Cass. civ. Sez. II, Sent., 22-03-2012, n. 4617 Testamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.E. con atto notificato il 25 novembre 1998, citò innanzi al Tribunale di Parma il fratello R. per sentir dichiarare l’invalidità dei testamenti olografi redatti dal padre Em. il 22 febbraio 1986 e l’11 novembre 1980 in quanto riteneva che il genitore, nelle sue scelte, fosse stato illecitamente condizionato dal germano, con il quale aveva convissuto; chiese altresì che si dichiarasse la successione regolata dal testamento del 7 novembre 1985, pubblicato nel 1987 o, in subordine, che, dichiarata la lesione della propria quota di legittima, fosse accolta la domanda di riduzione delle donazioni indirette costituite dall’intestazione al fratello, da parte del padre, nel 1957, dell’industria casearia sino allora esercitata dal genitore, e dalla cessione di due partite di formaggio stagionato; in subordine, nell’ipotesi in cui si fosse ritenuta la legittimità di tale cessione, domandò che si effettuasse la collazione di detti beni;

chiese infine che il fratello rendesse il conto della gestione del patrimonio paterno a far data dal 1975, quando il genitore era stato colpito da infarto.

Nella resistenza di R.R. ed espletata una CTU al fine di ricostruire il patrimonio del de cujus, comprendendovi anche beni mobili, preziosi, contanti e titoli di Stato, l’adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 1381/2003, respinse le domande dell’attrice la quale impugnò tale decisione limitando le proprie censure alla domanda subordinata di collazione delle supposte donazioni al fratello (relative al caseificio, alle partite di formaggio, alle scorte vive e morte ai macchinali ed ad altri beni mobili, nonchè al fondo (OMISSIS)) ed a quella di riduzione delle disposizioni – contenute nell’olografo dell’11 novembre 1980, richiamato dal testamento del 22 febbraio 1986 ritenute lesive della quota di legittima; la Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 1081/2009, respinse il gravame, regolando le spese, rilevando che, in ordine al caseificio ed alle partite di formaggio, sebbene vi fossero dichiarazioni del de cujus in cui espressamente si ammetteva che a fronte dell’intestazione di detti beni al figlio R. quest’ultimo non aveva corrisposto alcunchè, tali manifestazioni "di volontà" dovessero esser considerate come disposizioni testamentarie, successivamente non riprodotte nel testamento del 1986 che richiamava quello del 1980 e quindi da considerarsi revocate, mentre per la intestazione fittizia del fondo "(OMISSIS)" non vi sarebbe stata neppure la prova dell’acquisto da parte del defunto, a ciò non essendo idonea la mera annotazione, nel partitario tenuto dal genitore, di quanto versato a terzi da parte del de cuius come corrispettivo di tale cessione; per le restanti pretese, anche relative al rendiconto della gestione dei beni mobili non rinvenuti dopo la morte del genitore, la Corte distrettuale giudicò che le censure contenute nell’appello non fossero idonee a consentire un riesame delle allegazioni istruttorie della parte appellante, tale da condurre all’accoglimento della domanda.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso R. E., sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, in ciò contrastata dal fratello R., sulla base di un controricorso.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 587 – sul concetto di testamento – 679, 680 cod. civ. – sulla revocazione del testamento- sostenendo che quelle che la Corte di Appello aveva considerato come disposizioni di ultima volontà contenute nel testamento olografo del 6 novembre 1985 ed in quello pubblico del giorno successivo, relative all’intestazione al figlio R., per motivi esclusivamente fiscali, del caseificio e delle scorte di formaggio ivi esistenti, avrebbero costituito in realtà dichiarazioni di scienza che dovevano rimaner ferme anche in caso di revoca delle disposizioni di natura patrimoniale. La censura è fondata.

