Cass. civ. Sez. II, Sent., 22-03-2012, n. 4610 Servitù coattive di passaggio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Gi.At., con atto notificato il 16 febbraio 2002, citò innanzi al Tribunale di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, la confinante G.f., affinchè fosse costituita una servitù di passaggio per arrivare alla pubblica via, essendo il proprio fondo intercluso, dichiarandosi al contempo disposto a pagare l’indennità per l’aggravio che ne sarebbe derivato al terreno della convenuta. Quest’ultima si costituì e si oppose, osservando che originariamente il fondo dell’attore aveva avuto a disposizione due tracciati per arrivare alla via pubblica e che entrambi erano venuti meno, uno per incuria del vicino e l’altro per usucapione da parte di terzi del terreno ove si svolgeva; in via subordinata indicò dei percorsi alternativi su fondi altrui ove avrebbe potuto essere tracciato il passaggio coattivo. 11 Tribunale adito respinse la domanda perchè non ritenne assolutamente intercluso il fondo preteso dominante ma, al contrario, fornito di un passaggio, pur se insufficiente e insuscettibile di ampliamento, con la conseguenza che, dovendosi applicare il disposto dell’art. 1052 c.c., comma 2, anzichè quello dell’art. 1051 cod. civ., sarebbe mancata la dimostrazione che la richiesta servitù fosse stata necessaria per le esigenze dell’agricoltura o dell’industria.

La Corte di Appello di Firenze, pronunziando sentenza n. 1324/2009, accolse l’appello di Gi.At. e costituì la richiesta servitù, determinando in Euro 560,00 l’indennità da corrispondere alla proprietaria del fondo servente.

La Corte territoriale motivò la sua decisione osservando che il tracciato che , seguendo le indicazioni contenute in una disposta CTU, si svolgeva nel terreno della appellata, doveva ritenersi l’unico percorso utile a far superare lo stato di interclusione dell’appezzamento dell’appellante, non essendo a ciò idoneo resistente passaggio di soli 60 cm di larghezza, in forte pendenza ed utilizzato per lo scolo delle acque dai terreni circostanti presente nel terreno di Gi.At. ed essendo eccessivamente dispendiosi – in termini di lunghezza complessiva o di opere necessarie per il completamento – gli altri percorsi, su fondi di terzi, suggeriti dall’appellata. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso G.F., sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, a cui Gi.At. ha contrapposto un controricorso.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo viene denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1051 e 1052 cod. civ. osservando: a – che la larghezza della fossetta di scolo non sarebbe di 60 cm bensì di un metro, considerando gli altri spazi a fianco della stessa; b- che non sarebbe corrispondente al vero che detto passaggio fosse sostanzialmente inutilizzabile, bastando invece poche opere per trasformarlo in un accesso perfettamente percorribile; c – che, considerata la superficie del fondo dominante – di mq 680 – e quindi le prospettabili necessità di coltivazione del medesimo, sarebbe stato sufficiente il passaggio già esistente; d – che l’esistenza di quest’ultimo avrebbe determinato l’inapplicabilità della disciplina della interclusione relativa a sensi dell’art. 1051 c.c., comma 3; e – che la decisione del giudice dell’appello – che, per accogliere la domanda, avrebbe messo in relazione la non fruibilità del passaggio esistente con le ricordate esigenze di sfruttamento del fondo – sarebbe stata ultronea rispetto alla domanda originaria, come modificata in sede di precisazione delle conclusioni innanzi al Tribunale, in cui non si sarebbe fatta più alcuna menzione della necessità del transito con mezzi meccanici.

2 – Con il secondo motivo viene fatta valere la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c., sulla base dei medesimi presupposti argomentativi di cui al punto 1 – e) sopra indicato, sottolineando che l’uso in concreto del fondo dominante – asseritamente a giardino – avrebbe imposto, anche per tale ragione, di escludere la necessità di garantire lo sfruttamento agricolo del medesimo come invece presupposto nella sentenza della Corte di Appello.

I primi due motivi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

1-2/a – Incorre il ricorrente nel primo vizio laddove – punti sub 1/a- c ed e – chiede alla Corte di formulare un giudizio attinente al merito della controversia, delibando le emergenze istruttorie in maniera diversa da quanto operato dal giudice dell’appello, così violando il divieto, in sede di legittimità, di accesso diretto agli atti di causa – quale quello presupposto dai suindicati profili di censura – se non nel caso di necessario scrutinio del fatto processuale per la verifica di un error in procedendo.

1-2/b – Si rinviene poi l’infondatezza delle descritte doglianze là dove, censurando la riconduzione della fattispecie concreta in quella astratta e, per altro verso, deducendo una insufficiente esplicazione delle ragioni fondanti la scelta interpretativa adottata dalla Corte distrettuale, si critica l’interpretazione in termini di interclusione relativa della situazione dei luoghi, sostenendosi, al contrario, la ricorrenza della fattispecie di fondo non intercluso ma servito da passaggio insufficiente, impingendo quindi, e nuovamente, in una valuta/ione di fatto, configgente con il divergente scrutinio delle emergenze di causa, adeguatamente motivato dalla Corte di merito con riferimento alla forma e dimensioni nonchè alla funzione del canale di scolo, clementi tutti conducenti al giudizio di assoluta inidoneità – e quindi di morfologica non configurabilità – alla sua destinazione come passo pedonale: sul punto la Corte di merito ha dato esatta applicazione del principio secondo il quale l’interclusione relativa si rinviene in tutti i casi in cui il transito di accesso alla via pubblica, pur se strutturalmente possibile, determini un dispendio eccessivo al fine di renderlo praticabile, mentre si ha la fattispecie del fondo non intercluso allorchè vi sia un iter che sia funzionalmente destinato a passaggio ma le cui caratteristiche concretamente accertate non siano sufficienti per l’esplicazione del passaggio ( cfr. Cass. n. 12814/1997; Cass. 2515/2001; Cass. n.8196/1990); appare quindi evidente che partendo dall’osservazione che il passo adducente alla via vicinale – collegata alla via pubblica e quindi da considerarsi necessario ductus alla seconda- aveva la funzione di scolo dei terreni – tale da essere estremamente scosceso e stretto – correttamente la Corte ha escluso la fattispecie di cui all’art. 1052 c.c., comma 1, rinvenendo l’ipotesi di interclusione relativa.

1-2/c – La deduzione poi della destinazione a giardino del fondo della ricorrente – escludente come tale il transito del passaggio, a sensi dell’art. 1051 c.c., comma 4, – oltre ad incidere su un accertamento di fatto, precluso a questa Cotte, non appare aver formato oggetto di rilievi nel pregresso grado di giudizio, integrando dunque una difesa nuova, non ammissibile in questa sede.

1-2/d – E’ infine infondata la censura di violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato – di cui al punto sopra indicato sub 1- c)- dal momento che la rinunzia ad ottenere il passaggio anche con mezzi meccanici (oggetto della prima domanda) -che la parte ricorrente intenderebbe desumere dalla mancata riproduzione di tale richiesta in sede di precisazione delle conclusioni- non tiene conto che la stessa era implicitamente ricompresa nel richiamo, colà effettuato, alle conclusioni del CTU, che, appunto, aveva indirizzato la sua indagine e le sue soluzioni presupponendo il transito con mezzi meccanici e che, più in generale, la mancata riproduzione nelle conclusioni definitive di una domanda precedentemente formulata non è, di per sè, sufficiente a far presumere che la stessa sia stata abbandonata dalla parte, qualora dalla condotta processuale di questa sia desumibile l’intenzione di mantenere ferma quella determinata domanda, specialmente quando essa, sotto il profilo dell’interesse della parte medesima, sia strettamente connessa con le richieste oggetto delle conclusioni specificamente formulate ( cfr. Cass. n. 4794/2006; Cass. n. 9465/2004; Cass. n. 2515/2001; Cass. 2142/2000).

3 – Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1053 cod. civ. avendo il giudice del gravame quantificato in modo irrisorio la indennità per il passaggio coattivo, così mostrando di non tener conto dell’insegnamento di legittimità a mente del quale deve aversi riguardo non solo al valore della superficie di terreno occupata , ma anche ad ogni altro pregiudizio subito dal fondo servente in relazione alla sua destinazione ed alle modalità con le quali si sarebbe attuato il passaggio – allegando in concreto la necessità di costruire una rampa di cemento armato di circa 9 metri lineari.

4- Con il quarto motivo parte ricorrente denunzia vizio di motivazione – che assume esser stata omessa o insufficiente o contraddittoria, lamentando al contempo la violazione dell’art. 1053 cod. civ.- là dove il giudice dell’appello non avrebbe motivato in merito alle critiche espresse dal consulente tecnico di parte alle conclusioni alla quali, in merito all’indennità, sarebbe giunto il consulente di ufficio, sottolineando in particolare che la superficie per garantire il passaggio coattivo avrebbe inciso per il 30% sul terreno, adibito a giardino, del deducente.

3/4- Anche questi motivi, da esaminare congiuntamente per la loro logica connessione, non superano il vaglio di ammissibilità, là dove implicitamente deducono l’omessa pronunzia su un punto decisivo della controversia – relativo alla divisata necessità di costruire, a sostegno del nuovo passaggio, un rilevante manufatto in cemento armato, ma non indicano ove la relativa questione sarebbe stata trattata e in quale punto della consulenza tecnica si sarebbe fatta menzione della necessità di tale manufatto (negata espressamente da parte controricorrente); del pari parte ricorrente non indica, così violando il principio dell’autosufficienza, ove , nel giudizio di primo grado, avesse dedotto e provato l’obiettiva insorgenza di pregiudizi che non fossero emendabili con la sola corresponsione del valore venale dell’area occupata; risulta infine una quaestio facti non scrutinabile in questa sede -in quanto non fatta valere come omessa pronunzia rispetto ad una specifica contestazione della parte oggi ricorrente – quella attinente all’incidenza eccessiva del manufatto necessario per consentire il passaggio, rispetto alla superficie complessiva del preteso giardino.

5 – Con il quinto motivo si fa valere un vizio della motivazione del giudice dell’appello – assumendone alternativamente l’omissione, la insufficienza e la contraddittorietà – là dove avrebbe omesso di considerare le ipotesi alternative prospettate da essa ricorrente, non valutando le critiche esposte nella relazione del CTP e cadendo in una erronea rappresentazione della realtà nell’apprezzamento dello stato dei luoghi.

5/a – Anche questa censura deve dirsi infondata atteso che la Corte territoriale ha esaminato e valutato compiutamente i pari itinera alternativi su fondi di terzi suggeriti dalla ricorrente, per ognuno di essi indicando gli svantaggi che non avrebbero permesso la scelta interpretativa patrocinata dall’allora appellata, così che non è scrutinabile, in particolare, in questa sede la "falsa rappresentazione della realtà" in cui sarebbe incorso il giudice dell’appello nel non aver esaminato ogni obiezione contenuta nell’elaborato del consulente tecnico, e, più in particolare quella attinente al colà asserito interessamento del punto di confluenza dell’accesso individuato non sulla strada vicinale bensì su una strada privata di proprietà di tutti i frontisti e, solo al termine di questa, la ridetta strada vicinale- : sul punto va ricordato che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione: tali vizi non possono dunque consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (così Cass. 1065/2010).

6 – Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico della parte ricorrente secondo la quantificazione indicata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

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