Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-06-2011) 12-10-2011, n. 36793 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Il Tribunale per i Minorenni di Taranto, i funzione di giudice del riesame, con ordinanza 24 gennaio 2011, confermava il provvedimento con il quale il GIP dello stesso tribunale il 3 gennaio precedente aveva disposto nei confronti del minore D. V. la misura della custodia cautelare in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 575 c.p., art. 61 c.p., nn. 1 e 5), art. 423 c.p., art. 61 c.p., nn. 1 e 5).

Riteneva il tribunale del riesame che fossero da rigettare le eccezioni di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni autorizzate, nell’ambito del procedimento penale pendente presso il tribunale ordinario, nei confronti del coimputato maggiorenne, non avendo rilievo la circostanza che già all’epoca erano note all’autorità procedente le generalità del minore e non sussistendo alcun divieto in proposito, stante la connessione esistente tra i reati e le indagini, sotto il profilo oggettivo e probatorio. Del pari affermava l’utilizzabilità della intercettazione del colloquio telefonico intercorso il 17.9.2010 tra il padre del minore D.P. ed un legale sul rilievo che il professionista non ha mai rivestito, nè prima nè dopo la conversazione, la qualità di difensore del D..

I giudici del riesame ravvisavano, quindi, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in capo al minore, quali esposti nel provvedimento custodiale emesso dal GIP, e riferibili ai motivi di rancore del minore nei confronti della famiglia De Turo, alla frequentazione tra il minore stesso con il coimputato maggiorenne C.M. nelle ore precedenti alla commissione dei reati e all’atto della consumazione degli stessi, alle ammissioni, pubbliche e private, fatte dal minore in ordine alla sua responsabilità. Tali elementi erano riscontrati dalle dichiarazioni testimoniali acquisite e dalle querele sporte dalle persone offese relativi a precedenti episodi di minacce e danneggiamenti, anche mediante incendio, da essi patiti ad opera del D., dagli ulteriori fatti delittuosi posti in essere nei confronti di altre persone, dimostrativi della mancanza di freni inibitori del D. e la sua propensione all’uso del fuoco, dal chiaro contenuto delle intercettazioni dalle quali, unitamente alle dichiarazioni testimoniali, si evincono le ammissioni di responsabilità fatte dal minore. Alla luce dei suddetti elementi il tribunale ravvisava la sussistenza degli estremi costitutivi del delitto di omicidio con elemento psicologico configurabile quantomeno nella forma del dolo eventuale, infatti il D. ed il maggiorenne C., versando benzina ed appiccando il fuoco sotto la porta d’ingresso dell’abitazione del D.T., non potevano non rappresentarsi la concreta possibilità che le persone presenti in casa potessero perdere la vita e, nonostante ciò, agirono in piena notte quando le persone offese dormivano, appiccando il fuoco all’abitazione, accettando il rischio del verificarsi dell’evento più grave. Quanto alle esigenze cautelari il tribunale condivideva le argomentazioni del GIP e valutava che la pericolosità sociale del D., desumibile dalla pluralità di fatti reato posti in essere in breve arco di tempo e per taluno dei quali, un tentato omicidio, era già stata applicata misura cautelare nei suoi confronti, era indicativa della presumibile reiterazione di reati della stessa specie e solo la misura cautelare applicata era in grado di contenere ed educare il minore.

2.- Avverso l’ordinanza del Tribunale per i Minorenni di Taranto ha proposto ricorso per Cassazione il difensore nominato dal padre del minore, per i seguenti motivi:

1) Violazione della legge processuale in relazione all’art. 14 c.p.p. con riferimento alla inutilizzabilità delle intercettazioni autorizzate con i Decreti nn. 512, 513, 542 del 2010, emessi dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Taranto.