1/a – Va innanzi tutto sottolineato – al fine di disattendere una prospettazione avanzata in sede di discussione orale – che la Corte di Appello utilizzò il termine "revocate" con riferimento alla disciplina delle revocazioni delle disposizioni testamentarie, atteso che qualificò le statuizioni in esame come disposizioni di ultima volontà del defunto e mise in rilievo l’assenza delle stesse in schede testamentarie successive, deducendone, con ciò, l’impossibilità di ritenerle ancora sussistenti, in contrasto con la già espressa volontà testamentaria: non vi sono, in altri termini, elementi valutativi che consentano di ritenere che l’intenzione del testa toro, non riproducendo dette dichiarazioni nelle schede testamentarie successive, fosse quella di sottolinearne la non corrispondenza al vero delle circostanze di fatto ivi esposte.

1/b – Precisato quanto precede va richiamato l’insegnamento di legittimità ( cfr. Cass. n. 12649/2001; Cass. n. 12113/1991) secondo il quale il testamento posteriore, quando non revoca in modo espresso il precedente, annulla in questo soltanto le disposizioni incompatibili, così fissando un principio generale di conservazione delle disposizioni precedenti e di loro coesistenza con quelle nuove, sì da circoscrivere la possibilità di ritenere caducate le une, per effetto delle altre, solo previo riscontro, caso per caso, di una sicura inconciliabilità e da consentire, inoltre, di ravvisare una revoca implicita dell’intero testamento precedente, esclusivamente ove sia positivamente accertata la non configurabilità di una sopravvivenza del suo contenuto superstite, a fronte delle mutilazioni derivanti da detta incompatibilità; tale argomentazione va coniugata logicamente con la delibazione della natura e del contenuto delle disposizioni suscettibili di revocazione – in questo caso: implicita orbene la dichiarazione, contenuta nella scheda del 6 novembre 1985, nella quale si specificava che "il caseificio ed il formaggio è stato intestato a mio figlio solo per motivi di tasse.

Pertanto essi fanno parte del mio patrimonio che lascio in parti uguali ai miei figli" si componeva di due proposizioni, di cui solo la seconda poteva essere considerata rientrante nell’atto dispositivo di natura patrimoniale su cui si fonda l’istituto del testamento, come delineato dall’art. 587 cod. civ. e suscettibile di revocazione tacita, a sensi dell’art. 682 cod. civ., mentre la prima costituiva solo la chiave di interpretazione logica per giustificare un lascito di un bene formalmente non più intestato al de cujus: da ciò derivava , da un lato, che la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto revocabile anche la prima statuizione – non ponendosi il problema della sua natura dispositiva o istitutiva – e, dall’altro, che non ha soffermato la sua analisi sul valore probatorio che detta statuizione avrebbe potuto rivestire nell’ambito della pur richiesta delibazione delle altre emergenze istruttorie.

2 – Con il secondo motivo parte ricorrente denunzia la violazione o la falsa applicazione delle norme sulla confessione, anche giudiziale – artt. 2730 e 2733 cod. civ. – non avendo la Corte territoriale dato conto del fatto che R.R., rispondendo all’interpello, aveva ammesso di aver gestito in proprio nome e conto il caseificio ed aveva anche dichiarato di aver corrisposto un canone di affitto al padre, così dimostrando, secondo la ricorrente, l’alienità dell’immobile e, per converso, che nulla era stato pagato per la cessione a sè dell’azienda; sulle stesse circostanze viene dedotto l’omesso esame di una circostanza decisiva.

3 – Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione delle norme sulle prove per presunzione – artt. 2727 e 2729 cod. civ.-; sul valore probatorio delle scritture dell’imprenditore contro di esso – art. 2709 cod. civ.; viene altresì censurato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio ed infine è dedotta la contraddittoria motivazione là dove la Corte di Appello non ha ritenuto di trarre, quanto meno una prova indiziaria dell’alienità del caseificio e delle scorte di formaggio grana in esso depositate: dalla dichiarazione di scienza del defunto sopra esaminata; dalla confessione giudiziale dell’avversario; dalle risultanze del registro partitario 1956/1957 in cui non risultava annotato alcun incasso per la cessione o la locazione dei caseificio; dalla mancata contestazione del germano alla deduzione che nulla era stato versato in relazione all’intestazione a sè del caseificio nel 1957; quanto poi al podere "(OMISSIS)" l’acquisto da parte del defunto sarebbe stato desumibile dalle annotazioni dei pagamenti fatti dal de cujus al venditore, iscritte nel partitario.

