Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-06-2011) 12-10-2011, n. 36786

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con decreto 21 maggio 2010 la corte di appello di Catanzaro confermava il provvedimento con il quale il 5 novembre 2008 il Tribunale di Catanzaro aveva disposto nei confronti di P. P. la confisca dei seguenti beni: una abitazione sita in Catanzaro intestata al P. ed alla moglie G.M., un terreno costituente corte della predetta abitazione, un fabbricato per civile abitazione intestato a P.G. figlio di P.P.. Rilevava la corte d’appello che nei motivi di impugnazione nessuna questione era stata sollevata in relazione alla affermata pericolosità sociale del proposto in quanto indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, per cui la decisione del tribunale sul punto doveva essere confermata, anche perchè fondata sulla precedente applicazione, il 2 aprile 2008, della misura di prevenzione personale con decreto definitivo, oltre che sui precedenti penali del P.. Confermava, poi, il giudizio circa la mancanza di giustificazione dell’acquisto degli immobili oggetto di confisca con le capacità patrimoniali del P. al momento dell’acquisizione, ritenendo non fondate o prive di validi elementi di riscontro le deduzioni difensive.

2.- Avverso il decreto della Corte di appello di Catanzaro propone ricorso per Cassazione l’avvocato Antonio Sgromo, difensore di P.P. adducendo a ragione i seguenti motivi:

a) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla pericolosità sociale del ricorrente. Lamenta che sia il tribunale che la corte d’appello abbiano fondato il giudizio sulla pericolosità sociale del P. sul presupposto della sua presunta appartenenza ad una associazione di tipo mafioso, richiamando una sentenza definitiva di condanna per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. in realtà mai pronunciata ed erroneamente riportata nel certificato del casellario giudiziale con riferimento alla sentenza 7.11.2009 della Corte di appello di Reggio Calabria che condannò il ricorrente per il reato di cui all’art. 416 c.p.. Ne discende che il provvedimento gravato è illegittimo perchè adottato sul presupposto di una condanna definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso, per un fatto commesso nel 1984, in realtà mai riportata. 2) Mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione della motivazione, nonchè inosservanza della legge penale con riguardo alla valutazione del requisito della netta sproporzione tra il valore dei beni confiscati ed il reddito prodotto dal ricorrente e dai suoi familiari. Il provvedimento impugnato è, secondo la doglianza, del tutto privo di motivazione su punto avendo omesso di valutare le specifiche circostanze evidenziate dalla difesa e le produzioni documentali in base alle quali è ricostruibile il reddito e l’attività economica dell’interessato al momento dei singoli acquisti. La decisione di conferma del decreto del Tribunale è motivata, infatti, solo riportando le argomentazioni del primo provvedimento senza alcuna valutazione delle copiose produzioni documentali versate in atti e senza una analisi diretta e rigorosa delle allegazioni specifiche della consulenza di parte. In particolare, poi, è erronea la affermazione della corte che non fosse allegata in atti la richiesta all’Agenzia delle Entrate riguardo all’accertamento e che tale accertamento riguardasse gli anni 1981, 1982 e 1983 si ricava dalla sentenza che pronunciò sulla opposizione all’ingiunzione fiscale, da essa, si ricava infatti la data di notifica degli atti di ingiunzione, i primi quattro nel 1984 ed il quinto nel 1985, e poichè è risaputo che la notifica dell’atto di ingiunzione è successiva di un anno o due rispetto al periodo di imposta cui si riferisce, è certo che il periodo oggetto delle verifica fosse quello indicato dal ricorrente. Illogica e congetturale è, poi la valutazione dei giudici di appello in relazione ala documentazione prodotta a giustificazione dell’acquisto dell’immobile intestato a P.G., l’istanza di condono, infatti, come evidenziato nell’atto di appello, si riferiva al completamento della struttura esterna, che poi l’abitazione sia stata ultimata dopo il 2002 è dimostrato dalle fatture relative all’acquisto di materiale idraulico e alla fornitura delle porte che solo oggi si può produrre.