Lamenta il ricorrente che l’ordinanza gravata non indichi quale sia la disposizione normativa che autorizza a derogare al disposto del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 3 ed all’art. 14 c.p.p.;

sottolinea in proposito che nell’ambito della motivazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni i gravi indizi di reato venivano evidenziati nei confronti di persona minorenne, le cui generalità erano note perchè il D.V. era stato convocato ed identificato in caserma il 28 agosto 2010, perchè fortemente sospettato dell’incendio all’abitazione del D.T.. Il PM presso il tribunale ordinario avrebbe, quindi, dovuto trasmettere gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Taranto per lo svolgimento delle indagini di sua competenza. Nè l’art. 270 c.p., può autorizzare la deroga alle disposizioni in materia di procedimenti a carico di imputati minori di età. 2) Violazione della legge processuale, artt. 271 e 103 c.p.p., in relazione al divieto di utilizzazione della intercettazione del 17 settembre 2010, effettuata sull’utenza in uso D.P..

Sottolinea il ricorrente che il colloquio intercettato aveva quali interlocutori il padre del minore imputato e l’avv. Rizzi il quale, in quel momento, prestava, nell’esercizio delle sue funzioni, consulenza legale e quindi era incaricato, se pur verbalmente, di gestire la difesa da parte del padre esercente la potestà sul minore, anche se, successivamente, tale difesa veniva di fatto esercitata da altro procuratore. Non essendo necessaria l’ufficializzazione della nomina il legale intercettato era in quel momento investito di incarico difensivo e quindi l’utilizzazione del contenuto dell’intercettazione è avvenuto in violazione dell’art. 103 c.p.p., comma 5. 3) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza.

Sottolinea il ricorrente che la gran parte degli indizi valutati dai giudici di merito consistono in dichiarazioni di testi che solo dopo il coinvolgimento del minore nel reato per il quale si procede, lo hanno accusato di fatti in precedenza mai denunciati. Quanto al movente, individuato in una lite con D.N.L., questa nella denuncia 12 agosto 2010 rappresentava di essere stata minacciata di percosse dal D., di aver ricevuto un calcio alla spalla il 10 agosto, di essere tonata a casa ed aver notato che la porta d’ingresso della sua abitazione era stata danneggiata, solo il 14 settembre successivo la D.N. aggiunge di aver ricevuto calci e pugni e individua D.V. quale autore del danneggiamento alla porta della sua abitazione al quale ella avrebbe assistito. Quanto ai testi che hanno riferito di precedenti episodi e minacce di incendio essi sono in contraddizione tra loro e nessuno individua con certezza il D. quale responsabile, il teste M. che riferisce dell’incendio allo sgabuzzino dei D.T. in realtà non ha visto gli esecutori materiali ma solo udito due giovani uno dei quali invitava l’altro alla fuga. Dai vari episodi di incendio precedenti, attribuibili o meno al minore, non può, in ogni caso desumersi, che egli avesse nell’episodio per cui si procede una volontà omicidiaria, nè il dato del contenuto della conversazione intercettata tra lui ed il C. depone nel senso della sua colpevolezza, così come il padre D.P., nella conversazione con il legale, fa riferimento ad una certa colpevolezza del C. e non del figlio.

4) Violazione dell’art. 606, lett. e) per mancanza di motivazione in ordine alla richiesta derubricazione dell’art. 575 c.p..

Lamenta il ricorrente che in sede in valutazione della corretta qualificazione giuridica del reato il tribunale ha omesso di verificare la possibilità che si tratti di condotta punibile ai sensi dell’art. 586 c.p..

Assume che il difensore non è configurabile nel caso di specie l’animus necandi, viste e precedenti condotte del D. che mai avevano configurato volontà diverse da quelle di danneggiamento, neppure sussiste il cd. dolo eventuale perchè l’azione posta in essere era finalizzata solo al danneggiamento provocato con incendio e dalla conoscenza dell’abitazione il minore non poteva configurarsi che il fuoco appiccato ad una porta d’ingresso prospiciente un salone, non si sarebbe potuto spegnere facilmente senza provocare ulteriori accadimenti. Dunque era da ritenere configurabile l’ipotesi di cui all’art. 586 c.p., peraltro rappresentata nella prima richiesta di emissione di titolo custodiate sia dalle forze dell’ordine che dal procuratore della repubblica presso il tribunale per i minorenni.