4 – Con il quarto motivo viene censurata, sotto i medesimi aspetti – cui si aggiunge la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. – la valutazione del mancato inserimento nell’asse ereditario delle scorte vive, di quelle morte, dei macchinari e delle 18 querce abbattute, ritenendo meramente apparente la motivazione addotta.

5 – Detti motivi – da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione logica-sono parzialmente fondati.

5/a – Invero, pur essendo incontroverso che in sede di legittimità non possa sindacarsi la valutazione delle prove – con ciò intendendo anche la scelta ed il peso argomentativo delle varie emergenze istruttorie compiute dal giudice del merito – è altrettanto incontestabile che rientra nel legittimo scrutinio della Corte l’analisi delle modalità di utilizzo dello strumento motivazionale da parte dello stesso giudice: ciò accade quando le ragioni addotte a sostegno della gravata decisione non consentano di ricostruire il percorso logico seguito nell’operare siffatta scelta e ciò è quanto accaduto nel caso in esame, dal momento che la Corte di Appello ha, da un lato, riconosciuto come credibile la circostanza della "intestazione" al figlio del caseificio e delle scorte di formaggio ed ha altresì affermato – in ordine al mancato inserimento nell’asse, delle scorte vive e morte, e dei macchinali aziendali – "la R. richiama ipotesi e valutazioni che non possono essere prese in considerazione per la formazione dell’asse ereditario che deve essere certo ed indiscutibile" cosi ponendo le basi per un insanabile aporia logica, dacchè la nuova valutazione degli elementi indiziali che la R. chiedeva con l’appello era appunto diretta all’accertamento della mancanza di corrispettivo a fronte alle intestazioni ed al godimento in generale dei beni suddetti.

5/b – Quanto infine alla doglianza di mancata corretta valutazione della pretesa donazione indiretta del fondo "(OMISSIS)", il risultato ermeneutico al quale perviene la Corte di merito – rimarcando genericamente l’assenza di prova certa dell’acquisto del podere da parte di R.R. con denaro del padre, come pure della restituzione di esso al genitore – è inficiato dal fatto che la mancata scritturazione nel registro partitario, tenuto dal genitore, come fatto negativo, non involgeva l’applicazione del regime delle prove documentali tra imprenditori delineato dagli artt. 2709 e 2710 cod. civ. e neppure quello desumibile dalla disciplina dei registri domestici ex art. 2707 cod. civ. quanto piuttosto la più ampia delibazione del materiale probatorio nel suo complesso, al fine di dedurre la concludenza, la precisione e la rilevanza in termini di prova indiziaria, derivante dal fatto che era stato annotato il pagamento al terzo, da parte del de cuius, in dichiarata esecuzione un contratto preliminare, di parte del prezzo di acquisto del podere.

5/c – A diverse conclusioni deve pervenirsi in ordine alla destinazione del ricavato dell’abbattimento di 18 querce presenti nei terreni caduti in eredità, in quanto in tale caso la Corte di Appello ha operato una precisa valutazione delle emergenze di causa sostenendo – con statuizione non illogica nè tanto meno contraddittoria- che, pur avendo R.R. ammesso di aver fatto abbattere gli alberi – asseritameli te, in esecuzione della decisione del padre – tuttavia non vi sarebbe stata alcuna prova dell’incameramento del denaro ricavato dalla vendita del legname.

6 – Con il quinto motivo vengono richiamate le precedenti doglianze e sono aggiunte le censure relative alla violazione delle norme attinenti alla collazione – artt. 737, 746, 747, 750 – nonchè alla determinazione della quota di legittima spettante ad essa legittimaria: tali censure non hanno autonomia e sono assorbite dalle considerazioni in precedenza esposte. La sentenza va dunque cassata in ordine ai motivi accolti e la causa rinviata a diversa sezione della Corte di Appello di Bologna che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie i motivi da uno a quattro, nei sensi di cui in motivazione;

dichiara assorbito il quinto; cassa l’impugnata sentenza in ordine ai motivi accolti e rinvia a diversa sezione della Corte di Appello di Bologna anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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