Altrettanto illogico ed immotivato è il decreto laddove afferma la non riferibilità a P.P. della attività di autolavaggio, infatti i dati riportati dal consulente di parte e relativi ai rediti prodotti dal ricorrente negli anni 1991/1995 sono agevolmente riscontrabili in quanto oggetto di un altro accertamento della Guardia di finanza eseguito su conti correnti bancari intestati a P.P., nonchè dai verbali della Guardia di Finanza che si allegano, tutti firmati dal ricorrente, con i quali è stata accertata la sua presenza presso l’autolavaggio e ed in alcuni di essi viene indicato come gestore. Circostanza, questa avvalorata da una ispezione dell’Ispettorato del Lavoro in data 3.4.1993 e dal fatto che per lo svolgimento di tale attività lavorativa venne disposta la revoca della misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre.

1.3.- Il Procuratore Generale presso questa Corte dott. Giovanni Salvi, con atto depositato il 13 dicembre 2010, ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

1.4.- Con memoria in data 16.2.2011 il difensore ricorrente, a seguito della requisitoria del Procuratore Generale in relazione al primo motivo precisa che è stato corretto il certificato del casellario giudiziale e che non essendo stato condannato il P. per reato di cui all’art. 416 bis c.p. la sua pericolosità sociale è stata erroneamente fatta risalire al 1984, inoltre, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per anni due è cessata il 5.12.2010, cessata tale misura non sussistono i presupposti per il mantenimento della confisca non essendo il prevenuto soggetto pericoloso. Sul secondo motivo specifica che le censure mosse al provvedimento della corte di appello si fondano su un accertamento della Guardia di Finanza relativo agli anni di imposta dal 1990 al 1996, eseguito sui conti correnti personali del P., come titolare della ditta individuale omonima esercente attività di commercio ambulante di prodotti non alimentari, nel quale confluivano i profitti di tale attività. Altra fonte di reddito era quella derivante dall’attività di gestore, unitamente alla sorella, dell’attività di autolavaggio la cui titolarità gli è stata attribuita dalla Guardia di Finanza nei verbali i atti.

Dunque la consulenza di parte ha correttamente ricostruito il reddito lecitamente percepito dal prevenuto.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso è infondato.

2.- Riguardo al primo motivo di ricorso osserva il Collegio come il decreto oggetto del gravame concerne esclusivamente le delibazioni di natura patrimoniale, emesse sulla base del precedente provvedimento del 2 aprile 2008 del Tribunale di Catanzaro che aveva applicato nei confronti del P. la misura i prevenzione della sorveglianza di PS con obbligo di soggiorno, ritenendolo soggetto pericoloso.

E’ dunque estranea al thema decidendum la rivalutazione della pericolosità del ricorrente sulla base di elementi sopravvenuti, in particolare la sentenza che ha derubricato l’originaria imputazione per il delitto di associazione di stampo mafioso in quella di associazione semplice ai sensi dell’art. 416 c.p..

Inoltre il tema della pericolosità sociale non è stato oggetto di doglianza nei motivi di appello proposti, nè è stata posto di discussione nel corso del giudizio, per cui la sua prospettazione per la prima volta in sede di ricorso per cassazione rende il relativo motivo inammissibile.

3.- Il secondo motivo è infondato. E’ infatti arbitrario l’assunto secondo il quale la corte territoriale avrebbe omesso di motivare in relazione ai diversi motivi di doglianza prospettati con l’atto di appello.

Invero i giudici di appello, con motivazione congrua, articolata e puntuale, hanno argomentato,esplicitandole, le ragioni specifiche sulla base delle quali la documentazione prodotta e le allegazioni difensive non erano ritenute idonee a sostenere la tesi della legittimità dell’acquisto degli immobili oggetto del provvedimento ablatorio.

