Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-06-2011) 12-10-2011, n. 36792 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza 3 dicembre 2010 il Tribunale di Taranto in funzione di giudice dell’appello ai sensi dell’art. 310 c.p.p., applicava a C.A.G. la misura cautelare degli arresti domiciliari.

In precedenza il GIP della stessa sede aveva respinto, il 17 marzo 2010, la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere proposta dal PM nei confronti del C. e del suo coindagato per i delitti di furto aggravato, tentato furto aggravato, ricettazione e altri reati minori, tale decisione era stata appellata dal PM ed il Tribunale di Taranto, in accoglimento del gravame, con ordinanza 11 maggio 2010, aveva disposto nei confronti di entrambe gli indagati la custodia cautelare in carcere.

La suddetta ordinanza veniva annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione per l’omessa valutazione, in punto di attualità delle esigenze cautelari e della intensità della pericolosità sociale, del tempo trascorso dalla commissione dei reati.

Con l’ordinanza 3 dicembre 2010 il Tribunale di Taranto decideva, dunque, in sede di rinvio sull’appello proposto dal PM che accoglieva solo parzialmente, applicando al solo C. la misura cautelare degli arresti domiciliari sul presupposto della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e sulla considerazione che nonostante il tempo trascorso dalla commissione dei reati, sussisteva in capo all’odierno ricorrente un pericolo di reiterazione dei reati desumibile: – dalle modalità della condotta posta in essere; – dalla pluralità degli episodi contestati, sintomatica di particolare propensione a delinquere; – dai numerosi precedenti penali relativi a reati di rapina, uno dei quali a danno di persona offesa nel procedimento in corso, dimostrativi dell’indole criminale e della reiterazione, anche a distanza di tempo di reati di tipologia analoga; – dalla sostanziale equivalenza del lasso di tempo intercorso tra le varie condanne subite ed i periodi di detenzione sofferti dall’indagato, circostanza da cui si può desumere che non abbia commesso altri delitti solo perchè attinto da ordine di esecuzione delle pene di volta in volta da espiare, inoltre l’ultima espiazione è cessata il 1 agosto 2006, meno di due anni dalla commissione dei fatti per i quali si procede.

Riguardo alla misura prescelta riteneva il tribunale che l’evidenziato pericolo di reiterazione di condotte delittuose e la gravita dei fatti contestati imponessero la scelta di una misura custodiale, che veniva individuata in quella degli arresti domiciliari in ragione della entità di fatti, del tempo trascorso dalla loro commissione, dalla mancanza di carichi pendenti e dalla assenza di precedenti per reati di evasione.

2.- Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’avvocato Nicola Massimo Tarquinio, difensore di C.A.G. per i seguenti motivi:

1) Violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 627 c.p.p., comma 3, art. 173 disp. att. c.p.p., art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), e per mancanza e/o insufficienza della motivazione.

Si duole il ricorrente che l’ordinanza impugnata non contenga motivazione sufficiente circa l’attualità del pericolo di reiterazione del reato e che non abbia osservato il principio di diritto indicato nella sentenza 7 ottobre 2010 della Corte di Cassazione, limitandosi a riproporre le stesse argomentazioni, relative ai numerosi precedenti penali, alle modalità della condotta, alle circostanze dei fatti ed alla personalità del soggetto da tali dati desumibili, già illustrate nel provvedimento cassato. Riguardo all’equivalenza tra il tempo trascorso fra le varie condanne subite ed i periodi di detenzione sofferti dal ricorrente, dai quali i giudici desumono che non abbia commesso altri delitti solo perchè detenuto, essa è apodittica e non riscontrata.

2) Violazione di legge per inosservanza di norme processuali i riferimento all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), art. 275 c.p.p., art. 292 c.p.p., comma 2 lett. c), e per mancanza e/o contraddittorietà della motivazione.

