifica le ragioni di decisività del fatto o dei fatti controversi.

Sui caratteri della decisività anche per l’attuale norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vale la duplice spiegazione che la giurisprudenza della Corte aveva offerto a proposito del testo della norma previgente alla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 (in proposito, ex multis, Cass. n. 22979 del 2004).

5.2. Inoltre, la critica della motivazione della sentenza impugnata, peraltro evocata espressamente solo in un punto (e come si dirà con omessa riproduzione di alcuni passi di essa) è svolta nella manifesta supposizione che questa Corte sia stata posta a conoscenza dei precisi addebiti rivolti al notaio, cui le varie censure si riferiscono, mentre in nessuna parte del ricorso si è creduto di fare una precisa individuazione degli addebiti rivolti al notaio a premessa delle violazione contestategli. Sicchè la critica dovrebbe essere intesa dalla Corte senza una precisa conoscenza dei detti addebiti e come se Essa fosse un giudice di merito che esamina gli atti ed i documenti della controversia senza essere vincolata alla limitatezza dei motivi del mezzo di impugnazione ed ai suoi precisi requisiti di ammissibilità. 5.3. In terzo luogo il motivo fa riferimento ad una serie di documenti dei quali non si fornisce l’indicazione specifica nei termini richiesti dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, talora omettendosi di riportare il contenuto del documento per la parte che sorregge la censura, talaltra anche di chiarire se e dove sia esaminabile, in quanto già prodotto nel giudizio di merito e prodotto in questa sede di legittimità (ex multis si vedano Cass. sez. un. nn. 28547 del 2008 e n. 7161 del 2010; con particolare riguardo al procedimento disciplinare notarile si veda Cass. (ord.)n. 6935 del 2010).

6. Con il terzo motivo si denuncia "falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 147, lett. a) e b), ex art. 360, n. 3 e contraddittoria motivazione art. 360 c.p.c., n. 5".

Il motivo nella prima parte sostiene che la Corte territoriale avrebbe ritenuto il ricorrente colpevole solo della violazione dell’art. 28 della legge notarile ed assume apoditticamente che "pertanto è falsamente applicata la lettera B)" dell’art. 147, ma poi sostiene che non avrebbe detto "con precisione se nella vicenda abbia compromesso la sua dignità o il prestigio della classe notarile". Segue l’indicazione di alcune massime sui limiti del sindacato della Corte in punto di violazione norme deontologiche, delle quali no si comprende la pertinenza con quanto precedentemente dedotto.

6.2. La censura, oltre ad essere scarsamente comprensibile per la scarsa chiarezza della sua enunciazione quanto all’individuazione dell’error iuris addebitato alla sentenza e come tale inammissibile, lo è nuovamente perchè suppone la conoscenza dei termini degli estremi degli addebiti rivolti al notaio e delle circostanze poste a loro fondamento. Inoltre, è ancora inammissibile, perchè non individua le parti della motivazione della sentenza impugnata nelle quali si anniderebbe l’errore (se fosse precisato): al riguardo si ricorda che è giurisprudenza consolidata di questa Corte che "Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione" (Cass. n. 5353 del 2007, fra tantissime).

6.2. Nella seconda parte dell’illustrazione, alla pagina diciassette si espone – a quel che sembra – il vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma nuovamente lo si fa senza espressioni evocative del paradigma di detta norma e sempre con l’impossibilità per il lettore di poter comprendere la censura in assenza di esatta percezione degli addebiti e dei fatti posti a fondamento. Inoltre, l’esposizione evoca direttamente le norme degli artt. 28 e 147 della legge notarile, sicchè il ragionamento – al di là di quanto prima rilevato – non sembra nemmeno prospettare una quaestio facti, bensì, una – peraltro scarsamente chiara – quaestio iuris. In fine si conclude l’esposizione dicendo che "i comportamenti censurabili di cui alla L.N., art. 147, non sono stati provati", il che aumenta la mancanza di chiarezza del motivo.

7. Il quarto motivo denuncia "falsa applicazione di legge L. n. 89 del 1913, ex art. 147 e L. n. 89 del 1913, art. 144".

Lo scopo del motivo è quello di censurare la mancata applicazione delle attenuanti ai sensi dell’art. 144 in relazione agli addebiti ex art. 47 c.p.c..

L’esposizione è condotta, peraltro, per un verso evocando le affermazioni con cui la CO.RE.DI. era pervenuta al diverso avviso, per altro verso lamentando che la Corte territoriale sarebbe pervenuta alle sue determinazioni senza prove, per altro verso facendo riferimento a circostanze di fatto delle quali non si fornisce l’indicazione di dove e come fossero risultate e siano state esaminate, e per altro verso ancora facendosi riferimento a documenti dei quali non si fornisce indicazione specifica a sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6. In fine si lamenta che non sia stato dato ingresso alla (sempre non specificata ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6) richiesta istruttoria di rinvio e di produzione di documenti, già oggetto del primo motivo.

Nessuna specifica critica è rivolta alla sentenza impugnata, evocando prima e facendosi carico dopo della motivazione da essa fornita nella seconda proposizione della pagina tre dalla sentenza impugnata e delle sue premesse.

Nemmeno ci si fa carico della giurisprudenza di questa Corte sul controllo della valutazione del giudice di merito sull’applicazione o negazione delle attenuanti di cui all’art. 144 (si veda Cass. n. 4866 del 1994 e da ultimo Cass. n. 11790 del 2011, secondo cui "Nel procedimento disciplinare a carico dei notai, la mancata concessione delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionale valutazione del giudice, che può concederle o negarle, dando conto della scelta con adeguata motivazione, ai fini della quale non è necessario prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’incolpato, essendo sufficiente la giustificazione dell’uso del potere discrezionale con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo".

Per tali complessive ragioni il motivo risulta inammissibile oltre che ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè nuovamente non rispetta il principio di diritto di cui alla citata Cass. n. 5353 del 2007. 8. Con il quinto motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione di legge ex art. 28 L.N. e ex art. 360, n. 5".

Il motivo è illustrato deducendosi che "per quanto concerne l’addebito di avere rogato n. 2 atti in cui il notaro e la di lui moglie avevano interesse, si osserva come il concetto di interesse sia da ricondurre ad una valutazione ex ante al momento della stipula per cui come affermato dal Notaio stesso e no contestato dalla controparte, il notaro non aveva più interesse sui beni già passati di proprietà a terzi". Si soggiunge, poi, che la Corte territoriale non avrebbe "tenuto in debita considerazione il fatto che il rogare tali atti non è stato di alcun interesse economico per il notaro".

Il motivo è inammissibile sia perchè non individua la motivazione con cui la sentenza impugnata avrebbe commesso l’error iuris, sia perchè è basato su affermazioni apodittiche quali l’affermazione del notaio e alla non contestazione (rispetto alle quali si viola l’art. 366 c.p.c., n. 6), sia perchè pretende che la Corte giudichi ciò che non è stata posta in grado conoscere, cioè l’esatto addebito di cui trattasi ed i termini fattuali con cui era stato formulato.

Il motivo è, inoltre, del tutto generico ed impinge nel principio di diritto secondo cui "Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 cod. proc. civ., comma 2).

Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 cod. proc. civ., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo" (Cass. n. 4371 del 2055).

8. Il sesto motivo si duole di violazione e falsa applicazione di norma di legge e violazione ex art. 112 c.p.c.", censurando la sentenza impugnata perchè non avrebbe detratto dalla sanzione complessivamente comminata i nove giorni di sospensione già scontati dal notaio.

Il motivo è infondato, in quanto, esattamente il resistente ha dedotto che i giorni di sospensione cautelare dovranno essere detratti dalla sanzione in sede di procedimento per la sua esecuzione.

Ciò si desume dalla L. n. 89 del 1913, art. 158-quater, il quale, dopo avere previsto al comma 1, che "All’esecuzione delle sanzioni e delle misure cautelari provvede il presidente del consiglio notarile del distretto nel cui ruolo il notaio è iscritto, informandone immediatamente il procuratore della Repubblica e il capo dell’archivio notarile competenti per il luogo in cui ha sede il notaio e, se diversi, il procuratore della Repubblica ed il consiglio notarile competenti ai sensi dell’art. 153, comma 1, lett. a) e b)", e nel comma 2 che, nel comma 3 dispone che "La durata della misura cautelare della sospensione è computata ai fini della durata della sanzione disciplinare della sospensione".

Tale previsione, in quanto contenuta in una norma che è chiaramente dedicata all’esecuzione delle sanzioni (oltre che delle misure cautelari) non può essere intesa nel senso che il computo deve avvenire da parte del giudice della cognizione sul giudizio disciplinare, ma va letta senza dubbio nel senso che competa all’autorità di cui al comma 1 della norma di applicarla.

Il motivo è, dunque, infondato, perchè la Corte territoriale non doveva detrarre la sospensione cautelare, essendo ciò riservato all’organo indicato dal suddetto comma 1. 9. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro cinquemiladuecento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, a seguito di riconvocazione, il 15 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2012

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