Nel dettaglio rilevano, infatti, che l’attività lavorativa svolta dal P. dal 1970 al 1982, come attestata dall’estratto conto INPS versato in atti, non risulta essere stata continua per tutti gli anni indicati e per tutte le settimane, ma solo per periodi limitati.

Negli anni più prossimi all’acquisto dell’immobile in località S. Antonio, avvenuto nel 1984, il P. era stato in cassa integrazione nel 1977 e nel 1978, ed aveva lavorato per sole 13 settimane nel 1981 e per nove settimane nel 1982, così come per poche settimane aveva lavorato negli anni 1975 e 1976, senza che peraltro sia documentato l’ammontare delle retribuzioni percepite.

Quanto all’ottenimento di un fido di L. 15.000.000 ed al risarcimento ottenuto per il decesso, a seguito di sinistro stradale, del fratello manca ogni documentazione. Nè le argomentazioni del consulente tecnico di parte sono idonee a giustificare la revoca del provvedimento ablatorio in quanto, osserva la corte, esse si fondano su una ricostruzione degli affari dell’attività di vendita ambulante di tessuti svolta dal prevenuto sulla base dei dati di una verifica tributaria relativa agli anni 1981, 1982 e 1983, senza che sia stata dimostrata l’esistenza dell’accertamento fiscale, del quale, asseritamente, l’ufficio delle entrate di Catanzaro non era stato in grado di rilasciare copia, nè la richiesta alla Agenzia delle entrate di ottenerne copia e tanto meno la risposta di quell’ufficio.

L’ammontare dell’accertamento, pari ad una somma di L. 36.000.000, era stato contestato dal P. ma la decisione del Tribunale di Catanzaro sul suo ricorso si era limitata a pronunciare il proprio difetto di giurisdizione senza confermare la correttezza dell’accertamento medesimo; inoltre, dalle allegazioni del ricorrente non si ricava in alcun modo che la richiesta di tributi evasi riguardasse gli anni indicati dal consulente ovvero un periodo maggiore. Riguardo all’immobile intestato a P.G., ritiene la corte territoriale che: – non potevano assumere rilievo le vicende patrimoniali antecedenti al 23 gennaio 2001 o, al più, al 10 aprile 2002, data di completamento delle attività di ristrutturazione ed ampliamento dell’immobile medesimo risultante dalla domanda di condono; – erano indimostrate sia la donazione fatta dalla madre al P.G. della somma di Euro 40.000,00 ricavata dalla vendita di un terreno, sia la vincita al calcio scommesse. Neppure in questo caso, secondo i giudici di merito, le affermazioni del ricorrente erano suffragate dalla consulenza di parte che ricostruisce il reddito prodotto dal 1991 al 1995 partendo dal presupposto indimostrato, come ricavabile dal verbale della guardia di Finanza del 29.5.1996, che l’attività di autolavaggio intestata alla sorella di P.P. fosse concretamente riferibile allo stesso, il quale beneficiava dei relativi proventi.

Con la conseguenza che anche il ricavato della vendita dell’autolavaggio, avvenuta nel 1997 ad opera della sorella, non poteva essere ritenuta incremento patrimoniale in favore del ricorrente. Riteneva, in ultimo, la corte territoriale che anche l’ulteriore documentazione prodotta dalla difesa del P. all’udienza di discussione, riguardante la classificazione catastale degli immobili ed alla loro destinazione d’uso, fosse idonea a dimostrare la legittimità dell’acquisto degli immobili oggetto del provvedimento ablatorio.

A fronte di una analitica e precisa argomentazione, quale quella prodotta dai giudici di merito, il ricorrente si limita a ribadire questioni già ampiamente affrontate in sede di appello ovvero a richiamare documentazione, asseritamente, reperita successivamente e della cui rilevanza, posto che trattasi di valutazione di merito, questa Corte non deve farsi carico.

5.- Conclusivamente, pertanto, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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