3.- Il Procuratore Generale dott. Maria Giuseppina Fodaroni ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato 1.- Riguardo al primo motivo rileva il Collegio che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito come, in tema di intercettazioni di conversazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270 c.p.p., comma 1, nel concetto di "diverso procedimento" non rientrano le indagini strettamente connesse e collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato alla cui definizione il mezzo di ricerca della prova viene predisposto, nè tale nozione equivale a quella di "diverso reato", sicchè la diversità del procedimento deve essere intesa in senso sostanziale, non collegabile al dato puramente formale del numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato, ma riferibile al contenuto della medesima notizia, vale a dire al fatto reato in relazione al quale sono in corso le indagini necessarie per l’esercizio dell’azione penale (Cass. Sez. 4, sent. 11.12.2008, n. 4169, Mucciarone, Rv.

242836; Cass., Sez. 3, sent. 13.11.2007, n. 348, PM inproc. Ndoja;

Cass., Sez. 1, sent. 4.11.2004, n. 466075, PM inproc. Kunsumonas, Rv.

230505;).

In conformità a tale linea di interpretazione, che il Collegio condivide, i risultati delle intercettazioni, quando risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, possono essere utilizzati come prova in procedimenti distinti, non potendosi far rientrare nel concetto di "diverso procedimento" di cui all’art. 270 c.p.p., comma 1 il dato meramente formale, come nel caso di specie, della iscrizione della medesima notizia di reato presso due diversi uffici di procura in conseguenza della distinta competenza funzionale fissata dalla legge in relazione all’ipotesi di concorso nello stesso reato di soggetti maggiorenni e minorenni (Cass., Sez. 1, sent.

9.5.2006, n. 29421, Arena, Rv. 235104).

Quanto alla doglianza che sin dal momento in cui le intercettazioni a carico dell’imputato maggiorenne vennero disposte sussistevano elementi per poter iscrivere nel registro degli indagati presso la Procura per i minorenni competente il minore ricorrente essa, oltre che generica e non autosufficiente, è priva di specifico rilievo posto che, in ogni caso, il maggiorenne C.M. era comunque soggetto sottoposto ad indagine pertanto, legittimamente, le attività di captazione furono disposte nei suoi confronti e i risultati delle stesse, altrettanto legittimamente, sono poi confluiti, a fini di utilizzazione probatoria, nel procedimento incidentale de libertate relativo all’imputato minorenne al quale sono ascritti i medesimi fatti costituenti reato per i quali è processo anche nei riguardi del soggetto maggiore di età. 2.- Del pari infondato il secondo motivo di ricorso concernente il divieto di utilizzazione ex artt. 271 e 103 c.p.p..

Invero il divieto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni nei confronti dei difensori, sancito dall’art. 103 c.p.p., comma 5, riguarda l’attività captativa in danno del difensore in quanto tale, e dunque nell’esercizio delle funzioni inerenti ai suo ufficio, quale che sia il procedimento cui si riferisca, e non si estende ad ogni altra conversazione. La prescrizione anzidetta, pertanto, non costituisce un divieto assoluto di conoscenza ex ante, ma implica una verifica postuma del rispetto dei relativi limiti, la cui violazione comporta l’inutilizzabilità delle risultanze dell’ascolto non consentito ai sensi dell’art. 103 c.p.p., comma 7 e la distruzione della relativa documentazione, a norma dell’art. 271 c.p.p., richiamato dallo stesso art. 103 c.p.p., comma 7, (Cass. Sez. 6, sent. 3.6.2008, n. 38578, Gagliardi, Rv. 241510; Cass. Sez. 6, sent.

4.7.2006, n. 34065, Spahija, Rv. 234865). Correttamente, dunque, il tribunale del riesame ha ritenuto infondata l’eccezione di inutilizzabilità dell’intercettazione 17.9.2010, disposta su utenza telefonica in uso a D.P. ed un legale il quale non ha mai rivestito la qualità di difensore dell’indagato D. V., nè prima nè dopo la conversazione intercettata. Di più deve essere rilevato come la censura, con la quale si sostiene che il contenuto del colloquio aveva ad oggetto una formale richiesta di consulenza legale, è priva di autosufficienza non essendo stati allegati o riprodotti in ricorso i documenti e gli atti dai quali sarebbe evincibile la sostenuta esistenza, di fatto, dell’esercizio di funzioni difensive da parte del legale all’atto della conversazione intercettata.

3.- E’ inammissibile il terzo motivo di ricorso con il quale, deducendo asseriti vizi di motivazione, in sostanza il ricorrente prospetta una rilettura del compendio indiziario valutato dai giudici di merito senza peraltro individuare carenze o specifiche cesura nell’iter logico argomentativo che sorregge, in punto di valutazione del materiale probatorio versato in atti, l’ordinanza gravata.

Si rileva in proposito che la mancanza di motivazione consiste nell’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa sottoposto al giudice di merito, non già nell’insufficienza di essa o nella mancata confutazione di un argomento specifico relativo ad un punto della decisione che è stato trattato dal giudice del provvedimento impugnato, con implicito rigetto; il controllo di legittimità, inoltre, non si estende alle incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate o con altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici e tali, perciò, da costituire palesi fratture logiche, all’interno del discorso giustificativo, tra premesse e conclusioni. A ciò va aggiunto che dal controllo di legittimità restano escluse le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi indizianti o probatori e la scelta di quelli determinanti, poichè la verifica di legittimità è limitata alla sussistenza dei requisiti minimi di esistenza e di logicità della motivazione, essendo inibito il controllo sul contenuto della decisione che si sostanzi in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito. Gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono, infatti, interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa (ex plurimis Cass. Sez. 2, Sentenza 5.5.2006, n. 19584, Rv. 233775).

Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti addotta dal ricorrente, nè su altre spiegazioni dallo stesso fornite, per quanto queste possano apparire altrettanto logiche e plausibili (Cass. Sez. 2, Sentenza 22.4.2008, n. 18163, Rv. 239789).

Il tribunale del riesame, nel caso di specie, ha con motivazione completa ed esauriente, valutato gli elementi acquisiti – in particolare l’esistenza di astio tra l’indagato e la famiglia della vittima, la frequentazione con il coimputato maggiorenne nel periodo e nel giorno, la compatibilità della presenza dei due imputati presso l’abitazione della vittima nell’orario in cui l’incendio fu appiccato, l’assenza del minore dalla sua abitazione la notte dei fatti, le dichiarazioni dei diversi testimoni, le ammissioni stragiudiziali del minore, il contenuto delle conversazioni intercettate ecc.., – pervenendo, attraverso un iter logicò, consequenziale e scevro da fratture e soluzioni di continuità, alla conclusione della convergenza dei suddetti elementi nel senso della attribuibilità al D. della responsabilità in relazione ai delitti contestati.

4.- Considerazioni analoghe valgono, infine, con riguardo al dedotto vizio di omessa motivazione in relazione alla domandata derubricazione del reato di omicidio in favore di condotta punibile ai sensi dell’art. 586 c.p..

In realtà i giudici del riesame hanno dato conto con argomentazione compiuta e congrua delle ragioni, in fatto ed in diritto, per le quali ritenevano la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di omicidio sorretto, in punto di elemento psicologico, quantomeno dal dolo cd. eventuale. Hanno rilevato, infatti, che l’imputato ed il correo maggiorenne versando benzina ed appiccando il fuoco sotto il portone d’ingresso dell’abitazione del D.T. in piena notte quando tutti i componenti della famiglia dormivano ed erano perciò in condizioni di menomata capacità di pronta reazione e difesa, non poterono non rappresentarsi la concreta possibilità che le persone presenti nella casa – peraltro non di grandi dimensioni, e le cui camere da letto sono vicinissime all’ingresso soggiorno- potessero morire ed agirono accettando il rischio delle ulteriori conseguenze, anche fatali ed irreversibili, che sarebbero potute derivare dalla loro azione.

Dunque, anche in relazione all’ultimo motivo di gravame non può non evidenziarsi come pur sotto l’egida della dedotta omissione di motivazione il ricorrente proponga una rivalutazione dei dati di fatto e degli elementi indiziari, già compiutamente vagliati dai giudici di merito, chiedendone una non consentita rivalutazione in sede di legittimità. 5.- Conclusivamente per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere rigettato, al rigetto non consegue condanna alle spese del procedimento trattandosi di imputato minore di età.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *