Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-06-2011) 12-10-2011, n. 36790 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza 16.9.2010 il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, confermava l’ordinanza 4.8.2010 con la quale il GIP della stessa sede aveva applicato nei confronti di G.S.G. la misura cautelare della custodia in carcere siccome indagato in relazione ai reato di cui all’art. 416 bis c.p., quale affiliato e partecipe attivo della locale di Vibo Valenzia, sottoarticolazione della più ampia associazione criminale denominata ‘ndrangheta, operante nel territorio della provincia di Reggio Calabria in quello nazionale nonchè all’estero.

Il tribunale riteneva sussistente un solido e grave quadro indiziario in ordine al delitto provvisoriamente ascritto al G., in ciò condividendo l’iter logico argomentativo del GIP al quale faceva espresso richiamo. Premesso, quindi, che gli elementi acquisiti nell’attività di indagine dimostrano che la ‘ndrangheta sia una organizzazione unitaria governata da un organismo di vertice denominato "provincia" che ha compiti, funzioni e cariche proprie, che esplica nei confronti delle "locali" di ‘ndrangheta che operano sia all’interno della provincia di Reggio Calabria sia in altre regioni e perfino all’estero, rilevava che il giudizio in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di partecipazione mafiosa contestatogli, in quanto partecipe del "locale" di Vibo Valenzia, si fonda su una serie di indizi molteplici e convergenti promananti dal contenuto delle captazioni ed intercettazioni telefoniche, dal comprovato rapporto di frequentazione con C.G. e ed altri esponenti ad alto livello della ‘ndrangheta reggina, dalla circostanza, emersa dalle conversazioni intercettate che nei suoi confronti era stata promossa l’investitura alla carica di "santista" da parte di P.G..

Quanto alla sussistenza della contesta aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., commi 4 e 5, il tribunale riteneva che essa era stata correttamente addebitata al ricorrente alla luce della accertata disponibilità di armi in capo a più coindagati e del sussistente rapporto osmotico tra le diverse articolazioni della più vasta associazione denominata ‘ndrangheta, nell’ambito di un fenomeno criminale sostanzialmente unitario.

In relazione alle esigenze cautelari il tribunale, rilevato che in ordine al reato contestato le esse sono presunte ex legge ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, affermava la esistenza di circostanze ampiamente dimostrative della sussistenza delle dette esigenze quali:

la gravità dei fatti contestati e della presumibile entità della pena irrogabile che rendono ipotizzabile il pericolo di fuga; la negativa personalità dell’imputato, emergente soprattutto dalla carica di primo piano rivestita in seno alla consorteria criminale e dai rapporti privilegiati con C.G. e P.G., che rendono concreto il pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie.

2.- Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per Cassazione gli avvocati Vincenzo Nico D’Ascola e Giovanni Marafioti, difensori di G.S.G., adducendo a ragione la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1 lett. b) ed e), in relazione agli artt. 111 Cost., art. 125 c.p.p., comma 3, art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c bis), art. 273 c.p.p., e art. 416 bis c.p.. La prima censura riguarda la motivazione dell’ordinanza che si assume appiattita sul contenuto di quella del GIP e del precedente decreto di fermo e, in conseguenza, non idonea a rendere inintelligibile del percorso logico argomentativo utilizzato. Il difetto di motivazione si è quindi concretato nella violazione della regola di giudizio afferente alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, necessari per l’applicazione di misura restrittiva della libertà personale ai sensi dell’art. 273 c.p.p., nonchè nella solo apparente valutazione dei rilievi rivolti al provvedimento custodiate del primo giudice. In particolare il lamentato vizio motivazionale emergerebbe in maniera manifesta in punto di identificazione del G. nel soggetto evocato dai colloquianti nelle conversazioni del 18.8, del 29.8, del 5.9 e del 14.10.2009 richiamate nella ordinanza gravata; secondo i giudici, infatti, la circostanza che C. abbia accostato il soprannome P. alla provenienza geografica da Vibo Valenzia e che la persona della quale si parlava fosse sempre la stessa, induceva a ritenere che si trattasse dell’imputato, ciò con un ragionamento privo di portata inferenziale tra le premesse e la conclusione.

Inoltre le conversazioni richiamate non vengono raffrontate con quelle, diverse, nelle quali la identificazione dell’indagato è apprezzabilmente sicura in quanto egli è interlocutore diretto e il cui contenuto, come evidenziato dalle memorie difensive, è in contrasto con l’ipotesi accusatoria, come nella intercettazione del 15.10.2009 intercorsa tra C.G. ed il G. nella quale il primo nulla dice all’interessato della carica che gli si doveva conferire, circostanza in evidente contrasto con la tesi accusatoria secondo cui il C. il giorno prima aveva discusso con A.R. della carica da attribuire al G. medesimo.

Sempre in punto di identificazione del P. evocato nelle conversazioni l’interpretazione del contenuto della captazione 5.9.2009 è stato travisato dai giudici del riesame, come evincibile dalla lettura del dialogo, e confermato dalla successiva conversazione del 7.10.2009 nel corso della quale G.P., questa volta chiamato anche per cognome, viene dal C. qualificato come parente del F. e non amico, dal che consegue che il P. evocato nel dialogo del 5 settembre non è lo stesso della conversazione del 7 ottobre. Quanto ai tempi di conferimento della carica la difesa aveva segnalato l’incongruenza degli stessi in relazione alla identificazione dell’indagato, ma il tribunale sul punto ha fornito una motivazione solo apparente. In generale, poi, per quel che riguarda i contenuti eteroaccusatori delle conversazioni captate, l’ordinanza gravata non indicherebbe specificamente quali siano gli elementi di riscontro estrinseci valutati e la loro specifica portata. E’ poi inconciliabile il collegamento fatto in ordinanza tra le conversazioni del 14.10.2009 progr.. 5261 e, progr.

5275, e la successiva, della stessa giornata, avvenuta tra G. S.G., F.M. e C.G., senza peraltro tenere in conto alcuno le doglianze difensive e senza considerare che nel corso della conversazione alla quale partecipa in prima persona il G. riferisce che si recherà a Torino il giorno successivo, circostanza questa non conciliabile con il conferimento in quella giornata di una carica a suo favore. Quanto alla conversazione del 2.2.2010 ed al successivo servizio di opc evidenzia il ricorso che la partecipazione all’incontro da parte del G. può assumere valenza indiziaria solo nella misura in cui detto incontro sia stato propedeutico al paventato summit, in realtà, come segnalato nella memoria difensiva, il passaggio della conversazione nel quale i colloquianti si accordano sulle modalità del loro successivo incontro è temporalmente distinto rispetto a quello in cui affrontano la tematica relativa alla presunta assegnazione delle cariche, nel corso poi di tale conversazione non vi è nessun esplicito riferimento a P.G. ed alla sua abitazione; sul punto il Tribunale ha omesso di rispondere alle censure della difesa limitandosi a focalizzare la attenzione solo su quelle relative al servizio di osservazione della PG del successivo 3.2.2009. In sostanza, dunque, l’ordinanza impugnata ha vagliato solo due tra le numerose articolate censure proposte dalla difesa, omettendo di motivare sulle altre e sul percorso logico seguito per raccordare in contenuto delle conversazioni intercettate e degli altri elementi riversati in atti con l’ipotesi accusatoria di partecipazione all’associazione di cui all’art. 416 bis compendiata nel capo di accusa.

3.- Il Procuratore Generale dott. Maria Giuseppina Fodaroni ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1.- Con un unico e particolarmente articolato motivo il ricorrente muove all’ordinanza gravata molteplici censure incentrate, nella maggior parte, sulla asserita carenza e illogicità della motivazione in relazione ai diversi elementi indiziali valutati dal tribunale del riesame senza dare conto, o dando conto in maniera non adeguata, delle specifiche puntuali doglianze prospettate al fine del giudizio di riesame nei riguardi dell’ordinanza del GIP che aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del G..

2.- In primo luogo per quel che riguarda l’asserita arbitraria ed illogica identificazione in G.S.G. del soggetto indicato come " P." nelle conversazioni 18.8, del 29.8, del 5.9 e del 14.10.2009 richiamate nella ordinanza gravata le argomentazioni prodotte dai giudici del riesame appaiono complete e sviluppate secondo un percorso logico immune da vizi manifesti, quali carenze od omissioni, tali da derminarne ictu oculi la non pertinenza e consequenzialità rispetto agli elementi indiziari esaminati ed al loro raccordo. I giudici del riesame pervengono infatti all’identificazione del " P." nella persona dell’indagato attraverso un percorso logico deduttivo fondato sul contenuto di conversazioni intercettate, il 18.8.2009, il 28.8.2009 ed il 5.9.2009, in tutti e tre i colloqui, peraltro avvenuti tra gli stessi interlocutori, il nome P. è collegato dal C.G. alla città di Vibo Valenzia, luogo di provenienza del G..

Dalle stesse conversazioni risulta, che per il P. di cui trattasi, da parte di P.G. era stata promossa investitura come "santista", e che si tratti dell’odierno indagato è ragionevolmente desunto dalla circostanza che egli, intercettato il 18.9. 2009, con la sua utenza telefonica mobile, contatta il capo locale di Torino Ca.Gi. per chiedergli, trovandosi a Siderno, se poteva rintracciargli il "Mastro", C.G. con il quale peraltro, così come con altri esponenti al massimo livello della ‘ndrangheta reggina quali P.G. manteneva un documentato rapporto di frequentazione. In particolare in occasioni come quella del 3.2.2010 dove presso l’abitazione di P.G. si svolse un summit, o comunque una riunione tra esponenti dell’ndrangheta, al quale parteciparono, oltre a C.G. e altri personaggi ( O.D., F.M., B.R., F.N., T.R.B., A.R.), anche il G., il quale fu prima individuato a Siderno presso il centro commerciale "I Portici" dove si incontrava con diversi associati e, successivamente, la sua autovettura fu vista parcheggiata nella strada, così come le auto in uso agli altri personaggi, in Bovalino nelle vicinanze dell’abitazione di P.G..

3.- Quanto all’asserito travisamento del contenuto della captazione 5.9.2009, (evincibile secondo l’assunto del ricorrente dalla lettura del dialogo, e confermato dalla successiva conversazione del 7.10.2009 nel corso della quale G.P., questa volta chiamato anche per cognome, viene dal C. qualificato come parente del F. e non amico, dal che consegue che il P. evocato nel dialogo del 5 settembre non è lo stesso della conversazione del 7 ottobre) è opportuno ribadire che non è prospettabile in questa sede di legittimità una interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito, salvo che ricorra l’ipotesi del travisamento della prova nel senso – proprio di tale vizio – che si versi nel caso in cui il giudice di merito indichi il contenuto di un atto in modo difforme da quello reale. Nel caso di specie, invece, non sono controverse le parole pronunziate, ma il significato complessivo delle stesse che è questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito.

(Sez. 4, sent. 28.10.2005, n. 117, Caruso; Sez. 6, sent. 8.1.2008, n. 17619, Gionta e altri).

4.- Con riguardo, poi, agli ulteriori rilievi mossi in ricorso circa la valenza probatoria e/o indiziaria di vari elementi oggetto di esame da parte del tribunale, richiamati nella parte riassuntiva che precede, essi per come prospettati previa parcellizzazione dei singoli indizi, estrapolati dalla lettura unitaria e conseguente datane dai giudici del riesame, appaiono privi di specifica rilevanza e pregio in quanto volti ad accreditare una ricostruzione dei fatti attraverso valutazioni atomistiche e nel merito che esulano dal presente giudizio di legittimità.

In proposito deve essere rammentato che questa Corte ha già ripetutamente avuto occasione di affermare (cfr., tra le molte, Sez. 4 sent. 10.7.2007, Servidei, Rv. 237.652; Sez. 4, sent. 25.9.2007, Casavola e altri, Rv. 238.215; Sez. 4, sent. 12.2.08, Trivisonno, Rv.

239.533, Sez. 1, sent. 9.6.2010, Rossi, Rv. 248384) che gli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" menzionati dall’art. 606 c.p.p., novellato comma 1, lett. e) possono essere solo quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle singole risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito.

5.- Quanto, infine, alla dedotta mancanza nell’ordinanza gravata di qualsivoglia apparato argomentativo di raccordo tra l’imputazione formulata e gli elementi addotti a suo sostegno appare, contrariamente all’assunto difensivo, del tutto logico e di immediata, evidente, percezione l’iter logico argomentativo seguito dai giudici del riesame per pervenire nei confronti del G. al giudizio di ragionevole e qualificata previsione di colpevolezza in relazione al reato di cui all’art. 416 bis c.p..

La costante frequentazione con soggetti sicuramente inseriti nell’ambito della criminalità organizzata; la partecipazione ad incontri volti alla valutazione ed alla risoluzione di questioni organizzative della consorteria criminale quale quello del 3.2.2010;

i precisi riferimenti contenuti nelle conversazioni intercettate alla carica di "santista" conferita o da conferire all’indagato sono tutti questi elementi indiziari specificamente individuati e vagliati nella motivazione dell’ordinanza impugnata.

Il tribunale dal loro esame complessivo evince, senza cesure logiche e con specifica aderenza rispetto ai dati fattuali ampiamente riportati, la ipotizzabile responsabilità dell’indagato in relazione alla sua intraneità alla associazione a delinquere denominata ‘ndrangheta e la sua partecipazione all’articolazione costituita dal Locale di Vibo Valenzia, posto che è comportamento sicuramente connotato da efficacia causale, con riferimento alla mantenimento della operatività della struttura associativa (S.U. sentenza 12.7.2005 n, 33748, Marinino), il partecipare alle riunioni degli adepti e la disponibilità a ricoprire cariche di rilievo organizzativo.

6.- Conclusivamente, per le ragioni sopraesposte, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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