Assume il ricorrente che l’ordinanza gravata non contenga una motivazione sufficiente circa le ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere assicurate con altre misure meno afflittive, in considerazione della circostanza della distanza tra il luogo di residenza e quello di commissione dei fatti, con ciò violando il principio di adeguatezza che impone che nel disporre una misura il giudice deve tener conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione al grado ed alla natura delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, con conseguente necessità di scegliere, tra quelle adeguate, la misura meno gravosa per l’imputato.

3.- Il Procuratore Generale dott. Maria Giuseppina Fodaroni ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso è infondato.

2.- Riguardo al primo motivo deve essere rilevato come, invero, il criterio dell’attualità delle esigenze cautelari all’atto dell’emissione della misura è regolato dall’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) in relazione al quale questa Corte ha ritenuto che "il riferimento in ordine al "tempo trascorso dalla commissione del reato" di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacchè ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari" (SS.UU. 24.9.2009 n. 40538, Lattanzi, Rv. 24437).

E’ stato altresì affermato che l’inciso che fa riferimento al tempo trascorso dalla commissione del reato, introdotto nel testo dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 1, non ha una valenza semantica autonoma e concettualmente indipendente dalla disposizione in cui è inserito, ma ne specifica il contenuto, globalmente afferente alla dimensione indiziaria degli elementi acquisiti e alla configurazione delle esigenze cautelari;

quindi il dato cronologico costituisce uno dei profili qualificanti della fattispecie, che deve essere valutato all’interno del quadro cautelare al fine di apprezzare l’attualità e la concretezza dei presupposti per l’adozione del provvedimento coercitivo (Sez. 1, sent. 21.1.2005, n. 11518, imp. Tusa, Rv. 231070).

Il tribunale ha invero fatto buon uso di tali principi di diritto nella misura in cui ha complessivamente valutato tutti gli indicatori della sussistenza di esigenze cautelari quali: le modalità della condotta posta in essere; la pluralità degli episodi contestati, sintomatica di particolare propensione a delinquere; i numerosi precedenti penali relativi a reati di rapina, uno dei quali a danno di persona offesa nel procedimento in corso, dimostrativi dell’indole criminale e della reiterazione, anche a distanza di tempo di reati di tipologia analoga; la sostanziale equivalenza del lasso di tempo intercorso tra le varie condanne subite ed i periodi di detenzione sofferti dall’indagato, circostanza da cui si può desumere che non abbia commesso altri delitti solo perchè attinto da ordine di esecuzione delle pene di volta in volta da espiare, inoltre l’ultima espiazione è cessata il 1 agosto 2006, meno di due anni dalla commissione dei fatti per i quali è processo.

Nè può dirsi, come sostenuto in ricorso, che vi sia stata violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3, posto che nella sentenza di rinvio 7.10.2010 della Sezione 5 di questa Corte, la carenza di motivazione era riscontrata nell’ordinanza cassata nella parte in cui, in relazione al tempo decorso dalla commissione dei reati, si limitava a ritenerlo ininfluente a cagione della gravita degli episodi contestati, tenuto anche conto della complessità delle indagini laddove il provvedimento oggetto del presente gravame produce argomentazione articolata e complessiva che valuta globalmente i dati consentono l’effettuazione di un giudizio prognostico completo.

3.- Ugualmente infondata, ai limiti dell’inammissibilità per la sua genericità, è la doglianza concernente la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla scelta della misura custodiale degli arresti domiciliari.

Il tribunale del riesame, infatti, ha dato conto, con argomentazione congrua e completa, delle ragioni per le quali ha ritenuto che la misura prescelta, giustificata dal pericolo di recidiva e dalla dimostrata propensione alla ripetizione di delitti contro il patrimonio, imponesse una misura custodiale, così come ha specificato che essa poteva essere quella più attenuata degli arresti domiciliari sia in considerazione del tempo trascorso dalla commissione dei reati, sia per la mancanza di precedenti per evasione che induceva a ritenere che l’imputato si sarebbe astenuto dal violare le prescrizioni connesse alla misura cautelare presso il suo domicilio. Conclusivamente, il ricorso deve essere,quindi, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *